“Città d’acciaio” di Fulvio Di Sigismondo: i tragici eventi del G8 di Genova
Ho scelto di sottolineare il romanzo “Città d’acciaio” di Fulvio Di Sigismondo il meno possibile, essendo l’evento narrato così tragico che non ce n’è mica bisogno. Quello che è successo, per quanto ancora non del tutto determinato, è ormai fisso nella mia memoria di lettore senza che abbia bisogno di ulteriori rimandi.
Mi sembra ieri, o al massimo ieri l’altro che, immaginandolo, mai vedendolo, sorgeva dal nulla il gesto di quel tragico giovane che, per me motivi a me sconosciuti, stava per gettare o aveva appena gettato, questo non lo so, l’estintore contro i (poveri) poliziotti che infatti l’ammazzarono come un cane rabbioso. Sto anche pensando a quel che diceva Pier Paolo Pasolini dei giovani borghesi che protestavano, contrastati da dei figli di povera gente, costretti a fare quel mestiere uniformante, non potendo aspirare a sogni più ambiziosi.
Le vittime di una guerra stanno sempre in entrambe le fila dei belligeranti.
Quell’eroe (o quell’aspirante terrorista?, chi potrà mai dirlo più?) alle “17,27 di venerdì 20 luglio 2001” aveva compiuto da poco ventitré anni. Ei fu, e ora non c’è più, morto ammazzato dal Dis-Ordine e dall’In-Giustizia.
La Storia è un’Idra a cui continuamente viene amputato una parte del corpo, e subito dopo ne sorge un altro, che non sempre somiglia a quello che è andato perso.
Conosco un uomo, il cui nome è Luigi Iroso, che da anni cerca la verità di quel che realmente accadde poco dopo la prima metà del secolo XIX, quando un regno ne divorò un altro, proclamando un’irreale Unità. E poi, col tempo, tutto si dà per scontato e si cessa di cercare la Verità. Ma gli eroi continueranno a dannarsi a ricercarLa.
È lo stato in cui viviamo una repubblica autonoma, oppure, come tanti altri, da sempre soggiace al Potere di Terzi? Quando andai a Palermo, un nobile massone ci disse la sua doxa sull’argomento.
“I potenti si fingono vittime, mentre Genova in questi giorni è testimone dell’arroganza del potere che esclude ed emargina i popoli. L’agenda globale del pianeta è nelle mani di pochi eletti.” – eletti da chi? Non da me, ma da qualche Dio plutocrate. O forse da quel Fato che si dice che governi tutti, anche gli stessi dei?
“Questo è il quartiere, con le sue storie. Solitudine. Esasperazione. Disperazione. Storie di tanta gente che non ce la fa più, ma di queste cose non si parla.” – non facendo audience.
È la mia ultima sottolineatura, e poi tutto andrà a graziose: “Ci provocheranno, lo sappiamo, ma noi abbiamo la forza che ci proviene dal fatto di essere dalla parte giusta: quella della verità e della giustizia.” – ed è questo ottimismo che tanto mi duole, in quanto infondato, mai confortato dalla benché minima prova. E trattasi di religio, nel senso di scelta, a cui uno suole aggrapparsi come a un anello che gli stringe alla gola, e che teme però che alla fine non tenga, né si sente mai del tutto vivo, mai cittadino di un mondo giusto e abitabile.
È forse l’umana civiltà solo una penosa illusione?
“Fotografate, filmate e mettiamo tutto in rete, questa storia non deve finire qua.” – e questo pare a qualcuno l’extrema spes a cui potersi affidare. La rete accetta di tutto, falsità, verità, fiction.
Il libro di Fulvio Di Sigismondo è composto da non infinite ma reiterate voci, ognuna dissonante a modo suo, che non si capisce cosa possano essere, se rigurgiti totalmente inventati dall’autore, oppure strepiti reali, in parte esistenti, in parte ri-creati ad hoc, ognuno dei quali è meritevole d’essere salvato. Anche quelli che sono stati emessi da quei miserabili assassini. Anche a loro spetta un quarto d’ora di pur immonda celebrità.
Fabio dirà la sua 11 volte. Vittorio 9 volte. Franco 7 (e 2 volte sarà un concitato dialogo telefonico con, si presume, Ignoto in corsivo). Franziska 3. Marcello 6. Ignoto in corsivo 4, ogni volta in dialogo, si presume, con Franco.
