Vincitori e finalisti del Contest letterario “La partigiana”
“Era la Rosina che gridava tutte quelle cose inventate e intanto si avvicinava al tedesco quasi a supplicarlo: «ammazza me, allora, sono io che le ho dato da mangiare, loro non ne sanno niente, erano già in casa…»” ‒ “La partigiana”
Si è conclusa il 21 luglio 2024 a mezzanotte la possibilità di partecipare al Contest letterario di poesia e racconto breve “La Partigiana” promosso da Oubliette Magazine, dall’autrice Beatrice Benet e dalla casa editrice Edizioni DrawUp.
La giuria del contest “La Partigiana” (Alessia Mocci, Beatrice Benet, Carolina Colombi, Antonietta Fragnito, Giovanna Fracassi, Alessandro Vizzino e Franco Carta) ha decretato i 14 finalisti dai quali sono stati selezionati due vincitori per ognuna delle categorie in gara.
Il premio per ciascuno dei vincitori consiste nell’invio di una copia del libro “La Partigiana” di Beatrice Benet edito nel 2024 da Edizioni DrawUp.
Oggi, vi presentiamo tutti i finalisti ed i quattro vincitori ex aequo del Contest “La Partigiana” (due per ogni sezione).
Tutte le opere partecipanti al Contest “La Partigiana” possono essere lette cliccando QUI.
Finalisti “La Partigiana”
Sezione A (Poesia)
“Ogni dì di maggio e giugno” di Alessio Romanini
“Nel silenzio della memoria” di Simona Trunzo
“TraMe” di Annalisa Pascai Saiu
“Se restiamo in due” di Santina Lazzara
“Laura Francesca Wronowski” di Maria Carmela Dettori
“Un universo d’amore” di Alessio Asuni
“Resta qui” di Achille Schiavone
Sezione B (racconto breve)
“Era l’alba” di Linda Carta
“Bianca” di Rodolfo Andrei
“Piero lo strano” di Maria Carmela Dettori
“Pensieri paralleli” di Sandro Spena
“Il Seme della Libertà” di Piero Baroni
“Hai il suo nome” di Elisa Gavio
“Canto delle partigiane ebree” di Peter Hubscher
Opere vincitrici contest “La Partigiana”
Sezione A (Poesia)
“Nel silenzio della memoria” di Simona Trunzo
Memorie nascoste nel silenzio,
dolori, rabbia, soprusi, nel silenzio.
Staffette dell’orrore nel silenzio,
un silenzio crudele che non ha niente a che vedere
con il silenzio della notte che nulla fa accadere.
Staffette dell’orrore
per un giorno migliore.
Donne silenti
contro i potenti.
Donne ricche di ideali,
che non fa rima solo con partigiani.
Donne bambine, figlie guerriere,
pronte a oltrepassare ogni barriera.
Vita o morte,
vita o libertà,
morte o dignità.
Morte per un futuro felice,
che non è solo donna.
“Se restiamo in due” di Santina Lazzara
inciampiamo sui morti
come sui sampietrini
la nuova tratta
è il disarmo virtuale
lo sguardo riverso alla gioia
dove s’è perso?
restiamo in due
a sentire le cose del mondo
la primavera ancora resiste
impazzisce cieli pesanti
e pozzi di terra silenti
ti prometto l’indignazione
il gioco di prestigio
il codice sotteso
la competizione
il disorientamento
il desiderio mancato
l’imprevisto
l’arma e il delitto
ti volevo regalare un sogno
l’illusione del vincente
ma qui da dove ti scrivo
è tutto in guerra
devi amare restare in vita
anche in mezzo alla ferocia
riscriverla
datti le tue regole
la parte in cui restare
abdica allo specchio
Sezione B (racconto breve)
“Bianca” di Rodolfo Andrei
Tutti in paese la chiamavano Bianca ma il suo vero nome era Adele. Erano i primi anni ’40, così bui per tutti ma Bianca riusciva a affrontarli con il sorriso tra le labbra. Con l’amata bicicletta Bianchi Campagnolo ogni giorno andava da zia Lisetta al podere delle Casalte. Al ritorno prima di scendere per via Solferino passava davanti al palazzo Comunale occupato dalle forze armate Tedesche, mentre la giovane sentinella tedesca posizionata all’ingresso recapitava a Bianca un sorriso folgorante. Dalla fine del ’42 i comandi tedeschi avevano collocato nella zona intorno a Chianciano battaglioni a difesa dei confini per coprirsi dalle incursioni degli alleati. Un pomeriggio di fine agosto, arrivata davanti al Comune, una pedalata fece saltare la catena della bici, che si bloccò.
