“Gradini che non finiscono mai” di Giorgio Parisi con Piergiorgio Paterlini: vita quotidiana di un Premio Nobel
Sulla nave di Teseo ci si sta tutti, magari un po’ stretti, ma basta stringersi un po’. E poi si va.

Vorrei porgere, come un dono, uno strambo quesito destinato a chi è appassionato di matematica: quando due autori scrivono insieme, si deve dire che lo fanno a due o a quattro mani? Fossero pianisti non ci sarebbero dubbi, a meno che almeno uno dei due non sia monco, ma ora che tutti scrivono da tastiera, usando entrambi gli arti superiori, la faccenda è similare? O si tratta di un false dilemma?
Ho partecipato come anonimo uditore all’incontro previsto sabato 25 febbraio 2023 presso la biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, da parte di Piergiorgio Paterlini, scrittore reggiano, e Ruggero Po, giornalista carpigiano, ma ormai romano d’adozione, e che ha detto di essere venuto appositamente a Reggio per l’occasione.
L’incontro è stato molto interessante, caratterizzato dalla serena olimpicità di Po e dalla sprizzante verve di Paterlini, che conoscevo di nome e che ora sta iniziando a incuriosirmi. Avendo oltre duemila libri da leggere, a volte mi domando se talvolta non mi convenga starmene a casa a leggere, anziché rischiare di doverne acquistarne uno nuovo. Così è stato. E il bello è che non me ne sto pentendo.
Fin dalle prime pagine dell’opera Gradini che non finiscono mai, come sovente mi capita, mi vado dicendo che nulla potrò mai scriverne. Infatti sono già al quinto capoverso. L’unica maniera per uscirne vivi è cercare di capire cosa mi resta da fare. Non sono un tipo che ama la sintesi a ogni costo, né l’analisi puntigliosa e dettagliata. L’unica chance che ho è reagire al libro, sfruttando quei catalizzatori straordinari che sono le parole in esso contenute. E chi vivrà, leggerà. Intanto, tocca a me.
Il libro consta di circa 300 pagine divise in 100 capitolo esatti. Fu concepito e in parte scritto durante il lock-down, con i due autori che chattavano fra loro tramite una piattaforma telematica.
Ammucciato, cioè invisibile, ora ci sono io che ogni tanto interagisco, a mo’ di microscopico bug, con l’io narrante, che è Giorgio Parisi (con Piergiorgio ancor più ammucciato di me).
Inizio a farlo da subito, sottolineando e scrivendo rari e brevi appunti (prima piolata), cominciando la scrittura dopo la lettura del capitolo 32. Il motivo è molto semplice: sono tornato da un pranzo e voglio togliermi il pensiero. Questo per me è scrivere: togliersi da dosso un pensiero.
1: “A 3 anni – così mi raccontava mia madre – riconoscevo il numero del tram mentre era ancora lontano. ‘Ecco, arriva il 53’, ‘arriva il 24” – io, intorno a quell’età, stavo iniziando a dire mamma, papà. “Anche adesso la mia calligrafia è rimasta brutta, se prendo appunti velocemente quando li vado a rileggere non capisco cosa avevo scritto.” – idem; ma l’intendo così: in noi il mistero fa presa assai più della necessità di una certezza interpretativa. Mi fa però piacere che fra noi si stia sviluppando un’assonanza per quanto dissonante.
2: Giorgio, tu hai “la erre moscia”, e confondi la r e la l, che sia una questione di vetlo di spin?
3: “Mi piaceva stare da solo e passare magari interi pomeriggi a leggere. O a guardare dentro un microscopio.” – io andavo a periodi, che a volte duravano decenni. Poi mi sposai e al momento (30 anni fa) tutto quella libertà è finita. Si stanno ora aprendo nuovi squarci, così mi è stato notificato.
“… era la ricerca che mi appassionava, trovarmi davanti a un problema e provare a risolverlo…” – era la ricerca del motivo che stavo ricercando, cosa? Tutto e forse Nulla, e poco e forse nulla finora ho trovato. Giocavi a canasta con “una signora di 80 anni”. Quel gioco, che conosco bene, una cosa insegna: saper chiudere, quando serve, un discorso.
4: “Una volta camminando mi ero distratto ed ero andato a sbattere contro un lampione” – a cui dicesti male parole. Facendo una gara in bici con papà, muovendo il capo come uno sprinter, picchiai duramente contro un palo di ferro, a cui non dissi più nulla, essendo svenuto.
5: “Eravamo al quarto piano”, per cui “la vista poteva spaziare” – anch’io vissi sempre al terzo e ultimo: altrove mi sarei sentito come gettato in mezzo alla strada.
6: “Mio padre aveva una libreria abbastanza grande, un migliaio di libri, 25 metri di scaffale. Li aveva tutti timbrati e numerati, poi il catalogo è andato perso.” – io ne ho quattro volte tanto, e il catalogo avrà, in futuro, quasi la stessa età di Uncle Google.
7: tuo padre, che “aveva più confidenza con le barche a vela, dove il timone si gira nella direzione opposta verso cui vuoi indirizzare la barca” – guidando un’auto, “era andato a sbattere contro un muro” – e io, purtroppo, non riesco a evitare di ridere di te!“Mio padre ha cominciato a pensare che Trastevere fosse diventato un quartiere troppo confusionario” – stessa impressione la ebbi quando ero in quel quartiere, su un tram che deragliò all’improvviso, al che l’autista si alzò, si mise in testa il berretto e, senza manco voltarsi, ci disse: secondo me ve conviene scenne pure a voi! In realtà non si tratta di disordine entropico, ma di un ordine de Noantri. Occorre soltanto farci il callo.
8: tua madre ti “raccontava che c’era un ascensore per salire, ma era lentissimo, e lei – che arrivava sempre in ritardo – preferiva farsi tutta la famosa scalinata a piedi.” – e quest’immagine, se permetti, finisce per immortalarla in una sempiterna e affrettata giovinezza. “Mio padre era riuscito a evitare per un pelo, senza cercarlo, di fare il militare nelle due guerre mondiali.” – il motivo è stato in entrambi casi la sua età, che l’ha protetto e benedetto. La particella di qualsiasi Dio, ogni tanto, nel suo vago errare, ci prende.
9: due fratelli di età diversa (come i miei figli): “non c’era spazio per rivalità o gelosie ma neanche per chissà quali complicità.” – mentre, fra mia sorella e me, c’era appena un bienno di differenza, per cui abbiamo passato la vita a volerci bene e a bisticciare come mammiferi.
10: “Si parlava italiano a casa di mio padre. Con una madre torinese e un padre siciliano, l’italiano era l’unica mediazione possibile.” – mentre i mie parlavano fra loro in arşân. con me in italiano. A scuola il dialetto era maledettamente vietato, ma a casa lo imparavo di sfuso.
11: “Quando ho fatto la maturità, alla metà degli anni Sessanta, sono andato là a studiare e a preparare l’esame. Completamente solo. Studiavo per la maturità e non vedevo nessuno.” – la mia Anzio era sita a casa mia, in cui per molto tempo vissi da solo, in compresenza coi miei; e questa mia solitudine è sorta con con lo studio per la maturità. Leggendo la Storia della Letteratura Italiana iniziai da una parte a provare interesse per ciascun autore mi capitasse tra le mani, dall’altra a isolarmi dai coetanei. Ero predisposto all’assenza dell’Altro, ma poi, grazie all’amico Onorio, dopo un po’ cominciai a uscire di nuovo in società. Ma il vizio assurdo di leggere troppo m’è rimasto, assumendo spesso la forma di suicidio esistenziale. Ad assistere all’incontro ero con due cari amici, Silverio e Francesco.