Gli unici silenti, per quanto fragorosi, sono i “Black Bloc”, il cui mistero non mi affascina, però assai m’inquieta. Chissà chi sono, chissà chi li manda, chissà qual è la prova d’ingresso per diventare uno di loro? Chissà qual è stata la loro quasi inumana ma reale funzione? Chissà chi li dirige, e come?
A proposito, si possono soltanto dedurre delle cose. Hanno marciato. Hanno distrutto. Non hanno lasciato umane vittime da compiangere. A me fanno venire in mente quei Signori Grigi che tanto schifai leggendo Momo di Michael Ende, ma questi non vogliono parlare, non conoscendo gli effetti del Tempo, limitandosi a distruggere la città e, insieme, la speranza in un mondo più accettabile. Non voglio sapere chi siano, quei miserabili. Ma chissà quanto si fanno pagare dal Potere!
A pagina 67, Fulvio Di Sigismondo ricorda: “… con mia grande sorpresa, un gruppo di rappresentanti del Blocco Nero si è staccato dal corteo ed è andato a posizionarsi, a volto coperto, proprio davanti al presidio della polizia. Determinando, di fatto, la conclusione del lancio di pietre e bottiglie verso gli agenti. – in un esoterico gioco delle parti.
Dice Marcello, a pagina 77: “quando ricompaiono i Black Bloc sembrano essersi moltiplicati…” – dopo di cui “vengono rovesciati e dati alle fiamme automobili e cassonetti della spazzatura…”.
Dice Franco, a pagina 110: “Un piano occulto, il cui obiettivo era quello di esasperare il clima di scontro per poter poi reprimere…” – e ammette: “io ne ero complice.” – un pesce piccolo, per carità, perché quello potente andrà in televisione a tuonare il suo finto show, tanto farcito di irose minacce.
In quella città, e nella coscienza di tutti gli italiani, “nulla sarà più come prima”.
Quando vado a Genova, città così strepitosamente bella e così immensamente ristretta, mi sento come soffocato da quelle propaggini che l’accerchiano, facendosi spalleggiare dal mare. E mi viene un leggero senso di claustrofobia, anche mentre esco dal mirabile Palazzo Reale o dal fantastico Acquario. Similmente, se un genovese passasse per la provinciale che da Reggio Emilia conduce a Guastalla, proverebbe di certo una vaga inquietudine agorafobica.
Vorrei raccontare un ozioso aneddoto, che servirà a lenire una non so quanto veritiera leggenda, secondo cui i genovesi sono dei gran tirchi. In piazza del duomo di San Lorenzo entrai in un bar, gestito da non so chi, in cui c’era l’avviso di un caffè sospeso.
Ogni tanto penso a come quella città marina e montuosa possa esser parsa a chi veniva da fuori a far valere i diritti della minoranza finanziaria del mondo, contro quei demoni assetati di potere che, pur di far valere i loro torti, sono stati disposti a far uccidere, organizzando quel Teatro dell’Orrore.
Come ci si potrà liberarsi da quei giganteschi parassiti?
Purtroppo nessuno lo sa. L’autore stesso mi pare pessimista a riguardo.
Undici anni dopo, una sentenza, senza grandi conseguenze, comminerà delle troppo brevi pene ai pesci minori, meri esecutori materiali, condannando l’assurdità che è stata commessa.
E poi tutto ricomincerà come prima, altrove. Cambieranno le modalità, non i fini.
L’1%, sarà sempre più potente e coeso, posto su una parte sopraelevata. In una zona più bassa, rimarrà il rimanente 99%. E quest’ultimo sarà strategicamente e ulteriormente diviso fra chi potrà sonnecchiare, mangiucchiare e sopravvivere e chi presto morirà di fame, col ventre gonfio, sempre che non riesca a scappare verso la culla del Male.
L’autore teme “che la memoria di quei fatti possa andare perduta, soprattutto questa storia.” Per cui, dice: “Ci tenevo davvero a farlo”. La tua scrittura, Fulvio Di Sigismondo, è necessaria, funzionale e assai espressiva.
A ognuno hai dato la parola e, in questo mondo in cui le più elementari libertà sono spesso negate, ciò rappresenta un valore assoluto. Aiutiamoci, e aiutiamolo, amici lettori, a mai far dimenticare! A svelare quella violentata Signora: la Verità!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Fulvio Di Sigismondo, Città d’acciaio, AltreVoci edizioni, 2023