“Fiorirà l’aspidistra” di George Orwell: quanti soldi costa esistere?
“Fiorirà l’aspidistra“. “Keep the aspidistra flying” è il titolo originale – mantieni in volo questa strana pianta, che ha un rizoma carnoso e delle verdi e dure foglie, e che è una sempreverde (almeno finché campa). I suoi fiori spesso si celano nel fogliame e perciò si pensa, a torto, che non possa fiorire, invece no: anche lei figlia dei suoi simili, come Mamma Natura le ha insegnato.

Il senso del titolo tradotto corrisponde all’originale, ma quanta poesia è volata via, anche tenuto conto che il protagonista, Gordon Comstock è un poeta, fallito o no che importa!
Ho cercato su zio Google la differenza tra schizofrenia e bipolarismo. È la stessa che c’è fra córer e scapêr: varia l’intensità del fenomeno. Pare che del secondo male si possa, provvisoriamente, guarire, dal primo forse no. L’avatar dell’autore e un po’ il mio, non soffre né dell’uno né dell’altra sindrome, ma non sta benissimo, almeno per come si presenta al lettore.
Idealista sui generis, Gordon disprezza, anzi, odia fortemente i soldi. Soldi, sterline, scellini, pence, quattrini, monete, denari, concetti tra loro fratelli, sono le parole più citate nel romanzo. Due detti imparai in Campania: i soldi non danno la felicità, figuriamoci la miseria ma, attenzione che quei pezzi di sterco sataneschi sono prodigiosi, poiché fanno venire la vista ai cecati.
George Orwell è un amante dell’algoritmo narrativo, oltre che dell’aspidistra, amando ripetere gli effetti speciali di espressioni e di situazioni che egli, periodicamente, inventa, variandoli ogni volta un po’. Per esempio ama riprodurre la v che si insinua nei discorsi di chi è bleso, per scelta o per destino, come quel cliente della libreria dove lavora Gordon, che dice: “Ma cevto! io adovo la poesia!” Maltratta talvolta nella descrizione alcuni personaggi minori, come quei “due vecchi” che “si mossero trascinando i piedi, come coleotteri, in quei loro lunghi e sudici gabbani che nascondevano loro tutto meno che i piedi…” – e quei loro lunghi e sudici gabbani. Quanti ne scorsi, di gabbani, nel corso della mia giovinezza, mentre oggi essi sono così rari da meritare la protezione della Lipu.
Orwell, quando ingrana la marcia (un po’ funerea), non riesce mai a fermarsi: “Per tutta Londra, a decine di migliaia, si trascinavano vecchie bestie come loro; striscinati come scarafaggi luridi verso la tomba.”
Gordon “non poteva più ‘scrivere’ senza tabacco, come non lo avrebbe potuto senz’aria…” – della serie: tót i cajòun a gh ân la só pasiòun! E tutte le passioni sono mere illusioni, come lo è in fondo quella amorosa. Per dire: egli fumava molto più di quanto scriveva. In genere trovava qualche scellino per comprare le sigarette, mentre l’energia creativa latitava a volte per mesi interi.
Descrizione di uno slum, non del quasi slum in cui egli vivacchia: “casermoni dove le famiglie dormivano a cinque persone per letto e, quando uno di loro moriva, dormiva ogni notte con la salma finché non lo portavano via…” – nella traduzione, non so se anche nell’originale, i due corpi, uno deceduto e l’altro in cagionevole salute, sono concetti che orridamente si mischiano.
George così continua: “vicoli dove ragazzine di quindici anni erano deflorate da ragazzi di sedici contro muri dall’intonaco lebbroso…”: kam’a! che in sanscrito significa passione! E io non posso che esclamare: Vaca can! Che in arşân vuol dire vacca cane!
Gordon viveva in un luogo che: “riusciva a mantenere una specie di squallido decoro piccolo-borghese”. Particolare notevole: “Sul davanzale della finestra, languiva un’aspidistra malaticcia in un vaso verniciato d’un verde vetroso.” – come certe tipe vetuste, meste, sofferenti che sopravvivono a noi comuni mortali. Languire significa cascare su di sé, afflosciarsi, mollare la presa, a meno che a languire non sia una svenevole donna che cerca di turbare i tuoi sogni con le sue languide pose, oppure un’aspidistra, che però fa tutto da sola, essendo maschio e femmina insieme, da vera angiosperma (o pianta gamica).
