“Antropologia per intelligenze artificiali” di Filippo Lubrano: al di là del conosciuto

Antropologia per intelligenze artificiali di Filippo Lubrano è un saggio… e stavo per scrivere: è uno dei tanti saggi che, al pari di quelli che ho letto recentemente, di Lisa Iotti, Luciano Floridi, Matteo Di Michele e Juan Carlos de Martin, affrontano il primo (nel vero senso della parola), urgente e problematico argomento che riguarda attualmente l’umanità: il mondo che, a seconda da come lo rigiri, appare sempre più immerso in un’ormai definitiva, sempiterna AI o IA: Artificial Intelligence/Intelligenza Artificiale.

Antropologia per intelligenze artificiali di Filippo Lubrano
Antropologia per intelligenze artificiali di Filippo Lubrano

È l’argomento che oggi va per la maggiore: e mi preoccupa! Non confido nella quasi religiosa affermazione che compone la prima metà dell’esergo: “Un anno passato nell’intelligenza artificiale è sufficiente per far credere in Dio” – di Alan Jay Perlis, ma piuttosto nella seconda che è: “Writers become writers because they dont’t know any better” – emessa da un misterico (almeno per me) “InspiroBot AI”, e anche su di essa avrei qualcosa da eccepire, essendo dell’opinione di Hemingway che si scrive per poter meglio sanguinare,

Ma lo confesso: io traffico nel mondo dei computers dal 1988 (allorché incontrai il mio piccolo, delizioso, miracoloso, fantastico Apple II c: 128 k di acume cibernetico!), a differenza delle varie IA o AI io tendo talvolta a perdere il filo, tale è il mio destino d’uomo, ma poi, che faccio?, mi fermo, rileggo quanto ho scritto, e riprendo il discorso… ma la cosa non mi viene altrettanto bene se sto parlando, talvolta mi raccapezzo, talvolta no, il computer invece si raccapezza ogni volta, inesorabilmente… anzi non si scapezza mai… ergo: non posso che desiderare di capire cosa rimanga della mia intelligenza al cospetto di quell’Altra. Il termine che ho usato è improprio, in quanto io non traffico, nel senso che non commercio, però, come si dice in arşân tésta quêdra, reggiano dalla testa quadra, come ci chiamò spiritosamente il Tassoni, mé e negòsi, negozio, discuto, m’incavolo, risolvo, ricado in una nuova problematica, ne riesco di nuovo, e tutto questo da svariati decenni. Ormai ho quasi maturato il diritto alla pensione di anzianità cibernetica (magari ex lege 335/1995, che è stata orridamente abrogata dalla nuova legislazione).

Dall’intrigante Prefazione di Francesco D’Isa riporto il termine “Weltanschauung”, che altro non è se non la concezione del mondo com’è vista da una posizione x,y,z, nel tempo t: la tua, o la mia…

Alle pagine 33/34 colgo una delle tante elencazioni che, come si suol dire, vanno di moda nei saggi e nei manuali moderni: “sei” sono “le principali dimensioni per valutare il relativismo culturale, almeno in campo lavorativo.” – che non cito perché la mia non intende essere una sinossi, semmai un invito a leggere l’opera originale. È soltanto una reazione psicologica e poco più (e poco meno).

A pagina 36 colgo una banalità, del tipo di quelle indicata da Salvatore Patriarca in Elogio della banalità, una verità conclamata da mille un ban-ditore: quando cerchi una parola sul più noto motore di ricerca occidentale, “l’algoritmo del Page Rank” ti proporrà quel che Lui, il Grande Fratellino cresciuto troppo in fretta, crede che più ti occorra, perché Lui ti conosce come nessun altro, come neanche tuo figlio Michelangelo, che ora sta lavorando in un set cinematografico in Val d’Orcia, o di tua figlia Anna, che sta studiando all’Alma Mater di Bologna, e che perciò Lui, che talvolta mi viene di chiamarlo Zio, come Zia è la sua consorte più culturale, colei che sa tutto di tutti, e che segnala pressoché in tempo reale la morte del VIP di turno, Lui, dicevo, spesso e volentieri, mi manda inviti a leggere news riguardanti la provincia di Grosseto e il film in questione e di quel che avviene di significativo nella città felsinea. Si pensi che un paio di volte vi ho persino rinvenuto un mio articolo edito da Oubliette. Quel che non mi spiego è come mai, se metto Stefano Pioli, escano in primis dei links riguardanti un football trainer parmenseBoh! Che è l’interiezione che una IA o AI mai si permetterebbe d’emettere in alcun modo.