“Tutto a posto signorina?” Chiese la sentinella.
Bianca alzò la testa e, mentre raccoglieva libri e noci cadute dal cestello, vide la sentinella dal dolce sorriso che la fissava.
“Tutto a posto grazie” Rispose lei.
“Buone queste frutte, anche noi in Germania essere. Come si chiama?”
“Noci, si chiamano noci, me le ha date zia Lisetta”
Rispose Bianca offrendogliene un paio.
“Grazie, mio nome Bose”
“Io sono Bianca” disse lei, lanciando al soldato un tenero sorriso di riconoscenza. Nei giorni successivi Bianca continuò a passare davanti al Municipio, quasi per incanto la bici rallentava e un paio di noci balzavano fuori dal cestello per finire tra le mani del biondo soldato.
Una mattina Bianca notò un’anomala agitazione, davanti al palazzo Comunale era posizionato un reticolato di ferro con militari che stazionavano poco distanti.
A casa suo padre stava organizzando la partenza dei due figli maschi, raccomandando loro di dirigersi verso le grotte della Parcia, sotto Sant’Albino, e di rimanere nascosti fino a nuovi ordini. Era appena passato l’8 settembre e l’armistizio aveva creato un clima di guerra ancora più violento di quello vissuto fino ad allora. Una sera mentre Bianca aiutava la madre in cucina qualcuno bussò alla porta di casa. Il padre appoggiato sul tavolo aprì gli occhi, le due donne si strinsero forte l’un l’altra. La porta si aprì e fecero capolini i riccioli scuri di Francesco, cugino di Bianca.
“Checco, cosa fai qui? È pericoloso!” Disse la madre di Bianca sorpresa.
“Ho poco tempo Bianca. Ci devi aiutare, abbiamo bisogno di te e della tua bicicletta per portare i viveri, e non solo, a chi è nascosto nella macchia.”
“No”, disse la madre, stringendo Bianca a sé, “Non se ne parla nemmeno, è ancora una ragazzina”.
“Tu sei l’unica” ‒ continuò Checco ‒“che hai la possibilità di passare oltre i posti di blocco di Poggio Faloppo. Vai da zia Lisetta e i nostri compagni partigiani sono nascosti poco più avanti”
Un gelido silenzio invase la stanza.
“Con la scusa del cibo dovresti portare dispacci per tenere in collegamento le brigate di Montepulciano con quelle di Chiusi”. Bianca fece un cenno di assenso con la testa, mentre la madre andò a chiudersi in camera. “Domani qualcuno ti darà istruzioni e il posto preciso dell’appuntamento” e, guardandola negli occhi: “Grazie cugina, grazie di cuore a nome di tutti noi”.
La porta si richiuse e i riccioli neri di Checco andarono nuovamente a mescolarsi con il buio della notte. Il pomeriggio seguente Bianca ebbe le istruzioni, nel cestello qualche pezzo di pane e qualche frutta, mentre alcuni minuscoli foglietti furono nascosti all’interno della canna della bicicletta.
Imboccata via Solferino uscì da Porta Rivellini ma, arrivata a Poggio Faloppo, una camionetta tedesca era posizionata proprio nel mezzo della strada e due soldati facevano da spalla al mezzo. Il braccio del soldato si alzò con vigore:
“Alt. Dove andare bambina?”
Bianca si bloccò e, alzando la testa, notò l’altro militare che immobile e silenzioso si asciugava la fronte dal sudore. Lo guardò meglio, era Bose. I loro sguardi si incrociarono silenziosi.
“Vado a portare da mangiare a mia zia, abita alle Casalte, dopo Fontecornino, è inferma a letto da mesi”.
Il soldato si avvicinò a Bianca. “Quindi vai da zia malata? Bene vengo io con te”.
Bianca rimase pietrificata, e fu in quel momento che Bose, appoggiando una mano sulla spalla del compagno esclamò: “Stai tranquillo Huter dice la verità conosco la ragazza, fa questa strada con la bicicletta tutti i giorni, è ben allenata lei”.
Bianca guardò Bose e capì che quel biondo soldato aveva intuito le vere intenzioni.
