Fernando Delìa: un raffinato artista sotto la toga d’avvocato

La vita di Fernando Delìa è stata tutta spesa con dedizione convinta e autentica, anche se un po’ sorniona, ai valori in cui credeva.

Fernando Delìa artista opera Il collegio di difesa
Fernando Delìa artista opera Il collegio di difesa

Nato a Trieste nel 1939, ha dimostrato già da giovanissimo grande predisposizione per il disegno e la scultura. A Torino si è laureato in Giurisprudenza e ha esercitato la professione forense, guadagnandosi la stima e la simpatia dei colleghi. Ha continuato al tempo stesso a coltivare la passione per l’arte e del 1975 è la sua prima personale alla Galleria ‘La Conchiglia’, seguita da molte altre mostre con le quali si è fatto conoscere e apprezzare in tutta Italia.

Due suoi busti, che ricordano l’avvocato Fulvio Croce, assassinato dalle Brigate Rosse, e il magistrato Bruno Caccia, ucciso dalla ‘ndrangheta, sono esposti al Palazzo di Giustizia di Torino; un busto di Benedetto XVI è stato inaugurato nei Giardini Vaticani alla presenza di Papa Francesco.

Delìa ci ha lasciati nel 2022 e nel 2024 il MIIT di Torino gli ha dedicato la mostra antologica “Fernando Delìa. Artistico guazzabuglio”, dove sono state esposte più di 50 delle sue opere.

La professione forense è stata per l’artista una ricca miniera d’ispirazione. Terrecotte come “Il collegio di difesa”, “Gli inquirenti”, “Ascoltando l’arringa della controparte”, “Consultando il codice” e bronzi come “Simbiosi mutualistica”, sono sberleffi arguti a un ambiente rigido e pomposo, che si dimentica di essere composto da uomini che devono giudicare altri uomini e si perde nei codici e nei formalisti.

Le sculture di Fernando Delìa sembrano sovente non rifinite, eppure la loro forza e il loro messaggio è concreto e senza ambiguità. Gli atteggiamenti dei personaggi, spesso pomposamente esagerati, la loro stanca e lenta saggezza, vera o presunta, il loro muto interagire, creano atmosfere di un realismo grottesco, ma che sempre realismo è.

Ne “Il collegio di difesa” i due avvocati, entrambi con gli occhi chiusi, le labbra atteggiate in uno stanco e disgustato disprezzo, uno alto, magro, con il dorso della mano sulla fronte, l’altro quasi raggomitolato in se stesso, le dita che sostengono la mascella, sembrano un unico mostro bicefalo pigro e lento, solidamente piantato a difesa di un invisibile cliente.

Diverse opere sono dedicate ai ritratti di famiglia. In esse si sentono attenzioni e affetti veri, caldi, una tenerezza quasi commossa: le dita dello scultore hanno lavorato con cura, hanno rifiutato ogni ironia per rendere fedelmente gli sguardi, i sorrisi, e cercare di catturarne la complicità. Storie private di cui si diventa immediatamente partecipi, come per “Quando ancora sorridi alla vita”, “7 anni, l’età (ahimè) della ragione”, “Cecio”, “E scoprirsi improvvisamente donna”. I titoli sono sempre molto eloquenti.

“La sciarpa del nonno” è una splendida terracotta, preparata dall’artista avendo come modello due fotografie, che ci mostra un bambino sorridente, il berretto di lana con due simpatiche orecchiette, un cappottino, le mani in tasca e, appunto, la lunga e calda sciarpa del nonno, annodata intorno al collo.

I critici d’arte ricevono un probabilmente meritato dileggio nella terracotta “Il critico”. L’uomo è mostrato senza capelli, seduto in punta di uno sgabello, i gomiti sulle ginocchia, le dita delle mani che si toccano; il corpo è tutto proteso verso l’opera d’arte: un cubo con sopra un cilindro cavo e una sfera. Il critico è concentrato.

Pensa, riflette, probabilmente sta per emettere il suo inappellabile giudizio mentre, chissà, mi fa piacere pensare che, nascosto da qualche parte, l’artista lo osservi incerto, tra paura e speranza.

Molto più feroce e graffiante è la satira in “L’onorificenza (un’ora prima della cerimonia)”. Il premiato si sta vestendo con eleganza, curvo all’indietro per l’orgoglio mentre le mani si affannano attente sul nodo della cravatta. Alla superbia della posa, fa da contraltare il corpo nudo dall’ombelico in giù, con le gambe corte e tozze, e la virilità piccola e spenta.

Fernando Delìa opere
Fernando Delìa opere

Un filone dove il sorriso scompare è quello della serie “I miei incubi”. “Un rimorso”, “Verso il baratro”, “Il calunniatore”, “È l’ora”, “L’ineluttabile compagnia” per citarne alcune delle sculture, richiamano paure che ognuno di noi ha nascoste dentro la propria anima e a cui in certi momenti non si riesce a impedire di riemergere.

L’abilità dell’artista, e dispiace che non abbia portato oltre i propri lavori in tale ambito, è inoltre particolarmente interessante in opere classiche come “Pigmalione e Galatea”, “La cicuta o la morte di Socrate” e in un promettentissimo “Bozzetto per un compianto sul Cristo morto”.

Finisco segnalando un bassorilievo in gesso di Fernando Delìa: “Pulcinella. Fate la pace.” Due piccoli Pulcinella hanno litigato e ora sono seduti a terra sotto un’arcata, guardando in basso. Due Pulcinella più grandi sono chini su di loro: non possiamo sentire le parole, ma vediamo i loro gesti, le mani che si posano sulle loro spalle. Fate la pace. Fate la pace.

 

Written by Marco Salvario

 

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