12: eri negato per i giochi col pallone: “nel tentativo di acchiappare la palla, ho sbattutto su un pezzo di ferro che sporgeva – rischiando l’occhio” – dal canto mio, mentre stavo andando a catechismo, rischiando sul serio la santità, mentre attraversavo la strada sulle strisce fui investito da un’auto. Un angelo custode, passato sulle mie spalle per caso, m’indusse a un improvviso colpo di reni all’ultimo istante, e mo’ non so dove diamine (diabolus + dominus) sarò destinato, dopo l’estremo passo. Sento che la conseguente lesione occipitale abbia contribuito a rendermi forse migliore. E senz’altro un po’ diverso.
13: alle elementari avevi “solo compagne femmine”, poi alle medie, anche superiori, “solo compagni maschi” – io solo maschi fino alla terza media, poi mista al liceo scientifico (e fu un mezzo trauma per me).
Altra affinità: “Non mi piaceva il tema di italiano, avevo la mia brutta calligrafia e mi infastidiva dover scrivere a comando su qualcosa scelto da altri.” – idem! Gino Ruozzi, il compagno di classe che più stimavo, aveva l’8 fisso nei temi. Io veleggiavo dal 4 al 6 meno meno. Una volta il commento di Gino R. alla poesia I limoni di Montale risultò di appena mezza paginetta, in cui lui spiegava come quell’autore non lo garbasse per nulla: 8: Perché non voglio tarparti le ali, gli disse la prof. A me, che ero (solo psicologicamente, per fortuna) focomelico dalla nascita, fu elargito un bel 4 e mezzo. Morale della favola: lui aveva 8 in italiano scritto e ha insegnato per anni Lettere Moderne all’ateneo di Bologna, mentre Pirandello e il sottoscritto, col 5 in pagella in italiano scritto, non siamo mai arrivati a tanto. Cose che capitano a Uno, Centomila ma soprattutto a Tantissimi.
14: un ingegnere, vedendo il tuo “quaderno pieno di calcoli”, ti disse che avevi “un vero bernoccolo per la matematica”: io al liceo in genere meritavo un voto che s’aggirava intorno al 6. In seconda avevo 5 e 4 in latino e matematica scritto, 6 in entrambe le materie in orale. Ebbi poi 7 e 8 nella pagella finale. Avevo casualmente scoperto il segreto per ottenere dei buoni voti: studiare.
Nel 1989 lessi Introduzione alla filosofia matematica di Russell, un libro che mi sommosse e commosse. A pagina 71, sobillato dal sempre tenero Bertrand, un uomo d’oro davvero, cominciai a scribacchiare in fondo alla pagina le varie potenze alla terza dei primi numeri, poi la loro differenza, poi una nuova differenza, ritrovando alla fine un comune 6 come risultato. Questo lo posso descrivere dopo aver ripreso in mano quell’opera per me straordinaria. Poi mi spuntarono in mente altre idee, che un giorno comunicai al mio casuale compagno di viaggio di treno, che mi disse che insegnava matematica in un ateneo abruzzese. Per celarne l’identità lo chiamerò Frank Beddressed. Non riuscendo a spiegarmi, gli spedii all’indirizzo di casa l’esito delle mie formidabili scoperte. Beddressed mi rispose dopo un paio d’anni circa: Caro Sig. P., se ricordo bene, lei metteva in evidenza due risultati: il primo su quelli che lei chiama ‘numeri magici’ e l’altro su di una certa ‘costante’. I suoi risultati sono senz’altro lodevoli dal momento che lei non è un matematico per così dire professionista; sfortunatamente entrambi sono pure noti. Quanto ai suoi numeri magici, essi fanno parte della storia della matematica (‘triangolo di Tartaglia’ etc.) e sono chiamati numeri fattoriali, che hanno un’importanza enorme nel calcolo delle Probabilità e nella Statistica; può trovarli in un qualsiasi testo liceale che tratta il Calcolo Combinatorio oppure il Calcolo delle Probabilità. Per quanto riguarda la sua costante, il suo risultato è noto con il seguente enunciato: la derivata n.esima della funzione xn (la potenza n.esima di un qualsiasi numero x) è uguale ad n! Questo risultato è più sofisticato del precedente e lo si trova nei testi universitari di Analisi Matematica I, dove vengono studiate le ‘funzioni’ e le loro cosiddette ‘derivate’, le quali sono alla base del Calcolo Infinitesimale (la cui paternità è attribuita a Goffredo Guglielmo ed a Isacco). Alla luce di quanto lo ho brevemente commentato, non posso non congratularmi con lei per la sua abilità matematica nello studio dei numeri e magari trovassi tale disponibilità nei miei studenti universitari… Saluti… Avevo dunque ri-scoperto una specie di acqua tiepida, caldina e quasi bollente. Beh, so’ soddisfazioni!
Che posso fare ora, se non umilmente passare a 15?: “Le battute a base di parolacce non le capivo…” – anch’io non ero tanto ben messo e intorno ai 14 anni scoprii che non era vero che le donne non avevano nulla tra le gambe, ma la f… Fu un coetaneo a dirmelo, esterrefatto da tanta ignoranza.
16: “… ero indeciso fra Matematica e Fisica e ho deciso per Fisica…” – ho letto (fonte però incerta) di un dialogo fra Einstein e Poincaré, ognuno dei quali difende la propria scelta. Non lo riporto perché non serve a capire nulla, se non che la scelta giusta è quella che viene effettuata. Tu hai l’accortezza di dire che ancora non hai capito perché la facesti. Te lo spiego io: perché sì.
17: “Ero molto a disagio sulle montagne russe (soffro di vertigini)”: ormai le somiglianze fra noi, a parte il genio, sono tante e significative. L’1.11.2014, andammo a Casalmaggiore, dove mia figlia, undicenne, mi chiese di salire con lei su una ruota panoramica, per cui, per tutto il tempo, le tenni strette le ginocchia alle mie: ma papà, io non ho mica paura!, mi disse. Io ne avevo troppa e tanto bisogno di calore umano, perciò gliele stringevo. “in compenso avevo una buona mira…” – io manco quella.

18: “sono sempre stato un teorico, non uno sperimentale…” – è una differenza che conta, tra i fisici, come spiegava Leon M. Lederman in La particella di Dio. E ancora più vale quella fra chimici e fisici, almeno secondo Rubbia. E fra relativisti e quantistici, e fra stringhisti e non stringhisti, fra looppisti e non looppisti; fra modellisti alla Randall e non modellisti; la scienza è la più fenomenale catena di montaggio umana; unico enorme dubbio: quale compito specifico ha oggi la filosofia della scienza? Verificare ed eventualmente correggere le intenzioni degli scienziati?
19: “Dieci anni fa ho scritto un ricordo di Marcello Cini in cui mi ritrovo ancora oggi…” – e io non lo voglio sporcare riportandolo in parte o commentandolo: è molto bello e va soltanto letto, da pagina 64 a pagina 66.
20: “… di fronte alle novità clamorose. La prima reazione era sempre: questo non si può fare, non è giusto, non è qui non è là, non si può. Poi parlando, discutendo…” – si va dappertutto: con la lingua si va in Sardinia, dice un proverbio campano. Anche un muto ci può andare, purché a discorrere sia il suo cervello.
21: Incontri dei valenti colleghi russi, e dici: “Riuscimmo finalmente a incontrarci (non era facile con una cortina di ferro) e facemmo grande amicizia”: la quale è sempre la scoperta più gradita per un essere umano.
22: “Ho approfittato di questo tempo per leggere tutta la Recherche…” – a volte “la rottura della tibia e del perone” svolge la sua sacra e necessaria funzione. Tu e tua moglie vi siete sposati per un fatto burocratico, che prescindeva dall’amore che avevate l’uno per l’altra: “Per ottenere questo diritto…” – allora, evviva la burocrazia!
23: “Dovevamo lasciare l’appartamento in via di San Basilio, un po’ di cose le avevamo smaltite, il resto in macchina.” – e via, verso una nuova meravigliosa avventura!