“Ora, sia ben chiaro: non capirsi è umano…” – direi che è anche matrimoniale e familiare. Di fatto le persone che, nell’umana vicenda, più frequentemente si sono fraintese sono quelle con cui si è più intimamente convissuto. Con ciò intendo condividere la problematica che purtroppo non è stato ancora concepito un matrimonial translater. Aspettiamo (con ansia), dai. Per ora accontentiamoci dell’elencazione di “ventitré principi per affrontare le problematiche etiche, sociali, culturali e militari dell’IA…” – che, per fortuna, l’autore non esplicita.

Leggo a pagina 55 dei due fini insiti in quest’opera, che è intesa quasi spiritualmente come un “viaggio”: “la comprensione delle diverse intelligenze umane, e la profilazione e immaginazione delle diverse intelligenze artificiali che queste produrranno.” – e tutto questo ha un significato sotteso: “… l’ignoranza è la nonna della conoscenza; la curiosità è figlia della prima, e madre della seconda.”al che il sedicente libero pensatore Jiddu Krishnamurti potrebbe suggerire che, va bene, sarà anche così, ma che ne vogliamo fare della sua consanguinea più intelligente, che risponde al nome di consapevolezza? Egli si poneva Al di là del conosciuto, espressione con cui intitolò una sua opera, nel senso che egli non permetteva ai dati culturalmente acquisiti di deviare la sua indipendente osservazione del mondo esterno.

“Il primo passo” da compiere ècomprendere che le persone non pensano allo stesso modo, e che le culture in cui cresciamo influenzano pesantemente il nostro processo logico...” – e qui Jiddu probabilmente annuirebbe, dall’altro dei cieli (sempre che sia on line).

La Prima Parte de Antropologia per intelligenze artificiali che sto leggendo riguarda le intelligenze umane, colte sotto l’aspetto propriamente antropologico, e vi si esaminano le differenze mentali (leggi: psicologiche) fra chi abita nei due mondi, occidentale e orientale. Principalmente: europei e americano da un lato, e cinesi dall’altro.

Secondo Confucio vi sono cinque relazioni umane. Secondo il mio teologo Padre Aldo Bergamaschi (che finì per benedire la mia ignoranza di dio), ve ne sono principalmente tre: l’uomo e la donna, l’uomo e lo stato, l’operaio e il padrone. Risolti gli eventuali conflitti che ne possono scaturire, e non prima, si poteva realizzare un’Ekklesia. Non riporto l’elenco confuciano, accontentandomi di dire che non v’ho colto traccia di rapporti di dipendenza socio-economica (che siano sottesi?).

“… il posto sul piedistallo nel sistema di valori orientali è dedicato interamente all’armonia, sull’altare della quale la scuola confuciana è disposta a immolare la verità e l’autenticità.” – vorrei che Padre Aldo fosse qui, seduto alla mia console, e dicesse la sua; in sua vece tocca a me, e sento che potrei averlo frainteso. Quel che contava per lui era il rispetto, che Teresa di Lisieux, di cui sto leggendo una per me frastornante raccolta di pensieri, chiama banalmente amore (di natura divina e assoluta). Che sia la stessa cosa dell’armonia? Sento che non è così, perciò vorrei capire…

“Nella cultura occidentale c’è un vero culto nei confronti dell’autentico e dell’originale…” – tanto che può diventare un problema quasi insolubile. Faccio un esempio. Mio padre ha lavorato 47 anni alle OMI Reggiane, che era una delle più industriose fabbriche del Nord Italia, fino a quando entrò in crisi e poi fallì miseramente. I suoi ambienti sono stati per anni il variopinto (nel senso anche di ricco di murales) mondo degli extra-comunitari che vivevano colà non avendo un miglior territorio in cui domiciliarsi. Ci fu, a riguardo, anche un’avventurosa inchiesta da parte di un inviato di Striscia la notizia. Bene. Cioè, Male. Circa un anno fa le autorità cittadine decisero l’evacuazione del territorio. Per cui esso è ora in parte abbandonato e in parte destinato a un nuovo utilizzo.

