“La città dei vivi” di Nicola Lagioia: l’orrendo omicidio di Luca Varani

Quando a pagina 370 di “La città dei vivi” Nicola Lagioia (temporaneamente trasferitosi a Torino per dirigere Il salone del libro) scrive: “A mancarmi così tanto era la sensazione di assoluta libertà che a Roma era sinonimo di sfascio, anarchia e trascuratezza”, in un certo senso traccia i confini di un luogo dell’anima senza limiti che, come un fiume carsico, attraversa le 460 pagine del suo ultimo impegno editoriale, un reportage su un brutale fatto di cronaca che ha sconvolto l’opinione pubblica.

La città dei vivi di Nicola Lagioia
La città dei vivi di Nicola Lagioia

Proprio la Città Eterna è il filo conduttore dell’opera. Più che una “big picture”, un contesto, una protagonista suo malgrado, perfetta sineddoche del clash morale e culturale in cui siamo immersi. Una città decadente e cinica, presa d’assalto da topi e gabbiani, umiliata da buche che si trasformano in voragini e dalla spazzatura che trabocca nell’indifferenza generale, nel momento dei fatti narrati senza sindaco ma con due papi, consumata dalle droghe e ferita da una corruzione endemica (“Roma sta diventando schifo e paccottiglia per turisti, aprono solo locali junk food” dice a un certo punto un architetto; “l’economia è solo quella dei bar con le slot-machine e dei tassisti abusivi e delle cooperative sociali che pagano in nero” gli fa eco una psicologa) in cui la desolazione degli spazi urbani riflette la miseria morale di un’umanità allo sbando.

Tuttavia, nella ricerca di un punto di equilibrio fra insofferenza e struggimento, Roma rimane un magnete che attrae e genera assuefazione. Difficile staccarsene.

Scrive in modo sibillino Lagioia: “Forse eravamo talmente abituati al disastro da non potercene staccare? Ci sono le città dei vivi, popolate da morti. E poi ci sono le città dei morti, le uniche dove la vita abbia ancora un senso”.
Già: la città dei vivi. Una città popolata da morti in divenire che hanno perso il senso della sacralità della vita?

E potrà questa sacralità essere mai recuperata?, magari nel silenzio della città dei morti del cimitero Flaminio, il più grande d’Italia, dove la vittima Luca Varani riposerà in eterno nel loculo di una cappella?

Domande.

E se le pagine di Lagioia non fossero altro che un grido di protesta contro la menzogna del male e contro il nostro atteggiamento incurante nei confronti dei morti ancora vivi che sono tra di noi?

E ancora: la città dei vivi è quella popolata da persone a cui è concesso il tempo sufficiente per recuperare il senso di pietà e compassione che è dovuto ai morti?

Lao Tse diceva: “Non c’è differenza fra i morti e i vivi. Sono in un unico canale di vitalità”. Noi e loro: i morti e i provvisoriamente vivi.

Il fatto tragico.

Nel marzo del 2016, in un appartamento della periferia romana, senza un movente apparente, due giovani adulti seviziano per ore un ragazzo portandolo a una morte lenta e terribile al termine di una delirante escalation di alcol, droga e sesso. I due assassini si chiamano Manuel Foffo e Marco Prato. Entrambi provengono da buone famiglie della media borghesia. La vittima è Luca Varani, figlio di un ambulante di dolciumi. La macabra contabilità dell’autopsia conta decine di coltellate portate con selvaggia violenza: una mattanza.
Attraverso quattro anni di testimonianze, interviste, esame dei faldoni processuali, setaccio dei social Nicola Lagioia ripercorre il percorso tortuoso di uno dei delitti più efferati degli ultimi anni, addentrandosi nella notte di Roma, aprendo la porta che divide la luce dall’oscurità e facendosi strada lungo le scale fredde che conducono in quei luoghi nascosti dell’anima in cui la penombra scolora nel buio, provando a scandagliare l’abisso attento a non farsi risucchiare ma nel contempo tentando di stanare il demone che è emerso sulla scena del crimine, un appartamento di Via Igino Giordani, 2; un demone che si è alimentato di rabbia repressa, drammi emotivi familiari, autismo relazionale e bias cognitivi di varia natura; nutrimenti ideali per generare dolore, con alcol e cocaina a fare da enzimi per digerire qualsiasi forma aberrante di devianza.

Scrive Lagioia a pagina 311: “Di nuovo soli nell’appartamento, Marco e Manuel si ritrovarono con due grammi di cocaina inutilizzata, diverse bottiglie di vodka, un bancomat ancora a disposizione. Erano le due del mattino di giovedì 3 marzo. Senza perdere tempo, tornarono a pippare. C’era la realtà di superficie, e poi c’era il mondo sotterraneo, che la botta di coca riaccese all’istante nei loro cervelli. «Ripiombammo immediatamente nel delirio», ricordò Marco.”