24: “Nel dopoguerra Emilia incontra Rodolfo. Che le dice: ‘Prima ti laurei poi ci sposiamo, se no la laurea non la prendi più.” – se non è amore quello che c’è stato fra i tuoi genitori!
25: parli di Elide, che “possedeva un teatro dei burattini. Quando c’erano le feste a casa nostra per i figli e i loro amichetti lei veniva e faceva degli spettacoli di burattini.” Anch’io ho un’amica che si chiama così e le voglio tanto bene! Forse quel nome deriva da Elio.
26: a pagina 85 colgo il primo refuso (nell’ultima riga): fin da piccolo li colleziono. “… star a dietro a dei bambini avendone sessanta o settanta fa un gran differenza.” – e alludi agli anni. Sarà anche vero, ma molto dipende anche dal motore e dai passeggeri.
27: “Quanto a mio cognato Guido, si era iscritto a Filosofia. Aveva in mente di laurearsi con una tesi fondamentale su Rosa Luzemburg…” – e ogni tanto mi chiedo cosa ne sia ormai di quell’eroina del pensiero. Pensare che nella mia pur sinistrorsa città, in via Luxemburg esiste un megastore che non finisce più, e con dei prezzi dei prodotti non troppo accessibili. Se non è entropia questa! O è forza gravitazionale? O una miscela d’entrambe? Per Anton “anche un taschino molto elegante, fatto benissimo ma non a mano, lui è in grado di riconoscerlo subito e dice che ‘non ha anima’.” – analogamente “per mia cugina Giovanna un brodo con carne di pollo non vale come con quella di cappone.” – e con quella di galóster? Come? Non sai cos’è? Un giorno te lo dirò a voce.
28: la tua “‘r’ moscia” ti fa fare una figuretta durante una recita e ancora sto ridendo, chissà perché. Ho apprezzato il fatto che “era finita con un grande lancio di verdure contro noi attori che generosamente le ributtavano sugli spettatori.” – e sia Judith Malina che Julian Beck sarebbero stati fieri di voi. Non dubito sul tuo eccelso “talento comico naturale”, nonché fisico direi.
29: “In realtà io ho avuto una grande fortuna. Le due culture non sono state soltanto un problema intellettuale, una riflessione teorica, ma le ho vissute nel mio quotidiano.” – umanistica e scientifica. Complimenti, davvero. Ho letto, non so quanto capiti del tutto, 48 libri di fisica (questo non lo conto). Il primo dei quali è stato Dal Big bang ai buchi neri di Stephen Hawking (letto nel luglio 1996). Ed è quella mirabile lettura che mi ha trasmesso la passione. Eppure non ho apprezzato il suo ridurre la filosofia a una teoria di parole, non di fatti. Cosa significa? Eppure anche lui amava filosofeggiare. Esistono problemi apparentemente insolubili, come quel che succede o non succede al di sotto dello spazio di Planck, l’entanglement quantistico e altri z mistery, come li chiama Penrose. Questo è il motivo per cui non posso che ammirare lo scienziato che non smette di leggere la fiction, quale mi pare sia tu.
Ho avuto modo di rapportarmi con Piergiorgio, dopo la presentazione e gli ho detto: Da 30 anni amo leggere di fisica, da ignorante (non sempre meno ma sempre più consapevole di esserlo). Nulla sapevo di questo vetro di spin, per esempio. So solo che lo spin è il modo di girare della particella. Probabilmente (certamente) scriverò una reazione (un articoletto) al vostro bel libro.
Ma sai cosa più mi interesserà di esso? Capire un mistero. Ho letto i 3 romanzi maggiori di Silone, apprezzandolo tantissimo, ma senza amarlo come è stato nel tuo caso. E mi chiedo perché. Giù in garage ho La scuola dei dittatori, che presto leggerò. Non riesco al momento a ri-leggere quel che ho già letto. Ci riuscirò (forse) fra 30/40 anni, quando chiederò Colà a Silone stesso perché, secondo lui, quel che ha prodotto in te non ha funzionato con me. Altri autori mi hanno inebriato: ti dico solo Guido Morselli col suo inenarrabile Dissipatio H. G.
A pagina 95 scopro che tu ami proprio quel mio finora negletto libro di Silone, che andrò al più presto a recuperare. Tu lo definisci un “vero e proprio saggio sulle dittature scritto però sotto forma di dialogo fortemente sarcastico e perfino umoristico” – mi va ringraziarti di questa spinta a leggerlo, quasi ancora di più che della scrittura di questa vostra opera. Difficile però è quantificare.
30: Silone, “Togliatti stesso l’aveva chiamato ‘rinnegato’…” – e questo significa che si trattava di uno che negava di credere ancora. Io rinnego la necessità di una fede cieca e assoluta.
31: Altro magico suggerimento: leggere qualcosa di Luce D’Eramo, il cui viso di quand’era giovane mi fa quasi innamorare. La cercherò ovunque. Ti ringrazio di aver detto solo a un certo punto dell’incidente che la ridusse su una “carrozzina”: il suo spirito veleggiava, eccome!, e ne ho la prova quando leggo che lei si autodefiniva “una robotta”. Lei “parlava in maniera molto diretta con le persone. ‘Ma tu cosa vuoi veramente fare, cosa ti importa, per cosa sei disposto a soffrire?” – per cosa verseresti il tuo acido lattico?! Quesiti che “richiedevano una riflessione su sé stessi” – è un dolore che fa bene. E null’altro lo eguaglia. Non sono d’accordo con lei che, citando Moravia, imponeva allo scrittore correttezza e precisione: per cui “il lettore doveva essere aiutato a capire cosa stava succedendo e dove, senza obbligarlo allo sforzo di ricordare cosa aveva letto prima.” Mi oppongo, Vostro Onore! Io sono un rimbaudiano (Je est un autre), e non me ne pento! E anche un palazzesco (E lasciatemi divertire!). Non tendo a ingannare il prossimo, ma non mi sento il tutore di nessuno, nemmeno dei miei consanguinei, neanche di me. Gianni Celati amava dire che uno scrittore è tenuto a svaccare, a svicolare, confondendo sé e chi lo legge. E, se l’ho forse frainteso, meglio! Se non si fraintendesse, non si scriverebbe. Errare humanus est. Quidem humanissimus! Bella è la chiusa del capitolo. Ricordando una serata passata con vari incliti scrittori, dici: “… io mi ero occupato dei beveraggi.”
32: Deludi un omosessuale che aveva frainteso le tue intenzioni e sai dire al lettore: “Mi era solo dispiaciuto per lui, per quella sua delusione così forte.” Fantastico: “Varenna – ogni volta che lo pronunciavo mia madre capiva Ravenna…” – e io credo che voi erremosciani integralisti dovreste essere protetti dall’UNESCO. Altro magico insegnamento, dedotto da quanto ti disse il “premio Nobel” T.D. Lee: “… Si può fare una grande scoperta. Si può fare una grande scoperta perché si è troppo esperti o troppo poco…” – e io vado continuamente peggiorando (nel senso che auspicava Celati): ogni creazione è come un parto oppure un’evacuazione, nel qual caso ci vuole un minimo di… culo, no?
33: Con Daniel Amit, “uno dei grandi teorici delle reti neurali”, dici, “chiacchieravamo di politica e di tante altre cose che non ricordo. Non di fisica, comunque.” – forse solo quando era cogente. “… io non potrò mai dimenticare la sua passione, il suo senso della giustizia, l’essere disposto a pagare sempre in prima persona, la grande determinazione e insieme l’immancabile ironia.” – a proposito, come giocava a canasta?
34: “Nel 2018 vengo nominato Professor Emerito” – complimenti! Emerito è dal latino emĕritus, participio passato di emerēre, cioè ‘finire’ (ex) di ‘servire nell’esercito’ (merēre). Mi spieghi ora perché si dice emerito furfante e anche emerito cretino, se poi continuano nelle loro scorribande? Dovrei chiedere all’amico Gian Mario Anselmi, che tene ‘a faccia e ‘o fisico da Professor Emerito.
