“Il mondo in miniatura” di Sietze Norder: la Terra è un arcipelago
Le isole sono belle, preziose, inguaiate, mirabili e con tutta una storia di ricchezze e di disastri provenienti dall’esterno, di cui l’uomo è il principale ir-responsabile.
Ci sono due tipi di isole: le continentali, nate da un distacco da una terra maggiore; le oceaniche, nate anch’esse per cause naturali, a “centinaia o migliaia di chilometri dalla terraferma: “quando il livello del mare si alza, le isole diventano più piccole, mentre diventano più grandi quando il livello scende.” Mentre “l’assortimento di specie delle isole continentali spesso non è molto diverso da quello del continente” – quello delle isole oceaniche spicca per le sue peculiarità.
Gli insegnamenti che si colgono nel saggio sono numerosissimi e sempre preziosi, ma non è mio compito procedere a un’esegesi. E mi contraddico subito, riportando: “Come gli esseri umani, anche le isole hanno un ciclo vitale, nascono e muoiono.” – perché è una frase così apodittica che non ci pensa mai, per cui va ribadita: tót à fîn, tutto ha fine, diceva una mia consanguinea filosofa. Oggi la tecnologia e la buona volontà degli uomini (quella che una volta era definita politica) ha l’onere e l’onore di provare a scegliere come agire affinché le cose belle sopravvivano e le cattive svaniscano.
Amo la prosa di questo giovane scienziato, che mi potrebbe essere nipote di secondo grado, quando fa affermazioni del tipo: “Quando invecchiano, le isole, come le persone, si coprono di rughe e il paesaggio viene solcato da fiumi. Inoltre le onde che si abbattono sulle coste provocano poco a poco lo sgretolamento di blocchi vulcanici nell’oceano.” – panta rei, diceva un filosofo non meno inclito della mia genitrice.
Come i brufoli nel viso di un sedicenne (l’immagine è mia), “il numero delle isole vulcaniche, pertanto non è costante, ne spuntano sempre di nuove, mentre alcune di quelle più antiche sprofondano nelle acque.” – (niente paura, potrebbero sempre risorgere!).
Altra analogia (dell’autore): “La storia della Terra viene suddivisa in ere geologiche, ossia eoni, ere, periodi ed epoche, così come un libro è suddiviso in capitoli che a loro volta si compongono in parafrasi, frasi e parole.” – tutto s’assomiglia, anche qualora si tratti di una vana illusione.
La Prima Parte è: Bellezza dei modelli. Ci sono dei personaggi della storia del pensiero che tendiamo a glorificare. Per Linneo ho sempre avuto, senza quasi conoscerlo, una grande ammirazione, sapendo del suo immenso lavoro tassonomico, e ora scopro che egli “credeva che tutte le specie della Terra fossero state create circa seimila anni prima su un’isola dei tropici, una specie di isola dell’Eden.”
L’ancor per me più ignoto suo coetaneo, il “conte di Buffon” ipotizzò un’evoluzione delle specie: ed era la principale differenza fra la sua visione e quella del biologo svedese.
In seguito, Darwin concepì le sue più complesse teorie evoluzionistiche. Stavo ora pensando a Gregory Corso, secondo cui (pur usando parole diverse, ma il senso era quello) Darwin, Freud e Marx, avevano distrutto per sempre il sogno umano. Meno male. Dormire è bello, ma anche vegliare lo è.
“Il processo con cui, a partire da un solo progenitore, attraverso l’adattamento, si forma un ventaglio di specie viene chiamato radiazione adattativa” – per cui “da un unico progenitore, i ‘fringuelli di Darwin’ si erano diramati in decine di specie.”
L’autore narra di una chiocciola “della specie Tornatellides boeningi”, la quale ingurgitata da un pennuto, quindici volte su cento, una volta evacuata, sopravvive. E si narra di quella chiocciola “incinta che, subito dopo aver compiuto il viaggio attraverso l’intestino, ha partorito un paio di chioccioline” – e io stavo immaginando una scena alla Woody Allen, tratta dall’eventuale sequel di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete mai osato chiedere).