L’autore ci restituisce un’immagine di umanità al suo minimo (non è un caso se nelle pagine iniziali e finali del reportage Lagioia inserisca la narrazione tangenziale del pedofilo olandese, giunto nella capitale italiana in veste apparente di turista ma in realtà alla ricerca di incontri a pagamento con adolescenti, e che alla fine se ne riparte appagato e impunito per un inesplicabile vuoto normativo, dopo la denuncia di un tredicenne e il conseguente arresto: “Dal finestrino riconobbe il Colosseo. Chiunque avesse letto un libro nella vita sapeva che quella era l’eredità del mondo. Ti scippavano in metropolitana. Ti insultavano ai semafori. Ti spennavano nei ristoranti, ti tossivano in faccia. Ma alla fine il saldo era positivo. La città ti regalava molto più di quello che chiedeva in cambio.” p.459), vite che procedono rasoterra, per mera consunzione; baratri di solitudine in individui incapaci di riconoscere l’altro da sé. Entrambi i carnefici sono alle prese con un discorso interiore monosillabico, hanno una percezione di sé non in squadra con quanto vorrebbero affermare, professionalmente (nel caso di Manuel Foffo) e sessualmente (nel caso di Marco Prato); sono quasi trentenni, ma il loro profilo psichico è rimasto congelato a forme di egotismo e narcisismo semi infantile o, nel caso di Varani, di debolezza e svilimento di sé, che ne impediscono un ingresso equilibrato nel mondo adulto.

In un caleidoscopio di voci, Lagioia intervista amici, parenti, conoscenti dei tre giovani, restituendoci un affresco del senso comune dominante tra i trentenni di oggi, delle loro abitudini di vita, spesso del vuoto di senso delle loro esistenze: “È la mia generazione, giusto?” – dice una giornalista a pag. 215 – “Le discoteche, gli after, il chem sex, ho lavorato in discoteca, ne ho viste di tutti i colori: una volta che cominci a fare quella vita è facile cadere dall’altra parte.”

E poi, i genitori.

Scrive Lagioia a pag 392, a proposito dell’aspetto di Ledo Prato, padre di Marco: “Nessuno mette in conto di venire a trovare il proprio figlio in carcere. L’impatto con il dolore riconsegna la maggior parte di noi a una sorta di innocenza originaria. A un certo punto non abbiamo più difese, né risorse, non c’è assolutamente nulla che possiamo fare per evitare il peggio, e così, insieme con le difese, crollano i privilegi, le strategie, l’appartenenza di classe, lasciando intravedere la fragile nudità di specie che ci accomuna tutti.”
Perché poi la tragedia ci segue come un’ombra; può capitare a chiunque, nessuno escluso, sembra ammonire Lagioia, ripercorrendo con la memoria alcuni episodi del suo passato turbolento a Bari. E se questa consapevolezza può restituirci grammi di umanità perduti in esistenze troppo distratte, allora la funzione catartica della letteratura ha prodotto il suo effetto.

È una caccia al filo silenzioso che stringe i lacci dei destini di tre individui, quella di Lagioia, che sembra flirtare col male per provare a esorcizzarlo. Quasi un’ossessione. L’ossessione di comprendere e dare un nome alle spinte innominate che si celano in noi, ai gesti che ogni uomo sa esistere nelle proprie viscere e nei propri muscoli ma che spesso non riesce a portate sopra la soglia della consapevolezza, rendendole riconoscibili a se stesso. È quello il momento in cui la mente, malata, prende il sopravvento sulla consapevolezza. Non è più la persona che decide di pensare. È il pensiero, distorto, che diventa più forte dell’individuo. E quando non è controllato dalla nostra consapevolezza, il pensiero può diventare un mostro.

“La responsabilità individuale, il libero arbitrio: in cosa ci saremmo trasformati, o dileguati, se ci fossimo liberati di questi due fondamentali pesi?” si chiede l’autore a pag. 409.

E ancora: “Era possibile imputare classicamente questo crimine ai due ragazzi – con tutto il corredo di colpa e punizione – o bisognava arrendersi al pensiero di essere entrati in un tempo e in un mondo completamente nuovi, dove questi concetti non valevano più niente?”

Nicola Lagioia citazione
Nicola Lagioia citazione

E sembra di sentire in lontananza l’eco di “Delitto e castigo” quando a pagina 497 Raskolnikov, che ha già ucciso due donne, parla con Sonia e si confessa con lei: “A proposito Sonia, quando io stavo coricato al buio e mi venivano tutti quei pensieri, era il Demonio che mi tentava, eh?”

Per chi è credente, il Diavolo è la nostra mente quando prevale sulla consapevolezza. Per chi non lo è, la volontà etica illuminata è la forza che controlla e osserva la mente tentata dagli istinti inconsci; il duro compito di lavorare su se stessi per poi distogliere lo sguardo dal proprio ombelico e volgerlo all’altro. Per riconoscerlo e riconoscerne umanità e dignità.

Nicola Lagioia non fornisce risposte antropologiche o criminologiche, limitandosi a rispondere con delle domande ad altre domande. Tuttavia, quando a pag. 452 menziona “Il libro dell’incontro”, “testimonianza di un lungo esperimento di giustizia ripartiva tra vittime e responsabili della lotta armata in Italia”, fra le righe si fa largo il sentimento del perdono.

Compiere il primo passo.

“Forse solo qualcosa di simile – una mossa controintuitiva, un gesto impossibile – poteva spezzare il sortilegio, arrestando il movimento circolare del male” scrive Lagioia.

Perché poi nella tragedia della vita occorre attraversare le tenebre per uscirne trasformati.

Un’illazione di speranza serpeggia ancora fra le vie della Città Dei Vivi.

 

Written by Maurizio Fierro

 

Bibliografia

Nicola Lagioia, La città dei vivi, Einaudi, 2020

 

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