Stremato dai suoi endecasillabi, Gordon “giacque disteso, conscio della sua propria futilità, dei suoi trent’anni, del vicolo cieco in cui aveva cacciato la sua vita”: ognuno ha il vicolo cieco che si merita.
George cessò di stare tra noi (col corpo, mentre l’anima ancora resiste) a 47 anni, morto che parla secondo la Smorfia napoletana. E ancor oggi non lesina discorsi necrotici come: “Se volete sapere che cosa esattamente pensino di un morto i suoi parenti, il peso della sua pietra tombale potrà essere un discreto banco di prova”. Infatti si dice: attenzione che ci scappa il morto!
Un dramma che esisteva anche da noi: “Gordon era il ‘maschio’, e Julia la ‘femmina’, e sembrava naturale che a tutti che la ‘femmina’ dovesse essere sacrificata al ‘maschio’. Inoltre, era stato precedentemente stabilito in famiglia che Gordon era ‘intelligente’.” – Julia era la sorella, maggiore di qualche anno. Negli anni Quaranta, mia madre sognava di studiare da infermiera. Quando lo chiese in famiglia non gli fu nemmeno risposto.
Lei donava parte dei pochi soldi che aveva al fratello, anche verso Natale quando amava far piccoli regalini a gente di sua conoscenza. Era una persona a cui si poteva chiedere tutti, tranne che rinunciare al rito del te da officiare al solito demenziale orario con le amiche di sempre. Gordon le era grato? Sì, infatti “l’aveva ricompensata, appena divenuto grande abbastanza, disprezzandola perché brutta e non ‘intelligente’.”
Gli zii e le zie di Gordon, poveretti, gli facevano tanta pena: “Non si trattava semplicemente della mancanza di quattrini. Ma piuttosto del fatto che, pur non avendo quattrini, continuavano ancora a vivere mentalmente nel mondo dei soldi, quel mondo in cui il denaro è virtù e la povertà delitto. Non la povertà, ma l’irresistibile trazione verso il basso esercitata dalla povertà rispettabile era stata la causa del loro languire.” – cambio oggetto del motto: ognuno ha il miraggio che si merita.
“… la sola cosa fatale è adorare il denaro, e non riuscire ad accumularne…” – conosco casi di ricchi sfondati che vivono nello spettro dell’imminente povertà. Anch’io amo i lagortimi, perciò insisto, mutandoli sempre un po’: ognuno ha l’ansia che si merita!
Gordon, che dava “per scontato che egli non sarebbe mai stato capace di fare quattrini”, “era contro il dio quattrino e tutto il suo clero porcino. Aveva dichiarato guerra al denaro; ma in segreto, naturalmente.” – religioso ed empio, al contempo: l’Angelo Nero, assai più di Dio, dà assuefazione.
“Si sarebbe detto che volessere vedere tutti i giovanotti d’Inghilterra inchiodati nella bara di un ‘buon’ posto…” – mentre il sottoscritto articolista sognava l’Immenso Vacuo e si dichiarava Ingegnere del Nulla! Quanta pena c’era in me e in chi mi udiva ciarlare in tal guisa!
Offrono a Gordon “un posto quasi mai ‘buono’ nel reparto contabilità d’una ditta produttrice di minio.” – che il nostro eroe in un primo tempo rifiuta: “i suoi non riuscivano a capirlo.” – io sì. Papà riuscì a farmi avere un posto alle Omi Reggiane, presso cui aveva lavorato per quasi mezzo secolo. Durai ap-pena tre giorni. Mai lui capì le ragioni della mia vile disdetta. Né io provai mai a comprendere il suo affranto dolore.
“Ma come mai poteva sperare di guadagnarsi da vivere scrivendo…” – io mi limitavo, in quel lontano 1980, a leggere romanzetti del tipo Ulysses, nonché Le memorie di Casanova scritte da lui medesimo! E anche la Recherche! Eravamo a pranzo, ed era di domenica, quando annunciai trionfalmente ai miei cari che avevo deciso di non lavorare un’ora in tutta la mia vita: il mio annuncio guastò quel dì la quieta atmosfera familiare.