35: “Negli anni un po’ in tutto il mondo c’è stato questo scambio fecondo tra fisica delle particelle e meccanica statistica, nelle due direzioni. Anch’io ho oscillato…” – tra queste due scienze. E questo mi pari: uno che ama oscillare fra due estremi comunicanti. Non so se il mio ti parrà un complimento, lo spirito è di fartelo. Però ami scegliere: “… qualcuno pensava che bisognasse ragionare sui singoli componenti della materia…” – mentre per altri “i comportamenti delle particelle venivano visti come una costruzione che si reggeva tutta insieme”, in un’unica “matassa”. Tu stavi “con la prima scuola”, mentre l’ignorante che è in me e che ama strafalciare starebbe nella seconda. io credo in un principio che agita il mondo, che è quello che ha vinto; altri gli stanno sotto che cucciano, spingono, tentando di disarcionare il cavaliere. Per me esistono due diverse tendenze: una che allontana, disperde, raffredda; e una che avvicina, singolarizza, riscalda. Se una delle due vince il campionato, è finita. Le mie sono idee strampalate, che assumono la forma di una prece. Il cavaliere e i suoi antagonisti risiedono nel medesimo campo: vanno studiati nella loro individualità e nelle loro interazioni. Ti “stavano antipatici i quark”, il che ti ha danneggiato lo studio “sulla cromodinamica quantistica”. Così impari a leggere Proust e a ignorare Joyce!
36: nella lussuosa Manhattan “abitavo in un palazzo non diroccato ma abbastanza sporco. E avevo la casa piena di piccoli scarafaggi. Quando me ne lamentavo mi dicevano: ‘Non farci caso, qui è normale, ce ne sono dappertutto’. Veniva a trovarmi anche qualche topo.” – avevi un sacco di amici a quattro e a sei zampe!
37: Francesco Zirilli, matematico, ti racconta una sua bella (antifrasi) avventura. Avendolo scambiato per un altro stavano per ammazzarlo. Qualcuno distoglie l’assassino, che poi va a scusarsi: “… vede io devo ammazzare un uomo ed ero convinto fosse lei” – e lo invita a un drink, che Francesco rifiuta cortesemente, terrorizzato com’è. Un killer camorrista, leggendo questo capitolo, rabbrividirebbe: nu whisky gli vuliva pure uffrì! Vai ad Harlem con un amico e scopri che “in effetti a parte noi tutti gli altri erano neri” – e voi eravate come quelle particelle ostinate dell’effetto tunnel; finito il giro, tornate poi a casa, non so quanto sereni. Una cosa simile mi capitò nei quartieri spagnoli, che visitai con uno del posto: mi parvero carini; erano le due di pomeriggio e molti residenti stavano a mangiare o a fare il chilo. “Paola una volta era al Caffè Reggio, sempre al Village, una zona tranquilla…” – dove assiste a una fredda esecuzione. Domanda: era Reggio da Regium Lepidi, o da Rhegion?
38: Kurt Symanzik “era un fisico eccezionale”, come ero io, fino a trent’anni, e “odiava insegnare”, e perciò provo affetto e comprensione per lui. Per cui lasciò New York e tornò a sgobbare “in un laboratorio tedesco”. Lo ammiro per questo.
39: “Se non ci fosse stato Giorgio Salvini forse non ci sarebbero stati i Laboratori di Frascati” – e io non avrei conosciuto (‘ncoppa a Feisbuch) la deliziosa Catalina Curceanu, una delle persone più gentili che ho conosciuto in rete, di cui ho letto e commentato a suo tempo il saggio Dai buchi neri all’adroterapia, e che colgo l’occasione per salutare con il massimo affetto. Durante il lock down seguivo le sue illuminanti lezioni on line sui misteri della fisica. Un vero angelo, mi pare. Tornando a Giorgio Salvini, dici che “la passione per l’insegnamento se la trascinerà per tutta la vita” – e io ammiro anche lui, per ragioni complementari a quelle per cui ammiro Kurt: ognuno ha saputo seguire la propria inclinazione e questo è l’importante. Bello è il suo pensiero d’amore per il cosmo: “Un amore non corrisposto certo, l’universo è muto alle nostre domande ma il mio amore c’è”: e io ho la sensazione che sia sì afarensis, ma che ci oda benissimo, come capitava al domestico di Zorro.
40: Nicola Cabibbo, il Maestro “diceva sempre: ‘Perché dobbiamo studiare questo problema se non ci divertiamo nel farlo’” – il discorso è complicato: io non mi sollazzo né a leggere né a scrivere, ma lo sento come un imperativo più o meno categorico. Ma non è così per tutti.
41: tua moglie “Daniella intanto studiava per il dottorato…” – e tu uscivi di casa, la mattina, di corsa “e in inverno era ancora buio. Vedevo la luce in campagna, mezz’ora dopo.” – e poi “Ci ritrovavamo a casa la sera”. Sorte comune per noi mortali che, se fossimo immortali, resteremmo a letto.
42: “Mi piace cucinare” – lo vedi che sei un fisico anche sperimentale? Riporto la battuta del tuo amico perché illumina il mio schermo. Alla tua domanda di quante bottiglie servivano per una cena, lui risponde: “una a testa più una per la tovaglia.” – se non si versava, era da dividere evangelicamente. Non riporto le umoristiche accuse di bruciatrice di cibi che rivolgi a Daniella. Io so fare il caffè (e non ci vuole un genio) ma talvolta, nel farlo, entro in una specie di trance per cui mi scordo il fornello acceso, dopo di cui mi reco in pellegrinaggio al negozio di tutto-e-di-più dei cinesi che ho sotto casa. Conclusione: la passione per il cibo è spesso ardente. ualcuno pensava che bisognasse ragionare Qqqq
43: “… più l’energia di collisione era alta, più era possibile fare delle previsioni precise (questa proprietà controintuitiva della QCD va sotto il nome di libertà asintotica)” – perché controintuitiva? Più due amanti si schiantano l’uno sull’altro, più si sa che quel rapporto si concluderà presto. Guido Altarelli, di cui tessi numerosi lodi, m’incuriosisce per quella che definisci la “sua inconfondibile risata gentile”: sicuramente era energetica e non distruttiva.
44: “Mi capita invece di chiedermi cosa sarebbe successo alla fisica se io non fossi esistito.” – e che sarebbe stato di me se Silverio e Francesco non mi avessero invitato ad accompagnarli alla presentazione del libro? Proviamo a chiedere a Hugh Everett III, dovunque egli sia ora? Per usare un verbo che non rientra nelle usanze verbali dell’editor di Oubliette Magazine: ma tu ci credi a quell’IMM? “La teoria sui vetri di spin era la prima descrizione matematica di un sistema complesso.” – speriamo di non frantumarli, dai. Nel qual caso dove vanno riciclati?
45: “Non avevo capito proprio tutto, ma ricordo l’emozione, quanto ero colpito per aver ottenuto una cosa che aveva il sapore di una soluzione clamorosa e del tutto nuova, inaspettata anche per me.” – un giorno poi mi dirai meglio.
46: Miguel Ángel Virasoro: “La sua profonda curiosità lo spingeva a cambiare l’oggetto dei suoi studi che hanno spaziato…” – dappertutto. Amo questi uomini. Rappresentano l’estrema speranza che siamo destinati a non so a che, ma non necessariamente a un’entropia, anche a una gravitazione universale, che si alternino però!
47: “Immaginiamo di avere 4 città e 4 pozzi…” – “Con 100 città e 100 pozzi diventa bello complicato…” – mi prometti di parlarne davanti a una pizza d’asporto e una birra? Il mio compito sarà ascoltarti e, nel frattempo, guardare in faccia Paterlini, le reazioni dei suoi muscoli facciali.