All’arrivo in un’isola gli animali acquistano una diversa dimensione (più grande o più piccola), per tutta una serie di motivi che l’autore indica con estrema doviziosa, e che mi va di sintetizzare: dipende da quanto mangiano senza essere mangiati. Non riesco ad evitare di parlare del tolkiano Hobbit, dai piedi e dai denti “sorprendentemente grandi rispetto al resto del corpo e una testa piccola, alto poco più di un metro, detto Homo floresiensis (pensante 28 chili però)”. Sono davvero attratto da questa donna adulta, il cui scheletro (ora quasi intatto e che fu, a suo tempo, azzeccato al resto del corpo) si mosse per non so quanti decenni in quel di Tenerife. L’arguto autore dice che questo Homo “è una delle due specie che sono esistite su un’isola” e che è come “se a cinquant’anni scoprissimo che avevamo avuto una sorellastra deceduta da poco”: circa “cinquantamila anni fa”.
In un’isola più che altrove è un problema di nicchie: quando se ne libera una, ecco che qualcuno (un uccello, un mammifero, un insetto) ci si getta dentro. Può essere anche una lucertola: “sulla terraferma ciò non avviene quasi mai” mentre “il 95% delle lucertole impollinatrici abita su isole”.
Ora ti do del tu, caro Sietze Norder, perché scrivi che “Edward O. Wilson”, il noto mirmecologo e socio-geografo-biologo, “è uno dei miei grandi eroi scientifici, ho una libreria piena di suoi libri.” – io ne ho soltanto due, opportunamente reazionati (che è la forma indigena di recensiti), ma lo amo molto.
Secondo Edward e Robert MacArthur, “il tasso di immigrazione” e quello “di estinzione” sono le due variabili che determinano “la ricchezza di specie”.
Sto pensando a Milano come a un’isola in cui i flussi migratori di due specie diverse (meridionali e veneti) hanno invaso la provincia determinando la quasi totale estinzione dei milanesi DOP. Il problema ontologico è che, a dirmelo, sono stati appunto sedicenti rappresentanti della specie autoctona, e finora ne ho incontrati 17.235 esemplari (alcuni però mi sono parsi dubbi). A Reggio Emilia vivono svariate migliaia di cutresi (KR), occupati per lo più nell’edilizia, alcuni dei quali ebbero i loro antenati inseriti nell’umido paesaggio padano in quanto costretti al confino. Ogni regione ha le sue bellezze e le sue particolarità, sempre nuove e diverse. Quando fui in terza elementare andai con la scuola all’aeroporto di Linate, dove incontrai il primo negro della mia vita, che mi regalò, non so perché, due monetine il cui valore ammontava a ben centocinquanta lire, con cui mi comprai una chewing gum alla macchinetta. Nel 1977 sbarcò in via Adua il primo venditore di tappeti arabo, che tutti chiamavano Omar. L’anno successivo ne giunsero altri due. Nel 2022 la situazione presso l’isola di Santa Croce (dove vivo tuttora) è radicalmente cambiata.
“Più un’isola è grande, più cibo si trova, e più specie diverse può sostentare” – presentando spesso habitat variegati.
Chi vuole conoscere tutti gli aspetti della speciazione deve per forza leggere il tuo saggio. Ora ne do un ulteriore assaggio, approfittando della tua mirabile boutade: “… il numero di specie su un’isola aumenta molto più in fretta con la migrazione che non grazie alla speciazione. Così come in un hotel arrivano sempre nuovi ospiti mentre è raro che in una delle due stanze nasca un bambino.” – ma può essere concepito: come confessò al marito un’eterea svedese che partorì un bel moretto, frutto di un tradimento occorso nell’hotel dove la coppia alloggiava in viaggio di nozze.
