“Adelaida” di Adrián N. Bravi: l’artista che scappò dall’Argentina per rifugiarsi a Recanati

“Nessun torturatore può baciarmi in bocca.” ‒ Adelaida Gigli

Adelaida di Adrián N. Bravi
Adelaida di Adrián N. Bravi

Nata a Recanati nel 1927, figlia del pittore Lorenzo Gigli (per due volte presente alla Biennale di Venezia, nel 1928 e nel 1930) che, con la sua famiglia, durante il fascismo, decise di lasciarsi l’Italia alle spalle alla volta dell’Argentina nel 1931, Adelaida Gigli è stata un’artista anticonformista che ha vissuto la movimentata vita sociale, artistica e politica di Buenos Aires fino ai tragici eventi del 1976, quando la Juncta Militar di Eduardo Massera, Jorge Rafael Videla e Orlando Ramón Agosti, con uno degli innumerevoli golpe di cui è tristemente affollata la storia sudamericana, prese il potere defenestrando Isabelita Perón e instaurando una delle più feroci dittature a memoria d’uomo.

Nelle 142 pagine del romanzo breve che porta il suo nome, la vita di Adelaida Gigli è raccontata da Adrián N. Bravi, nato a Buenos Aires e in seguito trasferitosi in Italia per completare gli studi in filosofia, scrittore nonché bibliotecario a Recanati, che l’ha conosciuta e intervistata più volte, restituendoci il ritratto vivo e sentito di una delle figure femminili più sorprendenti dell’Argentina, pittrice, scrittrice e infine instancabile artista della ceramica, pronta a diventare, suo malgrado, una protagonista della travagliata storia del Paese che l’ha adottata, nascondendo le armi ai dissidenti e ridendo in faccia al potere con atteggiamenti dissacranti, pagando in prima persona l’orrore della censura e della perdita.

E la storia raccontata da Bravi (un po’ biografia, un po’ romanzo-verità alla Carrère) inizia la domenica del 29 agosto 1976, allo zoo di Buenos Aires, quando una giovane donna inseguita da loschi figuri consegna una bambina di nove mesi a una coppia di anziani prima di andare incontro al suo triste destino di desaparecidos, mentre gli Unimog, i carri armati dell’esercito, pattugliano le strade.

La piccola porta al collo una collanina con un ciondolo dove c’è scritto il suo nome, Inés, e il numero di telefono del nonno materno, il pittore Lorenzo Gigli; la giovane donna è Mimì, la figlia che Adelaida ha avuto dallo scrittore dissidente David Viñas, e che, come l’altro figlio della coppia, Lorenzo Ismael, si è data alla lotta armata nelle file delle Fuerzas Armadas Revolucionarias, che in seguito confluiranno nei Montoneros (nati alla fine degli anni Sessanta ispirandosi alle metodologie di guerriglia dei Tupamaros uruguayani), scaturiti dalla confluenza tra cattolici di sinistra e l’ala più progressista del movimento peronista, per eliminare i condizionamenti politici statunitensi sull’Argentina e favorire il rientro dall’esilio di Juan Domingo Perón, che li utilizzò a proprio vantaggio salvo prenderne le distanze dopo il suo ritorno al potere nel 1973, e in seguito sgominati dalla dittatura.

Da quella domenica di agosto, l’ordito che il destino sta tramando intorno alla sua vita costringe Adelaida ad abbandonare il centro dei suoi interessi, fatto di incontri e discussioni artistiche e intellettuali, per scegliere il confine, con un senso incombente di prossimità al baratro fisico e metafisico.

Ma che donna era, Adelaida Gigli?

