Ignác Semmelweis: il medico ungherese che promosse l’igiene delle mani negli ospedali
“L’equazione della mia esistenza è dunque questa: io sono un monito, un esempio che deve servire agli altri per il loro miglioramento; un oggetto di generale dileggio perché sia mostrata ad altri la vanità dell’onore e della celebrità, perché sia illustrato alla gioventù come non deve essere vissuta la propria vita.” ‒ Ignác Semmelweis
Il primo luglio del 1846, un giovane medico ungherese fa il suo ingresso all’Allgemeines Krankenhaus di Vienna. Inaugurato nel 1784 dall’imperatore Giuseppe II, è all’epoca il più prestigioso ospedale d’Europa e centro della rinomata Scuola universitaria di medicina.
Il giovane medico si chiama Ignác Fülöp Semmelweis, e proprio in quel giorno festeggia il suo ventottesimo compleanno.
È il nuovo assistente del professor Johann Klein, presso la prima divisione di ostetricia. Un reparto che sembra gravato da un influsso funesto, visto che la percentuale di mortalità delle puerpere raggiunge anche il 40%; una percentuale che è di molto superiore a quella della seconda divisione, diretta dal dottor Bartch.
La direzione dell’ospedale non se ne cura, cercando anzi di mettere la sordina alle fastidiose fughe di notizie, ma le voci si diffondono, e le partorienti supplicano di essere ricoverate nel reparto più fortunato, dove i parti sono seguiti da ostetriche tirocinanti, a differenza della prima divisione, dove i dominus indiscussi sono gli assistenti di Klein, studenti che si recano a visitare in corsia le future madri dopo aver dissezionato i cadaveri nei gabinetti riservati alle autopsie.
Siamo in una delle culle della razionalità scientifica, ma nessuno è in grado di fornire una spiegazione plausibile né sembra interessato a cercare le cause della febbre puerperale che miete una così alta percentuale di decessi nel primo padiglione. Ci si limita ad alludere ai deleteri effetti dei miasmi esalati dalle strade, arrivando persino a paventare oscure e nefaste suggestioni di natura religiosa, causate dalla presenza del cappellano che passa per i letti a dare l’estrema unzione.
Ma Semmelweis non è tipo da farsi scoraggiare; il suo spirito combattivo lo spinge a cercare un punto di fuga prospettico nell’orizzonte di fatalismo che lo circonda; ciò che accade a molte donne ricoverate nel primo reparto dell’Allgemeines Krankenhaus non può essere considerato alla stregua di una terribile e inevitabile disgrazia, e i numerosi decessi vanno considerati una ferita al cuore della medicina stessa.
Ma come a volte succede nella vita degli umani, seguendo un’illazione sul filo dei pensieri, capita che le ferite si trasformino in feritoie da cui far passare la luce della speranza, e che poi la luce diventi un’illuminazione che prende la forma di una semplice domanda: e se fossero le dita degli studenti, contaminatesi nel corso delle dissezioni e portatrici delle particelle cadaveriche negli organi genitali delle donne incinte, il “cancro” di cui l’infezione puerperale è la successiva metastasi?
Eccola, allora, la risposta, che assume la forma ovale delle bacinelle, piccoli lavabi di rame portatili che Semmelweis pone davanti alla porta della sezione ostetrica di Klein, in una fredda mattina di ottobre del 1846.
Già: lavarsi le mani… una profilassi banale, ma non per l’epoca, che tratta la nascita e la morte come se fossero la stessa cosa; lavarsi le mani… una misura banale che non si concilia con il pomposo spirito scientifico del tempo.
Infatti tutti sghignazzano, molti scuotono la testa, increduli, e quando Semmelweis chiede allo stesso Klein di sottoporre i suoi studenti alla stessa operazione di pulizia adottata dalle ostetriche tirocinanti della seconda divisione, il professore si rifiuta sdegnato.
Perché si sa, la verità aleggia in territori eterei, non la si può toccare ma lei può colpire come un pugno allo stomaco, e allora quel bizzarro medico ungherese non è l’uomo del miracolo ma l’uomo di cui ci si fa beffe, e non importa se l’acqua corrente, con l’aggiunta di un po’ di cloruro di calce, riesce a esorcizzare il mostro della febbre puerperale facendo calare drasticamente l’indice di mortalità fin quasi ad annullarlo.
Anche confidando sull’appoggio peloso della Corte imperiale, Klein revoca brutalmente l’incarico al suo assistente, e a nulla vale l’intervento del dottor Skoda, il mentore di Semmelweis, che comunque riesce a reintegrarlo nel secondo reparto del dottor Bartch.
Ma l’ordine costituito non può essere messo in discussione con tanta audacia, e nel 1849 la commissione nominata dalla Società Medica di Vienna non riconosce l’efficacia dei risultati ottenuti da Ignác Semmelweis, a cui viene intimato di lasciare la città.
Ostracizzato, ridicolizzato dalla comunità scientifica, nel 1850 il medico fa ritorno in Ungheria, a Pest, per lavorare presso l’ospedale San Rocco: anche qui la febbre puerperale miete vittime, ma l’introduzione dei suoi metodi permette di abbassare notevolmente il tasso di mortalità (fino allo 0.85% nel periodo 1851-1855).
Questi nuovi successi convincono Semmelweis a pubblicare i suoi risultati in due articoli usciti nel 1858, ma, ancora una volta, la comunità medica risponde negativamente, e la sua semplice profilassi viene ulteriormente disconosciuta dall’Accademia di Medicina di Parigi.
Disilluso, oppresso da incubi e manie di persecuzione, Ignác Semmelweis perde progressivamente il senno fino ad arrivare a ferirsi in modo dissennato durante la dissezione di un cadavere.
Viene internato in manicomio, mentre l’infezione procurata dalla ferita progredisce, diventando prima pleurite, poi peritonite, quindi meningite, fin quando la morte se lo porta via soffocandolo in una torrida mattina del 16 agosto 1865, all’età di quarantasette anni.
Quasi mezzo secolo dopo, nel 1924, la sfortunata parabola di Ignác Semmelweis affascina uno studente di medicina, che decide di servirsi del proprio talento letterario per dedicargli la sua tesi di laurea; tesi che ben presto diventa il libro a cui queste note sono debitrici, nonché l’agiografia laica di un puro incredibilmente perseguitato, e che sarà anche un’illazione sul futuro dello stesso autore, con quel senso di persecuzione e isolamento sempre presenti nel suo percorso terreno. Il nome dello studente letterato è Louis-Ferdinand Destouches, da lì a poco conosciuto semplicemente come Céline.
Anticipando un futuro che solo con Louis Pasteur inizia a comprendere l’incidenza dei batteri nelle malattie, come afferma Guido Ceronetti nella postfazione al libro di Céline, “Semmelweis ha compiuto il miracolo; sarà ricordato come un santo moderno, ma la sua moneta non è stata l’altare ma l’ingratitudine.”
“L’equazione della mia esistenza è dunque questa: io sono un monito, un esempio che deve servire agli altri per il loro miglioramento; un oggetto di generale dileggio perché sia mostrata ad altri la vanità dell’onore e della celebrità, perché sia illustrato alla gioventù come non deve essere vissuta la propria vita.” ‒ Ignác Semmelweis
Written by Maurizio Fierro