Due storie vi convivono: quella industriale e quella artistico-etnica-sociale. Quale vincerà? Saranno distrutti quei murales? Saranno ritinteggiate quelle antiche muraglie? Nel caso fosse rimesso tutto a nuovo, qualcosa di storico svanirà, in caso contrario il vecchio riapparirà. Un po’ quello che è accaduto alla Cattedrale di Amalfi, che fu in parte devastata da un terremoto circa tre secoli fa e che poi fu ricostruita con un gusto arabeggiante, diverso dall’originale. A sinistra per chi entra, è però rimasta quasi integra la primitiva cappella, ora destinata museo. Ma qualcosa è sparito per sempre…

Diverso destino ha avuto “la Città proibita di Pechino” – che da sempre ho sognato di visitare (da quando lessi che uno dei figli di una sovrana inglese disse che non era poi quella gran cosa).

“L’intero complesso è datato XV secolo, e fu interamente costruito in legno…” – e “… gli edifici subirono ogni tipo di rivisitazione: incendi e problemi manutentivi portarono a numerose distruzioni e successive ricostruzioni. Non esiste una singola asse di legno nell’attuale Città Proibita che fosse presente in quella originale.” fu proibito il rinnovo uguale al precedente, perché, nella vita, occorre guardare in avanti (invito che ho spesso sentito dire da gente saggia), ché chi si ferma è perduto (detto tradizionale).

Varie pagine dopo si parla del vuoto e del pieno, secondo le opinioni divergenti di pensatori come Descartes (che predicava “l’inesistenza del vuoto”), di Torricelli, nonché di Pascal (che, similmente, la pensavano in maniera opposta). Solo per dire quella dei fisici quantistici, il vuoto pullula di virtualità, senza di cui la realtà non può fare a meno! Trattasi di vuoto operativo! Si tenga presente che la parte oscura dell’universo occupa ben oltre il 90% dell’intero Kósmos.

A complicare la questione, giunse un tale di nome “Heidegger che compì un mezzo “furto confuciano” – dicendo che “è il vuoto che definisce la funzione del vaso” – com’è l’interazione elettromagnetica che fa sì che un pugno altrui ti schiaccia il naso, pur rimanendo un’assenza di materia fra quelle di-rompenti nocche (anch’esse per lo più vuote di materia) e la tua faccia. Se il nucleo atomico fosse come un pallone posto al centro di un campo di football, i primi elettroni svolazzerebbero sugli spalti, gli ultimi chissà dove, dipendendo dall’elemento preso in esame.

“… in Svezia, esiste il termine conflittofobia…” – per cui si è “anticompetitivi senza essere genuinamente cooperativi.” – e secondo me i norvegesi vanno oltre. Ricordo a proposito l’amara storia di un indigeno acquisito pixuntiano (a.k.a. pisciottano), a cui la moglie affidò un melone di pane (popone) perché bussasse alla porta di una famiglia de quella nazione di laghi e fiordi, che erano in affitto a pianterreno. Egli (io) suonò il campanello, il turista (che era un giornalista) aprì l’uscio, scorse il melone, lo prese, proferì un quasi silente Thank you, dopo di cui richiuse la porta dietro di sé.

Situazione in Cina: “… premesso che il Partito comunista cinese è una delle organizzazioni più meritocratiche del mondo” – i (migliori) studenti sono impegnati a a gestire tre situazioni: “Servizio Civile, Imprese di Stato e Organizzazioni Sociali, come per esempio le università.” – dopo di cui, vinca il più meritevole. Egli governerà quel che riuscirà, anche lo Stato, in ultima analisi, se la Logica Necessaria, non tanto il Mero Caso, lo deciderà, nella più umana e quasi disumana delle meritocrazie. Ho così azzardata la mia traduzione in piolese degli argomenti addotti dall’autore.

Nel mondo occidentale in genere vi sono delle libere elezioni (mentre in Cina esse mancano da tempo immemorabile, o forse non ci sono mai state), e va al poter chi vince una gara basata su regole oscure ma funzionanti. Diversamente non si spiegherebbe come vi siano tanti eletti indagati, se non addirittura condannati. Se uno pensa alla situazione italiana, in effetti, c’è da mettersi le mani nei capelli. Ricordo che in un pullman che da Salerno recava i turisti ad Amalfi, in cui noi passeggeri eravamo schiacciati come sardine, l’uno addosso all’altro, mi capitò di far conversazione con una coppia del Queensland, a cui chiesi, scioccamente (e con malcelata e provocatoria curiosità) se i loro politici fossero onesti. L’immediata risposta di uno di loro mi colpì: Of course!diversamente mica li avremmo eletti!, (non fece quest’ultima precisazione, però il suo stupito sguardo la sottintese).

