Leonardo Sciascia e Renato Guttuso, mondo letterario e mondo pittorico
L’amicizia tra Leonardo Sciascia e Renato Guttuso costituisce un brano fondamentale della cultura siciliana e italiana del ‘900.
Leonardo Sciascia e Renato Guttuso addivengono ad un’interazione speculativa diretta, che involve tematiche socio-politiche e altresì letterarie e artistiche, per quanto riguarda la condizione formale.
L’articolo scritto con la storica dell’arte e cara amica Maria Marchese coinvolge “Le favole della dittatura”, di Leonardo Sciascia, e “Colapesce”, la più grande opera realizzata da Guttuso nel 1985: i due elaborati trovano una comune rada nella levità delle pregnanze fiabesche, che adombra, invero, complesse e significative dissertazioni.
In una famosa intervista rilasciata da Leonardo Sciascia, egli parla di una costante crisi dell’artista Renato Guttuso, che rappresenta uno stato esistenziale e un motore creativo. L’autore siciliano circoscrive l’inquietudine di Guttuso addentro un’andana personale, tra le cui pareti scorre un ulissismo nel mare della ricerca: essa vede il susseguirsi di emozioni e dubbi.
Quest’avvicendamento lo porterà a sviluppare un percorso artistico che può essere racchiuso in tre grandi momenti: il periodo sociale, quello storico e quello del realismo magico.
L’opera Colapesce, realizzata da Guttuso nel 1985, si può ascrivere al filone di fiabe e favole, che prendono corpo nel Mediterraneo, per venire via via adattate alle diverse località del Mare Nostrum.
L’elaborato pittorico, tuttora conservato nel teatro Vittorio Emanuele di Messina, allontana il pittore, originario di Bagheria, dalla realtà, così come l’aveva descritta nella maggior parte del suo trascorso artistico.
L’amata regione è una costante nei lavori di Guttuso e Sciascia; scrive Guttuso: “Anche in una mela che dipingo c’è qualcosa della Sicilia”.
Nella narrazione pittorica “Colapesce”, Guttuso rappresenta l’essere isolano, la sicilianità e l’identità di questa meravigliosa terra… un suolo pregno di leggende, storie, realtà e miti. Colapesce diventa una realizzazione onirica, espressa da elementi reali e leggendari: in essa “giocano” gabbiani, tonni e delfini con le sirene.
Le pennellate dell’artista diventano reali e irreali, così come le descrizioni dell’amico Leonardo Sciascia; un confronto serrato, il loro, fatto di grandi condivisioni e, nel contempo, di fratture; la più significativa è rappresentata dal passaggio, di Leonardo Sciascia, dal Partito Comunista, dove avevano militato per tanti anni entrambi, al Partito Radicale.
Il loro confronto si traduce in parole e versi che diventano immagini, così come le pennellate diventano poesia, racconto e identità.
Identità e Mediterraneo, nella leggenda di Colapesce, s’incontrano in un dialogo che vuole superare gli argini e le tematiche affrontate da Guttuso, per aprirsi ad un realismo magico. Ivi le sirene diventano richiami ingannevoli e ammalianti per Odisseo, personaggio che le narrazioni romanzesche di Sciascia adottano, pure, come costante riferimento alla sicilianità.
Volendosi soffermare, per comodità, sui soli aspetti più noti, si tralasciano, invero, temi e concetti molto più stimolanti, quali il complesso intreccio tra realtà e mondo onirico, dei sogni delle favole.
Nel mito risiede la magia e nel magico trovano la propria essenza sia la parola che il racconto; ciò viene compreso e acquisito, sin dal principio, dai due grandi amici che, in seguito, si allontaneranno apparentemente su un piano umano, giammai dal punto di vista letterario, storico e artistico.
La crisi per il duo Sciascia-Guttuso si snocciola in un’opportunità unica, in cui competenze ed esigenze differenti possono fondersi in un abbraccio o connubio letterario/ artistico, che annovera pochi altri esempi nel territorio italiano, europeo e direi altresì mondiale.
Essi vivono la crisi come una possibilità di riscatto, di elevazione spirituale e esistenziale, in grado di sublimare l’essere umano in generale e il siciliano in particolare.