48: Zhang Yicheng: partite insieme, poi parte solo lui, e giunge con una altro, un iraniano di nome Mehran Kardan. Essendo una persona onesta (come poche, immagino), capisce che “era giusto firmassimo tutti e tre” a onorarsi della scoperta: l’equazione KZP, riporta le vostre tre iniziali. Tu avevi scritto “l’equazione”, nonché fatto “una primissima analisi”, mentre loro l’avevano validata, se ho ben compreso. E pensare che, a Zhang, “gli avevo scritto l’equazione su un tovagliolino di carta” – e che lui “l’aveva fatta riscrivere su un foglio di carta per non dimenticarsi” – Majorana sarebbe stato fiero di voi, lui che si dice usasse scriverle sul retro di una scatola di cerini. Grazie a essa Martin Hairer vinse “la prestigiosa medaglia Fields”, che è “considerata il Nobel della Matematica”.
49: “… a volte, se vuoi percepire più nitidamente un segnale devi aggiungere un po’ di rumore. Non troppo. Non troppo poco.” – i neuroni aspettano questo invito per agire. “… estrarre segnali dall’ambiente e renderli leggibili per poterli utilizzare è una cosa fondamentale per tutti gli esseri viventi, a partire dai microbi.” – e dai creatori dell’arte.
50: “… avevamo bisogno di computer non solo più potenti di quelli che c’erano in commercio, ma possibilmente anche diversi.” – cioè sulla vostra misura? E ne iniziaste a costruire di nuovi, fino al 2005, poi “i computer commerciali miglioravano in maniera talmente veloce che…” – che è giusto che siano le particelle ad arrivare al centro dello schermo. A noi homunculi restano le periferie…
51: “… Teoria del Tutto perché l’acronimo è TOE (Theory of Everything). Ma toe (big toe) in inglese significa alluce.” – con cui si cammina meglio, ché, quando duole, occorre tenerlo sollevato da terra e non si può correre. Di questa teoria, forse, ma non ne sono certo, si può al momento soltanto ciarlare, anche al bar.
52: Tua figlia nasce il giorno dei funerali delle vittime della strage di Bologna: come può l’uomo venire alla vita una alla volta (anche ai gemelli capita) e poi desiderare di ammazzarne tante in un colpo solo? Rimani sospeso fra tanta disgrazia e tanta gioia: “… commosso, non posso distogliere gli occhi da Daniella e da mia figlia appena nata.” Gioia su gioia: dopo varie scelte momentanee, “E con Leonardo sarà lo stesso, una grande, fortissima emozione.” – anch’io lo avrei voluto chiamare così, mia moglie invece…
53: …beh, un giorno ti presento mio figlio Michelangelo, che amo ugualmente. Nel vostro caso: “Leonardo ha vinto la gara”. Tu ti chiami “Giorgio, Leonardo, Renato” – io, ma non dirlo a nessuno sono Stefano, Giovanni. Michelangelo è anche Aniello, Rolando, il nome dei nonni. Anna, avendo speso troppi soldi (seconda piolata) per i nomi del primo figlio, solo quel suo unico, biblico, nome.
54: tua moglie “aveva lavorato moltissimo alla tesi di dottorato”, mentre tu non stavi a guardare: “Io facevo anche il dattilografo. Ho passato parecchio tempo a battere a macchina la sua tesi.”
55: “Lorenza e Leonardo avevano preso l’abitudine di venire a metà della notte nel nostro lettone.” – Michelangelo dormiva ogni notte con la mamma da subito. Quando nacque Anna, ebbe la grazia, e finalmente si aggiudicò, gongolando, il suo proprio lettino. Toccò ad Anna a essere internata.
56: Leonardo assomiglia a Michelangelo (chi l’avrebbe mai detto), nonché a me. Smise di essere uno scout cattolico “a 16 anni”. Mio figlio smise di frequentare la messa a 9. Quando mi chiamò la catechista per ricordare alla famiglia che ogni domenica c’era la messa, le chiesi a che ora. Le dieci! – mi disse. Ah! – risposi – Provo a dirglielo, ma non so… A quell’ora c’è Spiderman!
57: Tuo padre riconosceva il tuo affetto per lui: “… scappava dall’università per pranzare con noi poi tornava all’università dopo il pranzo.” – qualcosa di simile facevo anch’io. Ma “quando sono cresciuti erano loro che a casa non c’erano mai.” – manco i miei rampolli.

58: Mi accorgo ora che leggo ogni colta i titoli, mi chiedo che possano significare e che poi, nel leggere il pezzo, scordo di darmi una risposta. Stavolta è Riti di passaggio. “Più insisti più i ragazzi fanno il contrario.” – questo lo imparai per me, prima che per loro. “Insomma, questa storia che la scuola non gli piaceva quindi lui andava male si è protratta per un bel po’” – e questo valse per me e per Michelangelo, non per Anna, che è sempre stata studiosina. “A un certo punto, di colpo, ha cominciato a leggere Bukowski. le storie inventate non gli piacevano…” – manco a me, per cui lessi prima Kerouac e poi lo scrittore che m’in-formò/de-formò: Henry Miller.
59: eravate dei viaggiatori: “noleggiavamo una macchina, e via” – anche noi, pendolari per lo più estivi, fra Reggio Emilia, Amalfi e Pisciotta (che io preferisco chiamare con l’antico nome di Pixuntum). A metà strada simulavo un malessere (programmato, anche come B & B) e ci fermavamo a mezza strada, a Orvieto, Orte, Viterbo, Anagni, Tarquinia, Cassino etc…
60: Leonardo “all’università si è trovato via via sempre meglio.” – anche me e a Michelangelo, quando decidemmo, assai presto, di smettere. Ora i tuoi figli sono “due persone molto realizzate, professionalmente. E anche personalmente.” – i miei ci stanno provando (Anna studia Lettere Classiche). I tuoi hanno scelto, lei, “Scelte della Comunicazione”; lui, “Informatica”.
61: tua figlia ha i propri gusti sessuali, poiché ognuno ha, finché riesce, i suoi. Dici: “Certamente non avevo alcuna obiezione, era solo quel pensiero dei figli…” Miracolo tecnologico: “I figli sono arrivati.” E sono due: “Martino che ha quasi 5 anni e Teo che deve compierne uno…”. E tu che fai: “Anche a lui ho raccontato un po’ di favole di Calvino, adesso è il suo turno di ascoltare Calvino.” – dopo i tuoi due figli (non l’avevo detto). A Michelangelo, prima che sapesse leggere, inventavo delle storielle, che poi mi divertii a scriverle, anche perché lui trovava sempre degli errori nelle mie quotidiane rivisitazioni. La sua favorita era Loreta e Coccodè. Ogni volta che me la ri-chiedeva, mia moglie sbuffava. Martino sa “riflettere sulle proprie emozioni…” – ed “è un bambino che dice: ‘sono felice’, ‘sono triste’” – e chissà cosa poi inventerà, crescendo.
62: a tuo figlio, in primo luogo alla moglie Susanna, nasce Giairo, “con l’accento sulla ‘i’”, nome d’origine ebraico-biblica. E io che pensavo che foste tifosi dell’Inter di Herrera! Per me Jair è il so called Giaguaro, l’ala destra brasileira, che tanto mi era simpatico anche se ero del Milan! Sguizzante come il rossonero Amarildo. Fino a pagina 193 del vostro libro (lo sai che Piergiorgio è stato finora bravissimo a narrarti che mi stavo scordando di lui?), pensavo che in portoghese Jair fosse la traduzione del nome di quel felino maculato. E magari lo è, a San Paolo. Ya’ir in ebraico “significa ‘illumina’ o ‘si rallegra’”.