La quercia sul ciglio della curva era il luogo stabilito. Sentì un fischio e vide Checco che, allungando la mano, prese le cibarie e i foglietti, per poi inoltrarsi di nuovo nella boscaglia. Nei giorni seguenti più volte Bianca riuscì a passare lo sbarramento di Poggio Faloppo. Nelle ultime settimane molti mezzi armati e soldati tedeschi avevano lasciato le vallate toscane, dalla piazza del Comune gli automezzi si incolonnava per uscire fuori dal centro abitato e dirigersi verso Montepulciano. Bianca appoggiata alla bicicletta guardava il passaggio di quell’Armata Tedesca allo sbando. Poi, come per incanto, da sotto l’elmetto grigio spuntarono gli occhi azzurri di Bose. I loro sguardi si incrociarono e un complice taciturno sorriso abbracciò le loro labbra, mentre il giovane tedesco prese dalla tasca una piccola noce, facendola vedere a Bianca. Per un attimo la ragazza sentì il cuore fermarsi, non credeva che Bose potesse avere ancora con sé quel frutto.
Oggi sono passati più di settant’anni da allora, Adele, per tutto il paese di Chianciano Terme è ancora la piccola Bianca, e la vecchia bicicletta Bianchi Campagnolo riposa serena nel garage dell’anziana donna. Ogni 25 aprile la banda musicale inonda le vie e le piazze del piccolo paese toscano con quelle note di libertà che furono riguadagnate dopo tanti sacrifici. Bianca sa di essere stata anche lei partecipe di questa meritata riconquista, seduta in cucina ascolta quella musica quasi celestiale, salutando il passaggio dei suonatori con un fazzoletto tricolore e guardando con piacere l’immancabile cestino di noci sistemato al centro della tavola.
“Piero lo strano” di Maria Carmela Dettori
Prima di vincere il concorso lavoravo per un Ente che si occupava delle fasce più deboli della popolazione. Era il mio lavoro, indagare nella miseria e nell’emarginazione inventando rimedi per alleviare lo stato di povertà e degrado di tante famiglie.
Sì, quel sommerso silente eppur chiassoso, come mare dai mille umori fra vento e sole, mai veramente cheto, scosso dai tumulti di vita nel suo seno e dai capricci di uomini avidi e irriverenti. Così era in quei sottani, abbandonati come discariche abusive di cui si preferiva ignorare l’esistenza. Nelle case fatiscenti una lampadina mostrava quanto poteva illuminare, nessuna finestra per un raggio di sole. Eppure odoravano di dignità, umili, povere e pulite, come le donne che rispondevano al mio bussare, con un sorriso, ma negli sguardi un misto di diffidenza e di speranza.
In strada motorini e biciclette, rare le auto. Per sopravvivere, alcuni svolgevano lavoretti precari, ma era palpabile l’omertà verso chi si dedicava alla piccola delinquenza, all’uso e allo spaccio di droghe. Io con calma ascoltavo, era il mio segreto, ascoltare, a parlare erano le mie espressioni, tutta la loro attenzione era su di me, non sulla mia voce.
Sino ad allora, chi bussava alle loro porte cercava colpevoli, era il loro mestiere… ma non era il mio. Guadagnai presto la loro fiducia, conobbi storie di disperati, ma anche di prepotenti che dal giro delinquenziale probabilmente non sarebbero mai usciti, mentre tanti sognavano un’occasione che realizzasse la loro speranza di una vita migliore, una dignità che li rendesse uguali agli altri, non diversi, non emarginati, non rifiutati. Arduo, ma non impossibile. Ma ora erano lì, in attesa di concretezze, non di sola assistenza ed elemosine. E lì mi parlarono di Piero lo Strano, sui 20 anni, malato, non parlava, mugugnava, gesticolava, aveva sempre una penna in bocca. Non usciva mai di casa perché la famiglia si vergognava di lui. Cercavano qualcuno che lo facesse per loro. “Tu -mi dissero- potresti farlo, in fondo hai un buon carattere”, sorrisero e io sorrisi. E così conobbi Piero, con la penna in bocca e lo sguardo basso, mi accettò. Dal padre ebbi auto e benzina per tenerlo fuori ogni giorno, pranzo escluso. Entusiasta mi seguì, salimmo in auto e andammo al parco, si guardava attorno stralunato, non so se provasse gioia per l’aria che respirava o nel vedere che il mondo stava fuori di casa. Passeggiammo e lui guardava i bambini che giocavano, ma soprattutto i giochi.
– Vuoi provare un gioco?
Accennò un si e ci avviammo verso un’altalena. Lo convinsi a sedersi e a tenersi alle catene, penna sempre in bocca, cominciai a dondolarlo lentamente rubandogli più di un sorriso. Sentivo su di noi lo sguardo della gente, alcuni tenevano i figli ben stretti perché non si avvicinassero. Ma a noi non interessava. Tornò a casa felice e mi abbracciò. Ogni giorno cercavo di riempirlo di esperienze mai fatte, di gioie mai avute. Gli feci conoscere il mare portandolo a casa di amici, tra i quali era semplicemente uno di noi. Immaginare la sua meraviglia e la sua gioia era facile, saltellava eccitato sulla riva a braccia aperte come un gabbiano in procinto di volare, per la prima volta mi diede la sua penna e seguì gli amici in acqua. Io lo guardavo e mi domandavo perché i genitori gli avessero negato tante gioie, come ci si potesse vergognare di un figlio malato. Ma lo guardavo e mi bastava vederlo felice.