Si distaccano dalla poetica verista di Giovanni Verga, dove realtà e arte sono una presa di coscienza e conoscenza della realtà stessa e di una natura ineluttabile e invincibile; allo stesso modo prendono le distanze anche dalle tesi gattopardiane, del Tommasi di Lampedusa, del “tutto cambia affinché niente cambi”.
Con uno slancio di realismo, ma intriso di fiabesco e favoloso, trovano le energie per realizzare una catarsi della società, capace di instaurare un dialogo tra la società stessa e l’Arte, la Letteratura, la Poesia e il Teatro, quasi a ricordare il ruolo dell’intellettuale organico gramsciano.
La simbiotica collaborazione tra questi due grandi interlocutori del ‘900 ha significato una grande opportunità di riscatto, per la grande regione mediterranea.
Colapesce diventa la metafora di un mito… di un racconto che poteva essere scritto da Leonardo Sciascia; esso viene invece realizzato, tra gli altri, da Italo Calvino, tramutandosi in una visione favolosa e mitologica di delfini, gabbiani, tonni e delle colonne di Messina: l’immersione finale e fatidica del mito assume il significato di imperituro genio.
I miti e le leggende sono destinati all’immortalità. Qui trovo uno dei nessi interessanti tra la poetica artistica di Leonardo Sciascia e quella di Renato Guttuso; potremmo estrapolare e ricorrere ad una metafora o ad un gioco favoloso, pensando che i romanzi e le opere di Sciascia siano stati creati dai pennelli dell’artista di Bagheria e, allo stesso modo, che le opere dell’artista di Racalmuto siano state realizzati dalle matite e dai pennelli di Guttuso.
Mi piace immaginare, in questi incontri, uno scambio di vedute, a volte, anche forte, dove la libido di entrambi poteva prevalere sul senso comune; forse è esattamente questa visione e questa vivenza in un perenne stato di crisi, che permette ai due intellettuali isolani di arrivare a toccare e superare vette alte e magmatiche, come l’Etna.
Sciascia e Guttuso si esprimono quali testimoni e interpreti di un’epoca, che cerca di dare delle risposte convincenti a livello culturale.
Proprio nell’approccio differente per le rispettive discipline e nella difformità caratteriale (pacato e riflessivo lo scrittore, esplosivo ed esuberante l’artista) risiede la possanza costruttiva di questo rapporto. Le importanti peculiarità dei due intellettuali, unite al fervente convincimento che il progresso di un popolo possa essere raggiunto elevando il livello culturale, mediante l’adozione del fiabesco e del magico, che innescano meccanismi legati alla dimensione onirica e al sogno, li rende dei capisaldi della nostra storia.
La traiettoria di Leonardo Sciascia coinvolge anche la sua particolare attenzione e attrattiva nei confronti delle arti pittoriche e scultoree: rilevanti sono i suoi testi critici, rivolti ad artisti molto riconosciuti del secolo precedente italiano. Testi critici, quelli dell’autore siciliano, che lo indicano quale fine intellettuale e profondo conoscitore del mondo artistico, al quale, il grande amico Guttuso, regala un ritratto di Voltaire, la razionalità dell’Illuminismo e la difesa dei diritti civili.
Guttuso e Sciascia scrivono una pagina indelebile nel panorama culturale italiano e lo fanno attraverso l’impalpabilità della fiaba, intesa nel significato di Calvino; lontana, quindi, dalla superficialità, essa sorrade le problematiche, conservando un approccio critico e riflette, così, appieno l’inquietudine costante, vissuta da questi due Maestri del secolo scorso. Questa tempesta interiore li mantiene in stretto contatto con la realtà, con i suoi problemi ma anche con l’aspetto favoloso e fiabesco; nel mondo pittorico di Guttuso e nel mondo letterario di Sciascia, la fiaba e la favola hanno la valenza di mito, di leggenda senza tempo, dove il colore, il disegno e la parola rivestono un ruolo di importanza fondamentale, per discernere e analizzare le problematiche della società.
Written by Maria Marchese e Valeriano Venneri