Grande analogia: “Willy il Coyote insegue Beep Beep, quando arriva sul ciglio di un precipizio quest’ultimo fa un passo di lato, il Coyote prosegue la sua corsa e per un istante rimane sospeso nel vuoto, finché non si accorge che la terra sotto i suoi piedi è scomparsa e a quel punto precipita nel burrone.” – in modo simile, “l’estinzione è il lento dissanguamento di una specie, ci vuole tempo” –il suo tempo, anche se l’evento è irrimediabilmente certo: questo da anni sta capitando al marxismo.
Homo, perché ci sei e perché batti tanti colpi alla cieca!? “A Mauritius sono bastati quattrocento anni di presenza umana per disboscare più del 95% dell’isola. Per fare un paragone, nel Quartenario, durante il massimo innalzamento del livello del mare, l’isola perse il 35% della sua superficie in ventimila anni.” – l’Homo è una bomba a orologeria a propulsione iper-cinetica.
La Parte Seconda è Diari di viaggio. Il primo capitolo è Manuale dell’autostoppista per il mondo delle isole, che richiama chiaramente la Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams. Interessante la spiegazione che dai del perché più animali approdano su una grande isola: si vede meglio e ha più punti di attracco, sembra logico e lo è.
Sessantacinquemila anni fa, “l’Homo sapiens” colonizzò le sue prime isole, seguendo l’esempio dell’Erectus, ma spingendosi più in là, coprendo “centinaia di chilometri”, rischiando un po’, spesso “alla mercé di venti impetuosi e acque agitate”, navigando finché non arrivano da qualche parte. È così che si scopre il mondo, come ci insegna Startrek. Si tratta di “un punto di svolta nello sviluppo cognitivo, sociale e tecnologico della nostra specie.” – io aggiungerei anche politico: l’uomo scoprì d’essere un imperialista. Non tutti, però: “mentre i cacciatori-raccoglitori si spostavano dove c’era cibo, i contadini si stabilivano in luoghi in cui potevano coltivare i campi, di preferenza con un suolo fertile e in prossimità di sorgenti d’acqua dolce.”
La Colonizzazione insulare 2.0 spinse l’uomo a visitare “l’Oceano Pacifico”, che è “trenta volte più esteso del Mediterraneo e dei Caraibi messi insieme.”
Sei davvero immaginifico quando scrivi: “La colonizzazione delle isole era l’ultima tappa di un lungo viaggio, paragonabile al modo in cui l’acqua si sposta all’interno di un albero: dalle radici, attraverso il tronco, i rami, i ramoscelli e infine le foglie.”
M’inquieta la lucertola “che poteva raggiungere quasi un metro di lunghezza”, ma soprattutto quel “ratto gigante” che era “grande come un coniglio, entrambi endemici.” – nonché commestibili.
Parli ora dell’“effetto margine”, per cui “il bosco diventa meno fitto, una maggiore quantità di luce raggiunge il terreno e il vento fa più presa sulla vegetazione. Il disboscamento non modifica solo la superficie di un bosco, ma anche la struttura e la composizione della specie.”
A ogni paragrafo mi verrebbe da ringraziarti, per quante informazioni mi elargisci. Ma andiamo oltre. Mi fai sentire male, essendo io un arşân tésta quêdra, indigeno cannibale di ogni qualità di carne grassa, quando mi dici che “a livello mondiale vengono allevati circa settecento milioni di maiali destinati all’alimentazione umana, e circa altrettante persone soffrono di fame cronica.” – per cui se non vogliamo sentirci mortalmente in colpa e non vogliamo cibarci di ratti giganti, che si riproducono in natura per conto loro, dovremmo diventare un po’ più vegetariani.
Sei simpatico quando spieghi che, all’arrivo di capre a Tenerife, per loro “fu come cadere in una vasca piena d’insalata fresca, per le piante endemiche fu più come risvegliarsi in un frullatore”, essendo quelle preferite da quei buongustai ovini.