“Nel bel mezzo del desinare sua madre fu colta da un violento accesso di tosse, si portò la mano al petto, cadde in avanti e cominciò a sanguinare dalla bocca.” – il solito fair play anglosassone; la mia si limitò a seppellirmi di ringhiosi impropreri. Mio padre tacque, avvilito.
Gordon accettò quel posto “alla New Albion”, due anni dopo cedetti pure io, divenendo un travet.
“Far bene, vendere l’anima per una villa e un’aspidistra.” – il destino del virtuoso cittadino.
“… non era il desiderio di ‘scrivere’ il suo vero motivo. Uscire dal mondo del denaro, ecco che cosa voleva…” – non essere il servo di alcuno, ecco cosa disperatamente bramavo. Avevo letto da poco Eros e civiltà di Marcuse. E mi ero convertito all’anarchia. Finsi soltanto di adeguarmi, emulando Maimonide, per quasi quarant’anni.
“… sei deliberatamente schiavo del denaro fino a quando non ne abbia a sufficienza da vivere.” –decisi di giocare la Totolcalcio, studiando gli accidenti dei giocatori delle squadre inserite nel pronostico. Al secondo tentativo feci un tredici e un dodici (sbagliando solo Juventus-Milan, 1/X), riscuotendo ben centotredicimila lire: un cespite troppo scarso per riscattarmi dalla schiavitù.
Diversamente da Gordon, a me poco fregava di “quelle escrescenze fungose, potremmo dire, che spuntano sul tronco di un capitalismo imputridito.” – l’unico capitale che m’intrigava ero io-me!
Avendo un talento di un certo tipo, il poeta Gordon trovò la sua dimensione professionale in ditta, nel reparto pubblicità, fino al giorno in cui decise di recedere.
“Gordon uscì da quella stanza con l’odiosa sensazione di essere condotto in modo perverso e ingrato.” – lo capisco benissimo.
“… il denaro è più denso del sangue…” – in quanto forma delle golene che è rischioso valicare, vero, Gino Ruozzi, inclito amico nonché studioso di argini narrativi?
Ex-agerare è il destino di chi si reputa un genio e poi affoga nel primo canale che si trova da guadare.
“Anno dopo anno, mai nulla accadeva in seno alla famiglia Comstock.” – mai ex-agerata, quella buona gente.
Ora Gordon fatica in una libreria scassata, guadagna poco ma lavora come piace a lui: senza dover per forza amare quello che fa. Spersonalizzato e perciò felice: alla faccia di Karletto Marx.
Né io né Gordon accetteremmo mai di diventare un tipo alla “Paul Doring”, che “era un critico sbalorditivamente eccepibile” – vogliamo essere noi stessi, ognuno a modo suo.
Gordon “non aveva mai sentito pietà per i poveri autentici, genuini. Erano i poveri in giacchetta nera, i piccoli borghesi, che bisognava compiangere.”
Ravelston è l’amico buono, nonché ricco, nonché cultore del socialismo marxista, l’uomo meno rivoluzionario e più borghese che si possa concepire, la giusta e materna attinia presso cui può sguazzare il pesce clown Gordon, succhiandone ogni dì qualche rimasuglio di cibo. Quel nobile amico gli dice: “Uno o accetta il capitalismo o accetta il socialismo. Non c’è via di uscita.” Gordon non si sforza nemmeno di capire. Non c’è abbastanza idealità in quella fede imborghesita. Ognuno dei due fraintende l’altro.
Dice Gordon: “La povertà è una specie di halitosi spirituale”, ma l’altro non può comprendere la metafora: il poverello è troppo ricco per riuscirci. Altro precetto su cui Ravelston dovrà meditare: “Mai restare troppo a lungo con coloro che si amano, un altro comandamento di chi non ha denaro.” Hermione, la donna di Ravelston, disprezza le sue scelte: “Fingi di essere povero quando non lo sei, stai in quel terribile appartamentino senza personale di servizio e vai sempre in giro con tutta la gente impossibile…” – alludendo al nostro sfigato eroe. Infine lo ammonisce: “Puoi essere socialista e vivere lo stesso in modo decente, ecco quel che dico.” – per quella nobile arpia quelli che appartengono alla “classe operaia”, infami, “puzzano…”
Altro algortimo, ripetuto tre o quattro volte, non so perché: “Circoncidete i vostri prepuzi, dice il Signore…” – che si goda di più dopo tale operazione?