63: a pagina 194 e in quella seguente non ho sottolineato alcunché. Mo’ mi rileggo il capitoletto. Lorenza si sposa con Francesca, “festa bellissima”. E Leonardo si “matrimonia” con Susanna, “… una cosa semplicemente burocratica”, causa “Covid”, che pure ti sei preso; capitato anche a tutta la mia famiglia; l’unico caso dubbio, guarda caso, sono stato io.
64: “Ho, più che conosciuto, ‘annusato’ la Cina” – in cui andasti per motivi di lavoro. “Giravo vestito da cinese. E venivo scambiato per cinese. È l’abito che fa il monaco, altroché.” Mia moglie, Anna, la chiamava Unnina, perché, un po’ come me, ha gli occhi leggermente mandorlati. A Reggio è passato Attila. Il nostro vescovo San Prospero pregò e, incredibile a dirsi (era fine novembre), si alzò un improvviso nebbione che impedì al grande conducator di scorgere la nostra piccola città, per cui bruciò la successiva, che poi, in onore di quel sant’uomo, si chiamò San Prospero Strinati, ovviamente. Una qualche mia ava se la vide bene, o malissimo, stante il caratteraccio di quei barbari.
65: “… a Tor vergata”, dove andasti a insegnare, o “alla Sapienza”, fatico a capire, “eravamo comunque quattro gatti, quattro gatti di professori e quattro gatti di studenti.” – ergo, otto? O si tratta della dimostrazione conclusiva della correttezza del paradosso di Schrodinger?
66: vi siete messi a studiare gli stormi di storni: un bel stornello romano, devo dire. Non è un discorso facile, perciò lo affronto di sghembo. “Non c’è scelta dello stormo – dal cambio di direzione all’atterraggio – che non sia determinata esclusivamente dalle informazioni che, velocissime, si diffonde da un uccello all’altro e ci mostrano poi una figura collettiva, globale…” – il che mi ricorda di un finto cartone animato realizzato da un genio misconosciuto e forse pazzoide il cui fine esistenziale era di realizzare un filmato con varie capocchie di spilli, di cui alternava la posizione, fotogramma dopo fotogramma. Ci mise una trentina d’anni a realizzare una ventina di minuti. Non so se poi l’abbia finito: erano gli anni ‘70. “Si è scoperto che un uccello si relaziona a un numero fisso di vicini…” – ma non si facciano allusioni sconce. “Uno stormo si allarga e si stringe per sfuggire ai falchi” – ah, ecco! Pubblicò il vostro articolo la terza rivista scientifica più importante al mondo, la prima che era senza “la puzza sotto il naso” – stavo scrivendo il becco.
67: “Bertrand Russell diceva che la matematica è quella scienza in cui si sa mai di cosa si sta parlando…” – e come mi dispiace di non averlo conosciuto! Quando si recava a trovare Keynes, pensava, uscendo, di avere avuto la sensazione di aver fatto la figura del cretino. Così scrisse una volta. Anche a me capita di sovente. “Se 2 + 2 significasse solo 2 mele + 2 mele = 4 mele sarebbe finita lì.” – ma non è sempre così: ogni operazione matematica riguarda numeri che solo a un certo punto si collegano a oggetti (tento di sintetizzare il tuo pensiero), quindi “non si sa di cosa parla” prima di quel collegamento. Ci sono anche le parole a svolgere il loro compito: 2 mele + 2 pere = 4 frutti. C’è l’inquietante teorema dell’indecidibilità delle operazioni matematiche, che fu formulato dall’inquietante ma decidente Godel, uno che diede una delle tante soluzioni, si dice, in 4 + 4 = 8, all’equazione di Einstein. È uno che mi fa quasi paura, tanto è stato intelligens. “… il meccanismo della Risonanza stocastica che avevamo scoperto per le glaciazioni è stato applicato tale e quale al movimento della coda dei gamberi di fiume”. Ti faccio la domanda della vita: Per Einstein e per quasi tutti quelli che l’hanno preceduto e seguito, il cosmo si fonda su delle regole matematiche. Io mi sentirei di dire che pare che si regga su delle regole che paiono matematiche. Non riesco a immaginare un cosmo dotato di cultura e di principi di alcun tipo. Non so però, mi sto incartando, lo sento. Si tratta di zeta misteri, senza dubbio. Ti occupi dell’esperimento mentale del trasferimento di persone che fanno parte di un gruppo, avvicinando chi prova simpatia l’uno con altro, allontanando quelli che fra loro non si sopportano. Riporto: “diventa lo stesso problema del modello più semplice possibile di vetri di spin”.
68: “Si prende un caso limite, che si riesce a capire fino in fondo, e lo si usa come trampolino per scoperte successive” – Galileo fingeva di ignorare “l’attrito”, dici, così le sue idee funzionavano. Me l’ha insegnato il maestro di judo, che per non cadere occorre sacrificare parte dell’equilibrio.
“Poi se l’universo ‘in sé’ sia fatto di un pezzo solo, o ben cucito insieme, chi lo sa.” – Quien sabe, direbbe Tex Willer. Niente e così sia, bofonchierebbe Kit Carson.
69: “Aggiunge attrezzi al proprio bagaglio tecnico e scientifico e teorico, aggiunge attrezzi alla propria cassetta…” – cosa? Per te è “ricercare”, per me è leggere e scrivere, cioè ricercare a modo mio. Citi il caro Noam Chomsky, che non sa chi sono io, ma io lo batto, perché so chi è lui (sempre più stupida piolata).
70: “La mia lista, La Sinistra l’Arcobaleno…” – che io contribuii ad affondare e infatti prese solo “il 3%”– quando dissi a un amico di “Rifondazione comunista” che l’avevo votata, lui reagì con ironia: Ah! Ecco scoperto perché non ce l’ha fatta! Due possibili letture: porto quella che, in maniera politically not correct, è detto s-figa. Oppure: solo i geni avevano capito che era giusto farlo. Mi sento sospeso fra due khaos. Smetti di far politica attiva: “La verità è chi mi ero stancato”. Ma continui a tenere “rapporti”: “alcuni anche molto vivi”.
71: “Lo slogan è ‘Più fondi per le emergenze dell’umanità, meno alle armi.” – nulla da aggiungere, se non che il titolo del capitolo richiama un romanzo di Hemingway.
72: un tuo scritto del “2005”: “I giovani brillanti e preparati non sono una risorsa facilmente rinnovabile: non possiamo dirgli ‘per cinque anni andate a fare altre cose e poi ne riparliamo.” – è così banale questa frase, come insegna Elogio della banalità del filosofo Salvatore Patriarca, da banal (francese), ban (germanico), bannum (latino medioevale), da cui il bando, che era il modo “del signore feudale” di diffondere la sua norma, la quale, una volta acquisita, diventa banal, cioè comune, a disposizione di chiunque… – dicevo, mezz’oretta fa, che è così banale che fa tanto, troppo male. Ma da noi questo non fa storia, per cui “un patrimonio inestimabile per la cultura del paese è andato perduto”.
73: Su consiglio di un medico, decidi di fare del movimento, per cui “ho avuto la sensazione non solo di rallentare il processo di invecchiamento, ma di farlo tornare indietro.” – come il neutrino di Majorana e di Dirac? Domanda improvvisa: anche tu, come Joao Magueijo, dai ragione al primo?
74: Sei ormai un ballerino: “i balli greci hanno il vantaggio che sono balli di gruppo.” – così si può copiare dal vicino – io l’unico ballo che conosco è quello tipo trenino, con ognuno con le mani sulle spalle altrui. Ciuff! Ciuff!
75: “Delo era l’isola dov’era vietato nascere e morire per non venire contaminata.” – intrigante.