“M’immagino l’annuncio roboante di questo peso massimo di settecento chili e più all’ingresso sul ring: ‘Nell’angolo destro, un bell’applauso per lui: ‘Vor-r-rombe titan!’. Dal lato opposto entra il nostro struzzo piumato, Struthio camelus, di ‘appena’ cento chili…” – quest’ultimo viene salvato dall’improvviso ingresso sul ring dell’Homo sapiens, che provvede a estinguere quell’Ursus.
I Moa (che bello e che fatto tragico!) sono sopravvissuti in alcune espressioni neozelandesi, come “morto come un moa”, “la tribù farà la fine del moa”, ma anche “ha uno stomaco come un moa.” – potenza del dialetto quasi irrimediabilmente perduto e non si sa per quanto ancora salvabile!
Si parla di imperialismo anche nel capitolo Colombo e la Coppa Europa. Intanto vale la pena segnalare che tu sei con la tua ragazza (che citi altre due o tre volte) a passeggiare “su una striscia di sassolini bianchi lungo il Tago”.
Altra perla: “Nel XV secolo Lisbona e le isole dell’Atlantico orientale erano come il seme lanuginoso di un dente di leone: Lisbona era il seme e la Macaronesia la lanugine.” E anche: “M’immagino l’avido Colombo correre su per le scale della Sé, attraversare di corsa l’enorme portone di legno e chiedere al canonico di poter dare un’occhiata a quella mappa eccezionale” – e quando, presso qualcun altro, la trova, dopo averla esaminata, “Colombo si vede già tornare a Lisbona con un gran carico di spezie accolto da rulli di tamburo e salve di cannone.” – che dire, se non che l’Homo più sapiente è anche il più fatuo fra tutti i suoi simili.
“L’espansione europea iniziò nel XV secolo come un derby tra Portogallo e Spagna, ma ben presto le isole vennero prese una dopo l’altra da vari Paesi come un torneo di calcio della Coppa Europa” – e un’altra immagine mi viene alla mente: quando un allevatore di caimani getta dal ponte a più riprese quintali di carne a quegli immani cuccioli che sbattono le zampette famelici e digrignanti. Allora “gli insediamenti degli europei erano al servizio della terraferma. Le isole venivano impiegate come mezzi per raggiungere un determinato fine, magari come avamposto strategico per ampliare un regno d’oltremare, o per ottenere il massimo profitto in breve tempo.”
Venne introdotta “la canna da zucchero”, che “vi cresceva a meraviglia”, rubando ovviamente lo spazio alle piante locali. Un primo esempio di villaggio globale: “Le piantagioni vennero disegnate a tavolino, realizzate come un progetto e allestite sulle isole di tutto il mondo con la medesima formula. Come un gruppo di bambini con la divisa scolastica che scattano in piedi per salutare il preside.” – Heil, Rektor!
“La perdita di suoli fertili non minaccia solo l’ecosistema, mina anche la produzione alimentare locale. In termini di vite umane il costo dello zucchero era enorme. Nelle piantagioni la mortalità degli schiavi era molto superiore rispetto alle piantagioni di caffè, cotone, tabacco e cacao.” – penso faccia parte dell’ipocrisia umana circoscrivere il concetto di delitto contro l’umanità a certe organizzazioni politico-militari, e non anche, per esempio, a quei gerarchi che non vollero firmare o ratificare un protocollo ambientalista come quello di Kyoto o agli speculatori di Wall Street.
La Terza Parte è La Terra come arcipelago. Il primo capitolo è Lo zen e l’arte di catturare ragni – che ricorda Lo Zen e l’arte di manutenzione della motocicletta di Pirsig.