L’ultimo giorno arrivò. Non era mai salito su un autobus, quel giorno vi salimmo per recarci al parco. Sul bus sguardi curiosi, ma era quasi ‘normale’ anche se sgradevole, e a lui non importava. A un certo punto volle scendere, desiderava un gelato.
Entrammo nel primo bar. Il modo in cui il barista e altri presenti lo guardarono mi disgustò, ma quello era niente quando vidi il gesto della mano del barista che indicava l’uscita ‘qui lui non deve entrare’. Lui con la sua penna in bocca e gli occhi bassi. Lasciai perdere mentre Piero mi chiedeva il gelato. Lo ordinai. Il barista divenne furioso e con tono minaccioso mi disse:
– Uscite! qui non vogliamo gente come ‘quello’, la sua vista disturba i clienti.
Piero continuava a mordicchiare la penna mentre aspettava il gelato. A quel punto fui io a diventare furibonda, mi avvicinai al banco, fissai con disprezzo i presenti e mi rivolsi al barista:
– Non so se lei abbia un cervello e soprattutto un’anima, ma adesso chiederà scusa al ragazzo, gli darà il gelato e dopo starà zitto, zitto!, sino a quando usciremo. O chiamo subito carabinieri, polizia, Sindaco, Papa e Presidente. Ha capito? E si VERGOGNI!
Piero osservava muto, ma io intravvedevo un sorrisetto. Gli feci l’occhiolino, aveva un deficit, ma non era stupido ed era sensibile. Ricevette le scuse digrignate fra i denti e il suo gelato, lo mangiò e uscimmo. Finì la giornata e finì il mio mese con lui. Lo abbracciai e una lacrima scese dagli occhi di entrambi, la penna cadde ancora per terra, mi diede un bacio sulla guancia, che ricambiai. Ma dovevo andare. Diedi alcuni consigli ai genitori, non pratici, ma di natura umana e affettiva, dicendo loro quanto amore avevano perso sino ad allora, ma quanto ancora potevano recuperarne. Un grazie e ci lasciammo. Sapevo già che Piero lo Strano la mattina seguente mi avrebbe aspettata speranzoso alla porta. Non lo rividi più, il bando era arrivato e il lavoro mi portò lontano. Conobbi altri Piero lo Strano, tanti, dai problemi più disparati e anche tragici, il tempo passava, ma lo sguardo di molta gente ancora non cambiava.
Voleva soltanto andare lontano,
uscire da casa e guardare il mondo,
volare come vola un gabbiano,
ridere e fare un bel girotondo.
La penna in bocca Piero lo Strano,
entriamo nel bar quello là in fondo,
lo fissano tutti e vola una mano,
come a scacciare un essere immondo.
Lui mi guarda e mi chiede un gelato
“Lo faccia uscire, non è gradito”
sbotta il barista seccato e imperioso.
“Sei povero, triste e maleducato”
gli dico con tono assai minaccioso,
“Dagli il gelato, sorridi e stai zitto”
***
“Il fiato le si gelava in gola mentre con passo svelto continuava a salire lungo un sentiero che neppure vedeva, un po’ perché coperto di neve, un po’ perché soltanto tracciato, più adatto alle capre che a qualcuno in fuga.” ‒ “La partigiana”
***
I vincitori del volume “La Partigiana” saranno contattati via e-mail per l’invio del premio.
Complimenti ai vincitori, finalisti e partecipanti del Contest “La Partigiana”
Info
Acquista il libro “La Partigiana” su Amazon
Maria Carmela
Onorata e felice della vincita nella sez. Racconti e finalista anche nella Poesia.
Ringrazio tutto lo staff per l’impegno sempre profuso.
Congratulazioni a tutti i finalisti e agli altri vincitori.
Complimenti :)
Complimenti ai vincitori di entrambe le sezioni!
Sono felice di aver partecipato e di essere arrivato in finale
con ottime poetesse e poeti.
Grazie anche agli organizzatori e alla giuria.
Alessio
Grazie a te Alessio! E complimenti per il posizionamento! Ci teniamo a ribadire che i contest sono piccoli giochi di scrittura che vogliono non solo premiare con un libro ma incentivare alla lettura di tutti i partecipanti! Tanti meritevoli sono stati esclusi dai finalisti, capita sempre!