In Cina lo stato è totalitario e financo oppressivo, ma i membri del governo sono necessariamente onesti e interessati al bene della patria e dei cittadini. Questo traspare dalle pagine del presente saggio. Mi auguro di non aver frainteso. Quel che però faccio fatica a capire è se la condiscendenza del popolo sia dovuta a una razionale fede (ossimoro?!) nazionalistica, oppure a una sorta di lavaggio mentale. I risultati, a quanto pare, sono insolitamente ottimi. La Cina sta diventando un colosso quasi in ogni campo dello scibile e della tecnologia. Proprio in questi giorni una mia amica si vantava che un nipote che studiava in una prestigiosa università milanese avesse ricevuto una votazione molto buona in un esame, la quarta dell’intero istituto, aggiungendo: i voti più alti sono stati di tre cinesi, ché quelli non li batte nessuno!

Oggidì, ovunque tu ti trovi, tutto si evolve in maniera inesorabile: “Se il valore in cui credi è il cambiamento, rinnovare continuamente è l’unico modo per tenere fede ai tuoi principi” – e questo vale per qualsiasi aspetto sociale e culturale, e anche glottologico.

Nel saggio Antropologia per intelligenze artificiali ho colto numerosi termini che ignoro o che non so se ignoro, come: “litoti” – “il famoso pivoting, in gergo startupparo) – “il nudging” – “un buon diorama” – “decluttering casalingo” – e “dei cluster di professioni a rischio” – “complicatissimi upskilling” – “soft skills” – “i concierge” – “hipe” – “venture capital” – “sweet spot” – “a volte indubbiamente skeuomorfico” – come no! – etc etc… Mi pare giusto segnalare che il termine apparentemente maccheronico è talvolta in corsivo e talvolta no: a gradimento più dell’autore, forse, che del lettore.

“Essere nati in una delle due culture impedisce di essere oggettivi riguardo al tema di quale sistema di comunicazione sia più efficiente.”nemo propheta in domo aliena.

“È evidente che qualsiasi guerra commerciale con la Cina oggi può essere solo dichiarata, ma mai davvero combattuta da nessun capo di stato mondiale.”la pace, in genere, anzi: per tutti gli umani, rende sempre di più della guerra (a meno che tu non traffichi in armi).

“La direzione in cui muove il pensiero asiatico è quella del progressivo distacco dal sé, e quindi dall’egocentrismo, in favore di un collettivismo che trova la sua piena realizzazione in Cina.”così lontana e così vicina Cina!

La Seconda Parte de Antropologia per intelligenze artificiali è Intelligenze artificiali. Una volta il modello dell’IA era “dirigista” – mentre ora è “simbolico” – cioé più “in autonomia” – più “evoluzionista” – cioè vivo e vivace, forse anche mordicchiante. È come allevare un coniglio in una gabbietta chiusa, per poi pigliarlo per la gola, dargli una botta in testa, cucinarlo e mangiarlo. Oppure lasciarlo libero di girovagare in cucina, in attesa di quel fatale evento. Sarebbe più problematico, ma forse la sua carne sarebbe migliore. Sono consapevole di aver usato una metafora eccessiva, che può però servire a dare un’idea. Un coniglio può facilmente scappare, una IA no, o almeno si spera, anche se ho sempre in mente i film 2001: Odissea nello spazio e War games.

Il saggio elenca le celebri “leggi di Asimov” afferenti alla robottistica, a cui se ne aggiunge una quarta, che ignoravo e che sta scritta, lo dico a chi è eventualmente interessato, a pagina 232.

L’autore compie numerose narrazioni, tanto che questa parte pare un romanzo autobiografico, ambientato un po’ dappertutto, essendo Lubrano un girovago (a fini professionali) come pochi. Egli ha visto cose che noi arşân ignoriamo… ma il discorso vale anche per lucani, sardi etc… per esempio che la Nigeria è “l’eterna promessa” – non ancora mantenuta, ignoro in che senso.