Ennesimo algoritmo: quando scorge una lettera nella cassetta, Gordon non la legge subito ma corre su per farlo: “Fece le scale a tre gradini per volta, si chiuse in camera e accese il gas.” – ogni volta si augura che nella lettera vi sia l’accettazione di una sua poesia da parte di una rivista. È capitato anche a me.
“Se il matrimonio è un guaio, il celibato è una tragedia.” – ho già dato a entrambe le disgrazie. Rosemary, l’innamorata di Gordon, è minuta, carina, coi seni piccoli, e con “tre capelli bianchisimi” che “scintillavano tra i neri tra i fili d’argento…” – questo fatto dei seni piccoli e dei tre capelli candidi, George lo ripeterà più volte.
Per Gordon tutto ha un prezzo, anche il radersi tutti i dì: “Sì, ci vuole del denaro. Tutto costa denaro.” – che è un modo di dire che racchiude in sé solo se stesso, come si dice: apodittico?
Nonostante i frequenti bisticci (ennesimo algoritmo), i due giovani quasi trentenni si amano alla follia. Solo i pazzi si amano l’un l’altro nonostante i reciproci e vistosi difetti: “Erano così felici insieme che avevano bisogno di baciarsi.” – di scambiarsi il loro spirto vital…
L’integralista Gordon con supponenza afferma: “… La prima regola è di non accettare mai la carità.” – con la frequente eccezione di quella della sorella, e quella più rara di Ravelston.
“Il suo desiderio sarebbe potuto ritornare in qualche momento a venire, quando non fossero stati in lui a ossessionarlo il ricordo di qualche litigio recente e la consapevolezza di avere soltanto quattro scellini e quattro pence in tasca.” – il sesso non vuole pensieri, né l’ansia di prestazione economica.
A pagina 153 inizia il VII capitolo con la frase che meglio descrive l’intero romanzo: “I pennacchi di fumo dei camini aleggiavano perpendicolari contro la rosea foschia del cielo.”
Nessun dubbio che Gordon fosse entangled, correlato alla consanguinea: “ma in pratica non si faceva mai vivo con lei se non per farsi ‘imprestare’ dei quattrini.”
Di Rosemary, la pur platonica amante, “i tre capelli bianchi scintillarono sulla sommità del capo. In quell’istante, egli non desiderò che non ci fossero: erano parte di lei e pertanto adorabili.” – il tempo si era fermato, magia di kam’a, che talvolta s’accende magicamente, rabbuiandosi poi sul più bello.
Julia, la fida sorella: “era sempre intenta a ‘risparmiare il gas’” quando era sola, ma non badava ad alcuna ecomonia quando accolgieva in casa l’amato fratellino, che anche stavolta finisce per dirle, a mo’ di commiato: “non potresti imprestarmi cinque scellini?”. “Circoncidete i vostri prepuzi, dice il Signore.” – mai che si faccia il c…o suo!
I due colombelli decidono di passare una domenica all’aria aperta, in una rilassante e corroborante scampagnata. A prima vista, tutto pare loro bello e romantico, tramutandosi presto in un glaciale mostro esistenziale, da cui pare che non riescano più a sottrarsi. Di tale disgraziata esperienza ricordo il momento più trito, allorché un beffardo cameriere snob chiede a Gordon: “Soltanto avvosto freddo, signor?” – altro Gordon non può mica permettersi!
“Quattrini, quattrini, sempre quattrini! Anche nel letto nuziale, il dito del dio quattrino s’insinua. In cielo e negli abissi dell’averno, lo trovi sempre…”.
I poveretti, “obbediscono a chi? alla casta sacerdotale del denaro, ai rosei in faccia padroni del mondo, la Crosta Superiore.” – bella definizione della Casta che dirige i nostri destini.

Non c’è nulla di più gustoso della crosta di grana cotta nel brodo fumante. Rivoluzione! Rivoluzione!