76: “Il mio contributo scientifico più importante sono convinto sia stato inventare nuovi strumenti matematici per descrivere regole ed equilibri dentro i sistemi disordinati…” – un giorno ti chiamo per sistemare casa mia e quella di Michelangelo, che sono anch’essi “dei sistemi complessi”, dove
“… complesso non significa complicato. Un aereo sarò complicato, ma certo non complesso, perché il suo funzionamento si basa su leggi semplici e su pochi ordini di grandezza” – la mia intuizione, prendila come ti pare, è che la natura sia semplice all’inizio, poi, apparentemente, più complicata, tanto da parere complessa: basterebbe sollevare il velo di Maya, ma nessuno, men che meno Schopenhauer, c’è ancora riuscito. Chissà che ne pensa Jiddu Krishnamurti, i cui libri erano semplici, ma non facilmente riproducibili nel quotidiano. Fammi sapere la tua doxa. Lui avrebbe scosso, forse, forse!, ma non ne sono sicuro!, il capo leggendo la tua “definizione di sistema complesso”: “Un sistema del quale si può parlare a lungo…” – cioè: “… più ricco è il linguaggio da usare, più variegata è la sua descrizione, maggiore è la complessità di un sistema.” Di Jiddu ho letto una dozzina di libri, uno dei quali s’intitola Libertà dal conosciuto, ma non so quanto semplice mi hanno fatto diventare. È un autore che ti consiglio: nel conciliarti il sonno, tenderà a svegliarti. E sappi che Jiddu, quando ha dei pensieri, li-evita.
77: “… serve una certa quantità di disordine.” – e il mondo è salvo anche grazie a me e a mio figlio. Enumeri le conseguenze di un mondo in cui è carente il disordine: ne aggiungo un quarto, che tu conosci assai meglio di me: il buco nero. È per questo che, leggendo e scrivendo, amo errare.
78: “Sono ipocondriaco.” – io da giovane temevo di infettarmi di peste bubbonica e, ancor di più, di lebbra, dopo che avevo visto un’immagine di un bimbo pluri-amputato per quell’atroce morbo. Quando fui assunto mi ordinarono l’esame del sangue: avevo tutto a posto, tranne la bilirubinemia, che era troppo alta. Ne feci un secondo: si un po’ era abbassata, ma non più di tanto. Ne feci un terzo: si era notevolmente ri-alzata. Un dottore mi disse: Il cancro (pausa significativa)… (sette o otto secondi passarono)… lo scarterei… Fui spedito in ospedale per ulteriori accertamenti. Il primario mi disse che c’era un solo modo per accertare che ero affetto (come poi scoprii essere mia mamma e i miei zii materni), com’era probabile, dal Morbo di Gilbert (che mi sarebbe andato bene, rispetto a quello di Hansen): stare ricoverato per tre giorni, nutrendomi con una sola mela al giorno. Rifiutai con sdegno. Fui perciò assunto e tenuto in quarantena per 38 anni.
79: come me, hai letto “l’Iliade, l’Odissea”, ma ti bloccasti con “l’Orlando furioso”, forse perché il testo era “senza note”. Il mio ne aveva fin troppe e ci arrivai in fondo. Quando vuoi, incominciamo, insieme, a leggere la Gerusalemme liberata. Chi finirà per ultimo offrirà la pizza all’altro (anche a Piergiorgio, a Silverio e a Francesco). Dopo di cui tutti e quattro ti ringrazieremo.
80: un tuo articolo è stato citato “11.000 volte”; le persone con cui hai collaborato, “nel corso della vita sono quasi quattrocento” (hai contato Piergiorgio?). “E sono arrivato quasi a un migliaio di contributi, tra articoli e interventi e congressi.” – i miei articoli, se va bene, arrivano a 1000 cliccate.
81: Capisco “Enzo Marinari”, mentre guidi sotto la pioggia, e “il vetro si appannava continuamente. Invece di pulirlo io lo utilizzavo per scriverci delle formule con il dito. Enzo è terrorizzato ancora adesso.” – ricordati quello che disse una volta una mia parente ricoverata al San Lazzaro: i pazzi sono fuori, ma anche dentro (l’abitacolo dell’auto, in quel caso)! Stavo su una garitta a militare a Sgonico, mentre soffiava una bora che chissà chi la mandava. Erano le tre di notte e il mio turno terminava alle quattro. Le ronde, a quell’ora mica erano fessi a uscire, con quel tempo poi, per cui mi decisi di spogliarmi nudo per protesta. Dopo otto minuti circa, pensai bene di rivestirmi. Semel in anno licet insanire. Ma non esageriamo, eh?
82: Obietto di nuovo, Vostro Onore! Tu dici che la scienza necessita di “diffusione”, oppure di “comunicazione”, ma che “‘divulgazione’ non è la parola migliore che si possa usare” – non lo è, solo se è rivolta agli incliti scienziati, che sono una percentuale minima degli homo sapiens studens.
“Comunicare la scienza in maniera precisa e non pseudo-magica – in questo un maestro è stato Stephen Hawking…” – a cui io debbo tantissimo. Per scrupolo sono andato a controllare il suo saggio Dal big bang ai buchi neri – breve storia del tempo: capitolo 11, in Conclusione, scrive: I filosofi ridussero a tal punto l’ambito delle loro investigazioni che Wittgenstein, il filosofo più famoso di questo secolo, disse: ‘L’unico compito restante per la filosofia è l’analisi del linguaggio’. Quale caduta dalla grande tradizione della filosofia da Aristotele a Kant! – non citava, almeno nella mia edizione, la fonte bibliografica. Questo cos’è, se non un modo di parlare intriso di malizia e di pregiudizio? È importante che anche i geni sparino ogni tanto delle sciocchezze (falsificabili o verificabili, a seconda dei casi). “… (tornare a) fidarsi della scienza è fondamentale…” – io non con-fido in nessuno ma, seguendo l’esempio di Jiddu, ci penso su ogni volta, senza tante fisime.
83: Dici cose sante: “la meccanica quantistica” si sviluppa insieme ad altre voglie di novità (“la dodecafonia, l’arte, con l’astrattismo, la letteratura, con il futurismo, la psicanalisi, con Freud e Jung” – e questo spaventò il poeta beat Gregory Corso, che diceva, anzi, urlava che Marx, Darwin e Freud avevano reso il mondo invivibile. Il che capita nei periodi di transizione.
84: “La scienza oggi ha una sua unità…” – non la fisica. Pensa al dissidio, a cui ho accennato, tra quantistici e relativisti. Pensa ai fisici come Carlo Rovelli, la cui gravità quantistica a loop tenta di unificare le due scuole di pensiero scientifiche, rischiando di fare la fine dei sikh che, tentando di conciliare induisti e islamici, furono da entrambi quasi sterminati.
85: “Maria Montessori diceva che un bambino naturalmente è uno scienziato…” – io lo fui e, assurdamente, mi sento ancora un bambino scienziato. E so che “per realizzare i propri sogni bisogna prima conoscerli, e conoscere le proprie attitudini, e non è affatto scontato.” – mi sto preparando da alcune ventine di anni, e la meta è ancora lontana. Non la vedo profilarsi all’orizzonte.
86: “Diceva già Robert Kennedy che il PIL misura tutto tranne ciò che rende la vita degna di essere vissuta.” – e che dire del reddito dell’1% della popolazione mondiale, che supera quello del restante 99%?
87: “Ognuno ha talenti completamente diversi e il dovere di farli fruttare” – metti al posto di dovere la parola necessità, e concordo con te.
88: citi la diatriba tra Einstein Bohr, così ben descritta in Quantum da Kumar Manjit. Non citi la contro-risposta di Bell: Dio gioca a dadi col cosmo, ma bara. Parli però della variabile nascosta, senza citare né lui, né il suo maestro Bohm. Mi dirai un giorno perché. Dai ora una risposta al mio interrogativo: che “qualcuno sta in una storia, qualcun altro nella storia opposta, tutto questo a me sembra molto fantasioso.” – ci hanno fatto vari episodi di Stratrek, nonché un film: Mr. Nobody. C’è da spiegare cosa fa andare, nell’ultimo tratto, la particella lì e non là. Ci si riuscirà un giorno? Quella di Hugh Everett III (ma che in modo vivranno gli altri due?) è una teoria scientifica (falsificabile, secondo Popper) oppure religiosa?