Fatto sta che, per quanto attiene la IA, “c’è chi sostiene che esiste anche una soglia oltre la quale l’algoritmo di Zuckerberg è in grado di conoscerti meglio di te stesso. Altro che gnothi seauton.”

I cinesi sono i numeri uno. In cosa? Non so, al momento sono fatti loro, che prima o poi (prestissimo) diverranno nostri. In una riunione svolta all’estero, l’autore disse ad alcuni di loro che, se volevano, poteva mostrare loro alcune funzioni proibite (dalle autorità del loro paese) e il cola cola di turno gli replica: “Se il mio governo dice che non devo vederlo, vuol dire che non devo vederlo.” – la qual cosa è “molto difficile da comprendere da una prospettiva europea, è chiaro.” – e l’autore dispensa spesso queste frasette colloquiali, che tentano di stabilire una liaison psicologica col lettore (in genere riuscendovi). In Italia (non solo nel Sud) vale invece il proverbio: Passata la festa, gabbato lo santo!

La Cina è il luogo del pianeta dov’è installato il maggior numero di telecamere fisse e chi sgarra socialmente, passando per esempio col semaforo rosso, rischia la reputazione, per cui sa che deve badare a “non perdere la faccia”. La frase originale nel testo è però scritta in positivo: “la priorità sociale numero uno è quella di ‘non perdere la faccia’…”  io l’ho tradotta in italianese. Uno dei motti cinesi è: “se non hai nulla da nascondere, non hai nulla da temere” – ma ignoro quanti scheletri eventualmente affollino gli armadi di Pechino-Peking-Beijīng.

Filippo Lubrano mi sta cercando di convincere che può succedere che ci sia al mondo qualcuno pronto ad accettare il proprio governo, come accade a quanto pare ai cinesi, che in Lui hanno una grande fiducia. Se noi diciamo: Piove governo ladro!, loro dicono: Oh! Li Quiang ci sta innaffiando i gerani! La battuta è mia, non di Filippo, c’ho il copywright e sento che la utilizzerò spesso. Si tratta di un caso che mi pare sospetto: può esistere una monarchia aristostelica che sia onesta (almeno nella misura del 73,292925%)? Boh (detto sempre umanamente)!

A pagina 283 prevengo mentalmente di pochi secondi una frase dell’autore. Questa è la frase del “Presidente cinese Xi Jinping” – di cui conosco poco altro che il nome: “Quando gli imprenditori privati diventano ricchi dovrebbero diventare saggi e socialmente responsabili.” – per cui stavo pensando ad Adriano Olivetti, e l’autore scrive: “Una visione olivettiana dell’imprenditoria, a oggi in verità piuttosto rara in Occidente” – il Cavaliere Olivetti era una rarità del tutto italiana, mi sa.

Filippo Lubrano citazioni
Filippo Lubrano citazioni

Uno dei detti che accompagnavano gli anni detti di piombo, era che il più grande cuoco del mondo era il Master Chef Mao, il quale riusciva a sfamare un miliardo di cinesi. A quanto pare, durante “Il Grande Balzo” – a causa di certe cattive previsioni, per la malnutrizione, “morirono tra i 14 e i 43 milioni di cinesi.” Più giocosa è la battuta riportata dall’autore a pagina 287, su “Mark”, “Alexa” e “Siri”: per cui ride bene chi ride orecchieggiando on line.

Diversi comportamenti: “… la maggior parte delle persone asiatiche, dovendo scegliere se slavare un adolescente o un vecchio saggio, apporterebbero per la seconda opzione.” – al che mi piacerebbe tanto sapere cosa farebbe il buon Confucio nel caso dovesse scegliere fra salvare la propria inclìta saggezza o l’ingenua gaiezza del suo amato nipotino.

“Oltre alle persone che muoiono, ci sono poi fin a cinquanta milioni di persone che rimangono seriamente ferite in seguito agli incidenti stradali.” – io ci ho perso un papà, travolto mentre stava attraversando le strisce con un sacchetto di pane in mano. Meno che settenne, io fui invece sballottato a distanza da un’auto, mentre, sempre sulle strisce, stavo attraversando la strada che mi conduceva alla parrocchia dove dovevo subire il quotidiano catechismo cattolico: per cui sarei salito dritto in cielo, se, con un miracoloso colpo di reni, non fossi riuscito a ridurre l’impatto col veicolo. Ancora ne reco una cicatrice su lalto sinistro della nuca, a cui non saprei rinunciare. Gran parte della mia salvifica naïveté la devo probabilmente a essa.