Capelli a caschetto alla Jeanne Moreau, sguardo attento attraversato da baluginii d’inquietudine, dopo essersi iscritta alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Buenos Aires, Adelaida si tuffa nella vita letteraria e artistica della città, frequentando i circoli letterari e i famosi Caffè,luoghi iconici dove si trascorrevano ore a discutere e a fare progetti”: come il Caffè La Paz, dove conosce e si innamora del suo futuro marito, lo sceneggiatore e scrittore David Viñas. Insieme a lui e ad altri intellettuali, nel 1953 fonda la rivista “Contorno”, politicamente schierata con le classi più indigenti e destinata a diventare un punto di riferimento per l’Argentina degli anni Cinquanta, agli antipodi rispetto alla ricca e altolocata “Sur”, la rivista letteraria neoplatense di Victoria Ocampo, la più importante di quel periodo.

In quegli anni l’intellighenzia boarense è divisa in due opposte fazioni, idealmente rappresentate dal quartiere Filadelfia e dal quartiere Boedo: conservatrice, accademica ed elitaria la prima, con ritrovo al Caffè Dorrego, e che ha nel poeta Ruben Dario e negli scrittori Jorge Luis Borges e Leopoldo Marachal alcuni dei suoi più geniali interpreti; su posizioni marxiste la seconda, ben rappresentata dallo scrittore Roberto Arlt (che nel suo libro più famoso, “I Sette Pazzi”, descrive il sogno della rivoluzione sociale contro il capitalismo), dalla fotografa Dora Maar, dal poeta Homero Manzi e dal compositore e direttore d’orchestra Osvaldo Pugliese.[1]

Sono anni di fermento e di speranza; gli anni del governo Perón ‒ con la moglie, Evita, venerata dagli argentini quasi fosse la Madonna, che funge da intermediaria tra il popolo e il loro Dio, che altri non è che Juan Perón stesso; sono gli anni del populismo, qualsiasi sia il suo oscuro significato[2], al servizio delle masse operaie (che si adunavano una volta all’anno in Campo de Mayo per rispondere affermativamente e con entusiasmo, in maniera del tutto plebiscitaria, alla domanda “il popolo è dalla parte del governo?”); la voce del leader come voce del popolo, una voce ben accompagnata dal basso costante dalla Chiesa e delle Forze Armate, queste ultime imprescindibile centro di gravità di ogni politica sudamericana.

Mimì e Lorenzo Ismael crescono assorbendo il sogno ideale, etico e politico dei genitori, che germinerà nell’aiuto ai bambini poveri delle villas miserias (le baraccopoli della periferia, ai quali insegnano a leggere e scrivere) per poi sfociare, fertilizzato dai germi e dai rischi del conflitto, nella lotta armata non appena le nere nuvolaglie di una futura dittatura militare cominciano ad addensarsi all’orizzonte, con la certezza che il sogno socialista sarà, una volta di più, tradito e umiliato. “Dobbiamo partire dal basso, la rivoluzione è prima di tutto una questione etica” dice la figlia Mimì a pagina 58.

Perché poi, si sa: i sogni sono i semi delle azioni. E quando l’Argentina, per mano del presidente Illia, annulla gli accordi con gli Stati Uniti per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e si rifiuta di inviare le truppe argentine in Vietnam, i militari decidono che è giunto il momento di voltar pagina. È il 28 giugno 1966 quando viene proclamata la Rivoluzione Argentina. Al comando dell’insurrezione militare c’è il generale Juan Carlos Onganía.

Adrián N. Bravi citazioni
Adrián N. Bravi citazioni

È il periodo della cosiddetta “dittatura blanda”, che anticipa di dieci anni il decisivo colpo di stato di Videla. L’anno dopo il romanzo di Viñas “Hombre de a cavallo” denuncia il potere delle forze armate nel corso della storia argentina. La dittatura sarà ancora blanda ma è occhiuta, e mentre i romanzi di David vengono messi all’indice, la coppia comprende che il tempo sta per scadere e si trasferisce a Mérida, in Venezuela, dove a Viñas viene offerta una cattedra all’Universidad de los Andes. Incolpato dalla giunta del presidente Romolo Betancourt di assumere posizioni anti imperialiste e di appoggiare la rivoluzione cubana, la coppia è costretta a un frettoloso rientro in patria, dove Adelaida decide di mettere in secondo piano la scrittura e la pittura per dedicarsi alla ceramica e alla scultura, dopo essere rimasta colpita dal modo in cui gli indios timotocuicas lavoravano la ceramica nei villaggi di pietre e fango nei dintorni di Mérida.