Vari “ricercatori hanno dedicato la vita alla mappatura della biodiversità sulle isole oceaniche, prima che sia troppo tardi.” – e il loro compito non ha mai fine ed è cogente, come il fotografare murale e il reazionare saggi e romanzi. Amorevole immagine: “Nel tragitto quasi inciampo su Paulo che, seduto come un maestro zen, chino sulla sua scatola agita il tubicino con la mano quasi fosse un incantatore di serpenti. Di tanto in tanto aspira da questo calumet della pace e cattura un ragnetto dopo l’altro.” – clap! clap!, applaudo a rischio di destarlo dall’estasi. Ti viene da dire: “mi chiedo quante di queste creature abbia ignorato nella mia vita quotidiana, malgrado la loro presenza” – e loro hanno ignorato te; come capita spesso in questo villaggio globale: anche tu e io, del resto, abbiamo vissuto finora ognuno all’insaputa dell’altro.
“Come una colonia di formiche, generazioni di scienziati costruiscono specie per specie un catalogo della vita sulla Terra. Questo lavoro permette di scoprire quale sia la situazione della biodiversità sulle isole e nel resto del mondo.” Ne sortisce una considerazione tragica: “La perdita di habitat è una delle cause principali della preoccupante rapidità con cui oggi le specie scompaiono dalla faccia della Terra.”
Oggi, come e più di ieri, “a determinare la diffusione di piante e animali sono più che mai le preferenze degli esseri umani.” – e dei loro capibranco (mia aggiunta). Per i virus, come per il covid 19, il discorso “per molti aspetti somiglia al trasferimento di specie verso le isole.” – essendo per tutti, e anche per questi loschi micro-individui, eliminate di fatto “le distanze geografiche” e a causa della “maggiore uniformità degli ecosistemi locali”.
Siamo oggi in piena crisi della biodiversità. Altra tua eccellente analogia: cosa succederà alla variegata differenziazione dei tipi ristoranti italiani, se a vincere la battaglia per la vita saranno, com’è prevedibile, le multinazionali di fast-food di origine yankee?
“… negli ultimi cinquecento anni, su settemila lingue circa quattrocento sono scomparse” – e le ragioni sono quelle che già causarono l’estinzione di tante specie animali e vegetali. C’è anche una ragione politico-sociale. Negli anni ‘70, presso la mia scuola media statale (intitolata al più grande scienziato italiano G. G:), spiccava un avviso in bacheca: Vietato parlare in dialetto, che io conosco ugualmente perché, fra loro, i miei genitori discorrevano in tale idioma, ma che ho cominciato a studiare dopo la loro morte, per tentare di eternare meglio alcuni loro ragionamenti che seppi carpire quasi di nascosto. Nelle isole (anche linguistiche) il pericolo d’estinzione è maggiore che nei grossi centri e sulla terraferma: “il 40% delle specie del mondo la cui esistenza è in pericolo vive sulle isole.”
Un tuo consiglio che condivido: “Se vogliamo risolvere le attuali crisi mondiali faremo bene a concentrare le nostre azioni sulla scala locale, e sulle isole in particolare.” – e aggiungi: “… ritengo più costruttiva un’altra metafora: la Terra come arcipelago.”
La risposta a ogni domanda ecologica varia da paese a paese, da luogo a luogo, non essendoci ancora quell’unica città universale che alcuni decenni fa qualcuno ipotizzava come imminente e “se le isole sono mondi in miniatura, la Terra è un arcipelago.”
Concludo la mia reazione con un mio pregiudizio politico: in questo momento di follia occidentale, io non so a che ideale consegnare i miei sogni. In attesa di scoprirlo credo di aver individuato nei civilissimi paesi del Nord Europa la meno infame evoluzione della genia di Homo. E nella loro rettitudine, pur tra mille dubbi, io scelgo per ora di confidare. Non per nulla, la portabandiera di questo immaginario corteo in cui vorrei imbucarmi è Greta Thunberg, svedese e coetanea di mia figlia Anna, a cui auguro un mondo non tanto immondo com’è ora, e che non sia vilmente e ignobilmente nuovo, ma mirabilmente e radiosamente migliore.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Sietze Norder, Il mondo in miniatura, Add editore, 2022