“Baby Blue” di Bim Eriksson: un mondo in cui la felicità è un obbligo sociale
Betty è una cameriera triste e insoddisfatta, le prime tavole del fumetto “Baby Blue” (Add Editore, 2023) la mostrano chiusa nel bagno del locale in cui lavora e subito entriamo in sintonia con questo personaggio che nasconde alla collega e alle persone che le stanno intorno la sua fragilità.

All’inizio la sua paura di mostrare un difficile stato psicologico non preoccupa il lettore, in quanto nella vita di tutti i giorni nascondiamo ansie e difficoltà dietro una maschera. Maschera che i personaggi del fumetto indossano.
Continuando a leggere si capisce che il mondo di Betty è un futuro distopico in cui vige un regime di divieti e di colpe, quella più grande è essere tristi, apatici, non mostrare interesse per la vita. Questa scoperta colpisce molto e non lascia indifferenti.
Le malattie mentali non solo sono uno stigma personale, come spesso avviene oggi, ma sono vietate dalla legge e curate obbligatoriamente con metodi farmacologici invasivi e pericolosi, spesso portano alla morte.
Per strada è vietato farsi vedere tristi, arrabbiati, bisogna avere il sorriso sulle labbra e non dare problemi, altrimenti la polizia sorveglia e può decidere la terapia obbligatoria. Un clima di grande tensione che per fortuna non tutti appoggiano.
È il caso di Berina, la ragazza che Betty incontra in istituto e che si oppone al regime, insieme ad altre. La sua conoscenza aprirà le porte di un mondo parallelo di resistenza, ma anche di coesione sociale, di amicizia e di solidarietà femminile, forse armi più potenti per distruggere sia il malessere mentale sia quello sociale.
I disegni sono fortemente grotteschi e sproporzionati. Le donne non hanno corpi femminili con canoni estetici di bellezza precostituiti, sembrano deformate da un occhio esterno, quello della giovane autrice Bim Eriksson, come a mettere in luce quello che hanno dentro, una realtà interiore che ad uno sguardo esterno risulta quasi irreale, senza misura, senza forma.
Il disegno è statico, all’inizio quasi bidimensionale, mentre nel finale i tratti diventano più fluidi e i personaggi sembrano più dinamici, forse in relazione alle azioni liberatorie che avvengono nelle ultime pagine.
Ho trovato una sintonia tra il disegno, imperfetto, irreale, rigido e la storia che racconta.
La felicità imposta per legge con flebo contenenti stabilizzanti d’umore e pillole di gioia sembra una invenzione dell’autrice lontana dalla realtà. Eppure pensandoci bene è una estremizzazione dell’oggi in cui è difficile parlare del proprio stato mentale e della condizione psicologica e psichica.
Alla domanda “come stai?” non si risponde “Sono triste, mi sento giù”, se non pochissime volte, ma ci si riferisce ad uno stato materiale (“Ho una macchina nuova”, “Ho cambiato lavoro”) o di salute fisica (“Mi fa male una gamba”, “Devo fare degli esami”) o sentimentale (“Ho un nuovo compagno”).

Di malattie mentali non si parla abbastanza, eppure l’uso di psicofarmaci sta aumentando e primi sintomi arrivano da giovanissimi.
Nel fumetto la felicità è equiparata all’equilibrio, alla perfezione, ma è proprio così?
Siamo felici quando non proviamo emozioni? Oppure sentiamo di esserlo quando riusciamo ad uscire da una situazione imprevista, quando facciamo un incontro inaspettato, quando cadiamo e ci facciamo male, ma ci alziamo col sorriso per avere soltanto un graffio?
Berina, Betty e le altre ragazze del fumetto ci ricordano di cercare quella felicità e di trovare un proprio spazio di libertà, senza pensare di non avere parametri giusti che la società impone. Un fumetto che diverte, spaventa e sorprende così come la vita imperfetta, piena di alti e bassi, alla quale dovremmo aspirare senza farci ingabbiare da regimi autoritari e dalla mancanza di emozioni. Esiste anche il colore blu e fa parte di noi.
Written by Gloria Rubino