“Vorrei produrre qualcosa che non bruci, dunque né romanzi falliti né poesie inedite né articoli perduti e nemmeno racconti abbozzati. Voglio qualcosa che occupi un posto e possa esprimere, con un colpo d’occhio, il dolore.” (pag 40)

Alla fine degli anni Sessanta Adelaida e David decidono di porre fine alla loro relazione. Dopo la separazione, Adelaida comincia a esporre le sue opere in diverse gallerie di Buenos Aires. Sì sposa con Martin Izaguirre ma dura poco, frequenta il poeta Raul Santana e nel 1969 si avvicina al Pcr, il Partido Comunista Revolucionario.

“Molti eventi inattesi portano a compimento gli dei: e quello che ci aspettavamo non è accaduto, mentre il dio ha trovato un varco per l’imprevedibile.” vocalizza il coro, alla fine delle Baccanti di Euripide.

E l’imprevedibile è la veloce china che gli eventi stanno prendendo in Argentina.

Nel 1974 è nata la Division Moralidad della polizia, con il compito di reprimere coloro che “perturbano le persone decenti”. La risposta è la presa di piccole città da parte dei rivoluzionari, per dimostrare la vulnerabilità del regime; come a Garín, dove i Montoneros prendono il controllo della banca, delle poste, della stazione e della caserma.

Nascono storie di amore e di militanza; come quella della figlia Mimì e Carlos Goldenberg. Intanto, è il 1973, Perón è tornato in patria dopo 18 anni di esilio in Spagna, ma le speranze del popolo si scontrano con la realtà di un governo schierato su posizioni di destra che instaura la tripla A (Alianza Anticomunista Argentina) di José López Rega, segretario personale di Perón. Iniziano le sparizioni, gli omicidi e i sequestri di persona dei dissidenti che aprono la strada alla dittatura vera e propria, iniziata con il colpo di stato del 24 marzo 1976 (mentre la gente è davanti alla tv per l’incontro di calcio Polonia – Argentina[3]).

Viñas fugge in Spagna, insegna all’università di Madrid e scrive il saggio “Indios, Eyercito e Frontera”, dove spiega lo sterminio degli indios, i primi desaparecidos della storia. Dopo un esilio in Messico, Lorenzo Ismael torna in patria durante il periodo della cosiddetta “controffensiva strategica dei Montoneros” (1979/80), ma accortosi dell’impossibilità di ricostruire il gruppo cerca di espatriare, ma viene arrestato alla dogana uruguayana nell’ambito del “Piano Condor”, instaurato da Pinochet con l’intento di coordinare i servizi segreti delle varie dittature militari in America Latina: Cile, Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay.

In Argentina sono gli anni dei 340 centri di detenzione clandestini distribuiti su tutto il territorio argentino, dove i dissidenti (politici, giornalisti, artisti, sindacalisti e semplici cittadini) vengono segregati affinché sia loro annullata l’identità e rimosso il passato, torturando, portando ai limiti estremi la sofferenza umana, e infine uccidendo, per poi trasportare i cadaveri sugli Skyvan, aerei con ampia apertura posteriore, e gettarli nel Rio della Plata o nell’oceano, durante i tristemente noti “vuelos de la muerte”.

Sono i desaparecidos, trentamila, dal 1976 al 1983, come appurerà il rapporto Nunca Más, che una volta finita la dittatura permetterà la ricostruzione di una parte degli avvenimenti.