Un’interessante questione la colgo a pagina 295: “… più macchine a guida autonoma ci sono su strada, più la guida stessa diventerà sicura.” – e più economica, stante la contravvenzione che pare come spiare il tuo di dietro da quegli spietati autovelox: una sera fui multato per un increscioso eccesso di velocità, poiché scorrazzavo come un pazzo a 57 chilometri orari, ove il limite era chiaramente (si fa per dire, era quasi mezzanotte e, non essendo una zona artica, c’era un buio fitto) fissato a 50. Dirò di più: io non odio il postino, poveretto, anche lui è un cittadino e un essere umano come me, però quando suona il campanello mi viene un crepo… che vorrà? Mi rompe l’idea di scendere e di firmare quell’immonda busta verde! Per cui, quando si accontenta di dirmi: Poste, grazie!, io rispondo, tutto giulivo: Grazie a lei! Questo meccanismo dei rilevatori di velocità e delle multe a domicilio crea un allontanamento psicologico fra il cittadino e chi amministra l’ordinamento sociale. Se uno poi non paga, sono grane anche penali! Se fossi un cinese tutte queste sensazioni forse non le proverei. Che ne dici, Matteo? Spiego alla gentile utenza che Matteo, che lavora presso uno studio, talvolta mi telefonava per talune pratiche amministrative, usando un accento che più bianco/emiliano non poteva essere, nemmeno adoperando il candeggine. Quando lo vidi per la prima volta rimasi di stucco. Era nato nello Zhejiang!

“Potrebbe volerci ancora più tempo prima che il software diventi competitivo con il buon vecchio Homo sapiens in Cina, dove la mano d’opera rimane relativamente a buon mercato.” – vorrei anche confrontare, se possibile, la legislazione sociale, e chiedere soprattutto sull’aspetto assistenziale. Non so quali e quante sorprese potrei avere.

In Europa si tenta di salvare il salvabile, e anche qualcosa di più: “… le macchine intelligenti dovranno sempre operare in favore della realizzazione dell’autonomia dell’uomo, e mai riducendola.” – eppure, anche qui, inevitabilmente la delinquenza on line è sottesa, se si pensa a quanti messaggi si ricevono quotidianamente via mail e on line. A mia figlia, allora manco diciottenne, scrisse su un social un sedicente soldato americano in stanza in Iraq, dapprima scusandosi perché aveva confuso il destinatario, e il giorno dopo chiedendo dei soldi (anche una cifra medio-piccola). Quando lei gli disse che in Iraq da pochi giorni non c’erano più militari USA, quello immediatamente le rispose (forse si aspettava l’obiezione). Sì, è vero, ma io qui sono in missione segreta! Tutto ciò in un correttissimo inglese! Il quesito non so quanto finale potrebbe essere: “Chi decide chi decide?” – che fa seguito al precedente: “Chi decide?”

Sui “CRISP” qualcosa so, per aver letto Riscrivere l’umanità di Kevin Davis – un saggio che mi ha in parte inquietato e in parte tranquillizzato, non so bene perché.

L’autore si preoccupa (lo dico con parole mie) che, passata la pubblicazione, gabbata la novità. Le cose che sono in essa racchiuse, potrebbero diventare banali e risibili en l’espace d’une matinée!

A me questo poco interessa, poiché questa lettura m’ha donato una minera d’informazioni che mi saranno utili anche ne l’après-midi d’une faune, nonché nella rimanente parte del sabato del villaggio (inevitabilmente globale).

Le questioni poste m’aiuteranno a capire quelle che si presenteranno in seguito. Di questo, soprattutto, ti sono grato, caro il mio cybernetic and human blood relative Filippo Lubrano!

La Cultura è una perenne e discontinua serie di magnifiche sorti e progressive, (leopardesca espressione che non ti dispiace, a quanto ho notato), emesse da entrambi i lati del tempo, che un ombroso seppur iridescente nume, il cui viso è bifronte, riflette verso di noi dall’alba dei tempi.

Amen e così via!, come spesso dice il saggio Kit Carson.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Filippo Lubrano, Antropologia per intelligenze artificiali, D Editore, 2023

 

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