Una disgrazia si profila ora all’orizzonte: una rivista yankee manda a Gordon un assegno di “cinquanta dollari per una poesia.” – l’evento è così traumatico che condurrà il poeta sull’orlo del baratro.
“… come si sentiva diverso con tutto quel denaro in tasca…” Ha deciso, sì, non ha dubbi: cinque andranno a coprire parte del debito che ha con Julia. Riuscirà il nostro eroe a mantenere tale proposito? Intanto invita l’amico e l’amante a una cena e… il biondo Chianti abbonda sulla bocca dello stolto… a un certo punto, Rosemary gli dice: “Non intendo sopportare questo genere di cose. Me ne vado a casa. Domani sarai diverso.”
Un frequente algoritmo è il citare, per lo più a sproposito, versi classici: “Atqui sciebat quaæ sibi Barbara” – che nel caso in parola è il nome di una passeggiatrice, mentre Orazio intendeva un meno nobile barbarus.
“I quattrini, sempre i maledetti quattrini!”.
Il socialista Ravelston paga per lui (che non ne ha!) “le cinque sterline di ammenda”, comminata per ubriachezza molesta e percosse a pubblico ufficiale. È fatta. Gordon ha perso irrimediabilmente, il lavoro. Ne trova però un altro, ancora più misero e perciò ideale per lui. Il suo nuovo datore di lavoro è un mostriciattolo fino fino. George utlizza spesso l’avvenenza e la disgrazia fisica per definire i caratteri dei suoi personaggi. È il suo modo di scrivere, che piaccia o no: “Le gambe erano di lunghezza normale, ma la metà superiore del corpo era così corta, che le sue natiche sembravano nascere immediatamente sotto le scapole.” – non stai forse ex-agerando, George?
Gordon “voleva scendere, sempre più in basso, sempre più a fondo in un mondo dove decoro e dignità non avessero più importanza…”. Con Ravelston l’“amicizia era finita”, in quanto, si sa, “la carità uccide l’amicizia.” – amen!
Rosemary ha deciso di cedere: “chinò il capo per mostrargli i tre fili bianchi che aveva a sommo della testa.” – e poi si sacrifica, per salvare l’amico e anche sé stessa. Il judo insegna che occorre perdere qualosa del proprio equilibrio per veder capitombolare l’antagonista. Dopo quel macabro rito, uscendo dalla casa di Gordon, la poverella “era sgomenta, delusa e piena di freddo.”
Molti scrivevano a Gordon, “Gordon non aveva risposto a nessuno”, nemmeno a Rosemary. Anche lei, da un po’, aveva smesso di dare sue notizie.
Un giorno quell’eterna ex si fa viva e gli comunica una notiziola: è banalmente incinta. Auguri! Due alternative, anzi tre. Dice Gordon: “O ci sposiamo e io torno alla New Albion, o tu vai da uno di quei luridi medici e ti lasci massacrare per cinque sterline.” Lei ha una terza soluzione, che a lui non va giù: avrà il bambino e se lo curerà da sola.
Tale eventualità fa sì che Gordon decida di sposarla e di andare a lavorare dove lei e Julia, a cui Rosemary si è alleata, da sempre confidano possa ritrovare, dopo due anni di peotica disperazione, la diritta via ch’era smarrita. Mia, non di George, trita estrapolazione.
Tutto è piccolo borghese quello che è piccolo borghese.
Ora la famiglia Comstock si adeguerà all’”immagine di una famigliola orribilmente eupeptica.” – ogni libro finisce per donarmi almeno un nuovo, imprevisto, magico vocabolo.
“Il dio quattrino è così scaltro…”
Mi chiedo che mogliettina sarà lei, quando dice: “Oh, Gordon, come sono contenta! Non sei arrabbiato con me? Spero di non avere esercitato su di te nessuna pressione…” – no, a parte quelle squisitamente biologiche, no. Poi aggiunge, come per caso: “E mi raccomando, tagliati i capelli, Gordon, sii bravo, caro.” – ecco, che sta calandosi sempre più nella sua parte di coniuge-controllora-esperta-ispettrice-magistra vitae.