E Adelaida? Dopo la scomparsa della figlia Mimì in quella domenica di agosto, dopo aver saputo che la nipote Inés è al sicuro con la famiglia dei suoceri negli Stati Uniti e che suo figlio Lorenzo Ismael si è rifugiato in Messico, alla fine del 1976 riesce rocambolescamente a fuggire dall’Argentina, e alla fine di un breve passaggio a Rio de Janeiro fa rientro a Recanati, dove si dedicherà alla ceramica in modo sempre più totalizzante.

Ci sono vari modi di fare i conti col proprio dolore. C’è chi si unisce e decide di chiedere giustizia insieme, come Les Madres de Plaza de Mayo, che da 30 aprile 1977 iniziarono a darsi appuntamento nella piazza centrale di Buenos Aires, di fronte alla Casa Rosada, per protestare pacificamente a favore dei figli desaparecidos; c’è chi si dà alla lotta armata; c’è chi semplicemente decide di andarsene.

Come fece Adelaida Gigli. Il suo modo di resistere fu uscire dal paese e la creta, con il lavoro quotidiano ma anche le lezioni di ceramica in una casa di campagna fuori Recanati in cui creò il suo laboratorio (“La cosa più difficile di questo mestiere non è modellare bene una forma, quello lo sanno fare quasi tutti, ma avere la costanza di farlo sempre e di cercare la propria voce. Nei laboratori potete imparare a lavorare più o meno la creta, ma non a modellare, questo dipende solo da voi, deve diventare una vostra necessità.” pag. 95), ha dato voce alle sue mani per plasmare il dolore che le era capitato in sorte, convivendo con i suoi fantasmi e accogliendoli dentro di sé. Si costruì un altare interiore dove ogni giorno, impastando la creta, cercò il volto dei suoi figli, e alla fine furono sempre loro, i mai più ritrovati Mimì e Lorenzo Ismael, a venire fuori nei modi più diversi. E in quel momento i suoi figli desaparecidos non erano solo un ricordo privato di quello che era stato, l’infanzia, la giovinezza, la lotta armata, ma rappresentavano un intero spaccato storico. La loro memoria diventava allora una faccenda politica. Una memoria da preservare in un ideale “Giardino delle memorie interrotte”, lo spazio verde che il comune di Recanati nel 1999 dedicò a Mimì e Lorenzo Ismael; al centro del giardino c’è una piastra in bronzo su una lapide. L’aveva fatta Adelaida stessa: un volto umano in rilievo con altri due accanto che si insinuano nel bronzo. Sotto la piastra ci sono i nomi dei suoi figli e, sotto, una brevissima composizione poetica di pochi versi che aveva composto per l’occasione.

Le parole interrotte/ i sentieri scomparsi/ Nulla può fermare la mano/ che incide la storia.

 

Written by Maurizio Fierro

 

Note

[1] Tre anni dopo l’inaugurazione del giardino il giudice federale Claudio Bonadio decretò l’annullamento delle leggi emanate dopo la dittatura – che garantivano l’impunità dei militari – e chiese l’arresto di oltre quaranta militari implicati a vario titolo nella scomparsa di decine di attivisti.

[2] Forse la sua migliore definizione è quella di “strategia politica attraverso la quale un leader personalista esercita un potere di governo fondato sul supporto diretto, non mediato e non istituzionalizzato di un enorme numero di seguaci non organizzati”, in C. Mudde, C. Rovira Kaltwasser, Voices of the peoples: populism in Europe and Latin America.

[3] Nel 2010, dopo aver trascorso nove anni in una casa di riposo per anziani, Adelaida Gigli abbandonò questo mondo in una assolata giornata autunnale. Tutti i suoi dischi, le sue carte, i suoi appunti e le foto sono conservati nell’archivio comunale di Recanati.

 

Bibliografia

Adrián N. Bravi, Adelaida, Nutrimenti, 2024

 

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