89: “Si va verso una direzione in cui si hanno descrizioni diverse dello stesso sistema fisico: in una c’è il campo elettrico, in un’altra no. se ti chiedi cosa esiste, se vuoi usare la parola ‘esistere’, cominci ad avere dei problemi.” – etimologicamente è ex sistĕre, stare fuori. Il cosmo, non infinito ma illimitato, si espande continuamente, si sta tutti dentro a lui. O a Lui, per chi crede. “La parola ‘esistere’ continuiamo a usarla, ma se ci guardiamo dentro, svanisce.” – perché noi, si spera, ci siamo dentro. Forse!
90: “L’universo che vediamo ha tre dimensioni, ma perché non ne abbia quattro o due…” – un giorno lessi che la teoria delle stringhe prevede un universo ne ha due, perché così appare più semplice, ma in realtà ne ha dieci, forse undici, ma forse avevo bevuto quel giorno. Sai qual è il libro di fisica che più mi ha emozionato? The end of time di Julian Barbour (che fu un punto di riferimento di Rovelli e di Smolin, la cui Vita del cosmo ancora m’inquieta), che lessi in inglese, capendoci chissà quanto… Dice Julian (e ribadisce Carlo) che il tempo non esiste. E lo spazio? è un grumo che vortica come un loop. Come disse una volta Moravia, Boh! È vero quel che dici della teoria delle stringhe: “non è in grado di fare una predizione sul perché lo spazio debba essre ricondotto a tre dimensioni e non a quattro.” – la spiegazione tentò di darla un’impresa edile amalfitana: a pagina una del preventivo erano indicati i tre fattori di calcolo: altezza, lunghezza, larghezza. A pagina tre era indicata una seconda, mistica, larghezza. Telefonai all’ingegenere e gli dissi che per Einstein la quarta dimensione era il tempo, non un doppione di una delle altre tre. Mi disse che ero un uomo ironico, e poi svelò l’arcano: era un fattore che si riferiva al costo dello smaltimento dei materiali che, in un luogo ristretto come la mitica Costiera, non era un problema da sottovalutare. Era una sua personale larghezza di vedute.
91: “… più aumenti il numero dei lanci più la percentuale di testa e croce si deve avvicinare.” – stando però attenti che la monetina non caschi nel tombino. “Dal punto di vista concettuale questo cambia moltissimo, questo è soggettivo, appunto.” – questo si riferisce alla nostra preferenza sulla scommessa. E se la moneta resta in bilico, è occorsa una nuova scoperta!
92: “… a questo punto uno può ribattere: se è compatibile con le leggi di natura che miracolo è?”

È giunta l’ora che tu conosca il pensiero di padre Aldo Bergamaschi che, l’ultima volta che l’ho visto, stava giocando a canasta con Jiddu (ennesima e spero ultima piolata). Fu il mio personal theologian, che seppe trasformare l’agnostico che incubava in me in un più elastico ignorante di Dio. Tra le mille saggissime amenità, disse che l’unico miracolo che compì Cristo non fu del tipo Siano moltiplicati i pani e i pesci!, quando in realtà li aveva solo divisi equamente fra i poveri (mentre i ricchi stavano desinando al ristorante), bensì la sua Resurrezione, che non fu, si badi bene, la rianimazione di un cadavere, bensì un infinito miracolo della divinità, l’unica consentita. Mi ricorda il pensiero di Mircea Eliade che definiva il sacro come l’incontro del divino con il naturale. Padre Aldo fu sospeso dalla messa in pubblico per anni, e poi riammesso. Io non so, ma nessuno sa veramente. Aldo morì in una consapevole mancanza di consapevolezza. su Jiddu non mi pronuncio, se quell’unico miracolo sia possibile. Lui, religiosamente, ci credeva. Io, invece, ci spero soltanto.
93: “uno diviso zero fa infinito”: 15/0 è, si dice, impossibile. 0 diviso 15 è 0. 0 fratto 0 è indeterminato. Tu hai mai visto un salsicciaio dividere un salume in zero parti? Non lo divide e basta. Oppure dividere 0 salami? Addirittura a 0 clienti, stavo per scrivere credenti? Sono tutte spaceballs, come quelle riprodotte da Mel Brooks. Sono giochi matematici su cui si può costruire una ziqqurat.
94: Un tuo sogno “ricorrente”: scendere “le scale verso il pianterreno” – e alla fine “i gradini sono ancora lì”, come in un quadro di Escher. Il mio: tornare di volta in volta a s(q)uola, alla naja e alla noia marcusiana. Ero reduce dalla lettura di Eros e Civiltà, e ricordo, con grande senso di colpa, quel pranzo in cui feci andare di traverso il brodo dei cappelletti a quel sant’uomo di papà (46 anni di impiego alle OMI Reggiane), quando dissi che avevo deciso che non avrei lavorato un’ora in vita mia (ero ancora al liceo). Alla fine mi sono matrimoniato col pensionamento con circa 2127 settimane di contributi. Che incubo!
95: “Ho fatto spesso l’esempio su come riuscire a dividere un gruppo di persone in due tavoli tenendo conto del rapporto di simpatia-antipatia fra loro.” – e mi chiedo dove mi metteresti, dopo tante provocazioni. E poi dici, come sempre: “siamo sempre ai vetri di spin, naturalmente, a una complessità via via maggiore.” – appena ci scrivi un tomo ti prometto che lo accatto, dev’essere però condiviso anch’esso con Piergiorgio.
96: Insight, dicono gli inglesi. “‘Vedere dentro’, comprensione profonda.” – forse Jiddu direbbe: vedere e basta. E Aldo: vedere la verità e poi cercare di averne fede. “Non basta che venga il risultato, io voglio capire il perché.”
97: “Un amico mi ha chiesto, a bruciapelo, se sono felice…” – non riporto la tua risposta, che è a pagina 294. Ti do la mia: una volta volevo essere più attivo che passivo, ora aspiro a essere più vivo che morto. E far fruttare ogni cosa, soprattutto i sensi di colpa che ho tuttora.
98: “L’idea della morte mi fa paura, cerco di esorcizzarla non pensandoci.” – ti dico i tre proverbi di mamma. Il primo è che alla morte si arriva vivi; il secondo è che è peggio una febbre e poi morire; il terzo, il più grande, che sentii solo da lei, è che piangere fa tre e ridere fa tre. Ergo… Per le versioni originali in arşân puoi rivolgerti a Piergiorgio. Poi c’è un modo per aggiungere un certo equilibrio e lo sentii durante una lezione video di Cesare Boni. Ve ne parlerò, a entrambi, a te, Giorgio e a te, Piergiorgio.
99: “… io sono un’allodola, non un gufo” – sei uno che va a letto presto. Idem per me. In uno dei suoi meravigliosi reportage il quasi dimenticato Vittorio G. Rossi disse che andare a letto anche solo un minuto dopo della mezzanotte era un tragico errore: che deve capitare di rado, dico io. Inoltre, se ci si alza, come faccio io, intorno alle 5, ci sono meno rompiballe in giro.
100: Non riporto e non commento nulla, tentando d’imitare l’inimitabile Reinhold Messner, che dopo aver scalato il suo 14esimo 8.000, non essendovene un 15esimo, decise di fermarsi a pochi metri dalla vetta, per risparmiarsela per quando sarebbe diventato anziano. Così farò io, anche se sono curioso di leggere anche quei quattro capitoli a cui avete, diciamo insieme, rinunciato a pubblicare, uno dei quali riguarda il tuo rapporto con quel Tale.
Intânt, ‘s a v dèghia al momèint, grâsia?
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Giorgio Parisi, Piergiorgio Paterlini, Gradini che non finiscono mai, La nave di Teseo, 2022