“Abiurare il denaro è abiurare la vita…” – essendo lo sterco del Diavolo, serve a fertilizzare i campi dove sono coltivati i nostri sogni, quel sacro luogo ove alleviamo i nostri aulenti bambini!
Lo sapeva la gente d’essere “soltanto marionette che ballavano solo quando il denaro tirava i fili?”
Gordon fa la cosa peggiore di tutte (anche a me talvolta capitò): uccise il figliolo che stava allevando da un paio d’anni, “l’unico frutto del suo esilio, un feto di due anni che non sarebbe mai nato.” Quell’immondo padre “piegò in due lo scartafaccio e lo ficcò a forza tra le sbarre della fogna. Cadde con un tondo nell’acqua sottostante. Vicisti, O aspidistra!”
Lui vuole comprare un esemplare di quel mostro botanico. Lei no. bisticciano. “Mezz’ora più tardi uscirono per andare a ordinare un’aspidistra.”
Prima il dio denaro e i suoi consimili, poi la pianta più casalinga che ci sia, più da davanzale, per la precisione: simbolo di una trascendente immanenza.
Ho contato 59 citazioni di quel demoniaco termine, di cui 12 nelle ultime 3 pagine. Alla fine mi sono convinto di comprarne una anch’io: ognuno ha l’amuleto che si merita.
Un’ultima, importantissima, annotazione: “C’era soltanto Ravelston, al banchetto nuziale. L’altro testimone era un povero diavolo mite e rassegnato, senza un sol dente in bocca, uno di quelli che per mezza corona ti testimoniano qualunque cosa e che essi avevano pescato davanti all’ufficio di stato civile. Julia non era potuta venire per via della sala del te…”.
È la vita un fatto ripetitivo? No, sì. La risposta giusta è forte, da fors-fortis, always casually. Basta vedere come gli uomini (George, io) dipingono se stessi.
Fiorirà l’aspidistra è un romanzo sociale, in quanto parla del rapporto fra l’individuo e la società, con tutto il carico di tensioni e connessioni, di assurde uscite e di rientrate non meno azzardate.
Fu scoperto nel secolo scorso che ogni energia fu massa, perché ogni massa fu energia, e che il rapporto tra loro non è mai casuale, essendo regolato dall’equazione einsteniana: E = mc2.
Panta rei, tutto scorre, ex-agera, rientra, si addensa, si frantuma, in modo discontinuo, sempre interrotto, solo apparentemente continuo.
Ogni individuo è un ex di qualcuno: amico, amore, confidente, debitore, cliente dell’altro, dalla cui esistenza la nostra non può prescindere. Ognuno di noi potrebbe aderire a Il circolo degli ex di Massimo Vitali.
Che dire delle particelle virtuali che, per definizione, esistendo a metà, magari solo al 36%, o al 12%, o al 97%, non si attestano coi rilevatori, ma devono per forza pullulare nel misterioso vuoto, altrimenti non si spiegano i dati calcolati di quelle che sono realmente attestate.
A volte capita d’incrociare lo sguardo di qualcuno che, misteriosamente, ci sorride e noi si almanacca chissà quale eventuale amicizia o amore, sempre quel maledetto e appassionato kam’a, che tanto c’inquieta. Svanito il bonus d’energia, tutto giunge al termine, decadendo inesorabilmente, essendo una moritura realtà. Di quel che accade o non accade al virtuale, nessuno sa granché. E queste persone che mai diventeranno nostri amici o amanti, in un qualche modo, saranno degli effimiri e presto dimenticati ex.
Come vissero Renzo e Lucia la loro avventura coniugale?
E Romeo e Giulietta, quanto sarebbe durato il loro eterno amore?
E Gordon e Rosemary?
La vita è sempre ripetitiva ma ogni volta alterata, parendo, a seconda del caso, variabile, nuova, sorprendente e continuamente aggiornata nei suoi più arcani algoritmi.
“L’aspidistra, risultò poi, non era morta, dopotutto; le foglie avvizzite erano cadute, ma la pianta aveva messo fuori alla base un paio di nuovi germogli di un verde cupo.” Ma anch’essa, un bel dì…
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
George Orwell, Fiorirà l’aspidistra, Mondadori, 1960