“Sogni di carta” di Carlo Alessio Cozzolino: la poesia è risanamento, recupero, accettazione

“La bella parvenza dei mondi del sogno, nella cui produzione ogni uomo è artista pieno, è il presupposto di ogni arte figurativa, anzi, come vedremo, altresì di una metà essenziale della poesia.”Friedrich Nietzsche

Sogni di carta di Carlo Alessio Cozzolino
Sogni di carta di Carlo Alessio Cozzolin

Sogni di carta, titolo della nuova raccolta poetica pubblicata da Carlo Alessio Cozzolino per i tipi di Bertoni, esprime un punto di partenza esplicativo e ostensivo piuttosto forte ed evidente. Mostra che le poesie sono sogni sostanziati di carta, mostra che la poesia è un sogno di carta.

Solo sulla carta, infatti, l’invenzione poetica ha luogo, solo sulla carta esiste la poesia. Questo implica due conseguenze. La prima è che solo nel libro cartaceo i sogni poetici possono realizzarsi nella loro pienezza, la seconda è che le poesie sono sogni di carta anche quando scritte su supporto digitale. Solo la carta però completa l’essenza della poesia. La carta è il supporto scrittorio più famoso dell’umanità: gli uomini hanno scritto su pietra, su papiro (per metonimia può essere detto carta, come si evince dal tribus explicare chartis catulliano) su pergamena, sulle tavolette, ma solo la carta ha consentito la diffusione del libro (a partire soprattutto dalla nascita della stampa con Gutenberg) e della cultura.

Oggi il digitale costituisce senza ombra di dubbio una risorsa irrinunciabile, in quanto consente di consultare diversi libri per studio o lavoro a chi magari temporaneamente non riesce ad andare in biblioteca, ad esempio nel bel pieno di una pandemia.

Sia ben chiaro: io sono per il libro cartaceo, per le biblioteche fisiche, luoghi dove amo stare in modo assoluto; tuttavia in caso di necessità il supporto elettronico è utile e non confligge con quello cartaceo, semmai lo implementa. Uno magari può sfogliare un libro digitale e/o ascoltare un audiolibro e poi, se interessato, acquistare quello cartaceo in modo più consapevole.

Ciò premesso, il fascino della carta non morirà mai. Quando si acquista un libro nuovo, una delle “pratiche” più ricorrenti è quella di sentire la consistenza dei fogli, se sono lisci o ruvidi, luminosi o opachi, e di sentirne il profumo.

Con questa immagine culturale nella mente, è bello pensare che Cozzolino affidi le sue parole alla carta in modo che quest’ultima sia la depositaria dei suoi sogni. La cosa desta ancora più apprezzamento se si considera che l’autore, nato a Sassari ma trapiantato in Lombardia, ha una formazione scientifica. Segno che la sensibilità d’animo è trasversale.

E come sono questi sogni di Cozzolino?

Di fondo c’è un elemento costante ricorrente all’interno delle circa settanta pagine della silloge, la brevitas dei testi, che rimanda immediatamente ed inequivocabilmente ad Ungaretti. Chi, come me, ama incommensurabilmente questo gigante del Novecento, non può non provare il piacere del riconoscimento di un’affinità. Alcune poesie sono più lunghe di altre, ma quasi sempre caratterizzate da versi brevi e da una punteggiatura non sempre ortodossa.

Apre l’opera la lirica Senza titolo, ad indicare il pluralismo dei sogni e delle emozioni che scaturiscono dal contatto diretto con la Natura. Analogamente, nella poesia Sognare l’io lirico “supino sull’erbosa sponda del lago” prende a immaginare e si trova prima davanti nel “baratro/ chiamato “sogno”, poi finalmente si ritrova davanti a “un’infinita distesa”… “con tutta la sua bellezza”… con “bimbi che giocano a far gli adulti,/ inconsci della loro felicità,/ ed adulti che giocano a fare i bambini,/ consci della loro tristezza. E lì, supino sull’erbosa sponda del lago,/ con un libro imprigionato tra le mani,/ c’era un ragazzo,/ un ragazzo,/ un ragazzo che sognava,/ sognava di sognare”.          

Testimone di tutto è l’io lirico, che osserva la Natura e la sua anima; spesso la Natura diventa motivo di confronto, come si legge in Gabbiano: “E noi due,/ ad osservare il silenzioso/ planare di un gabbiano […] Ma nei tuoi occhi/la speranza,/ sulle tue labbra/ il conforto,/ nel tuo cuore/l’amore,/ E nel chiarore delle stelle,/ silenziosa come gabbiano,/ sei andata via”. In questi versi non riesco a non vedere un richiamo a Vincenzo Cardarelli (1887 Corneto Tarquinia – 1959 Roma) in particolare alla famosa Abbandono: “Volata sei, fuggita/ come una colomba/ e ti sei persa là, verso oriente./ Ma son rimasti i luoghi che ti videro/ e l’ore dei nostri incontri./ Ore deserte,/ luoghi per me divenuti un sepolcro/ a cui faccio la guardia”. Faccio notare, a margine, che anche il poeta laziale ha scritto una poesia dedicata ai gabbiani.

Similmente, tornando a Cozzolino, si legge in Dell’anima e delle lacrime: “Ma questo amore/ è come un volo d’aquilone e tu sei volata via”. Gli echi dei grandi autori permangono e accompagnano il lettore: “Annego/ in questo mio dolore” è la chiusa del componimento Consapevolezza e immediatamente rinvia al “Naufragar m’è dolce in questo mare” di leopardiana memoria; sempre al recanatese pare alludere la conclusione di Poesia: “o vertiginoso mare nel quale annegare”. Quest’ultimo testo presenta anche un acronimo per cui, leggendo in verticale tutte le prime lettere di ogni verso, si legge la parola Esilio. Del resto l’esilio, l’abbandono, la solitudine sono temi ricorrenti in questo florilegio e ancora una volta sono declinati con sapienza secondo la cronologia della letteratura italiana, sia nei riguardi dei classici, come ad esempio di Petrarca che riesce a trovare conforto solo nella natura solitaria (“Altro schermo non trovo che mi scampi/ dal manifesto accorger de le genti,/ perché negli atti d’alegrezza spenti/ di fuor si legge com’io dentro avampi:// sì ch’io mi credo ormai che monti et piagge/et fiumi et selve sappian di che tempre/ sia la mia vita, ch’è celata altrui”), sia nei confronto delle sue forme moderne che si spingono a soluzioni innovative anche sul piano grafico, aspetto per cui la nostra poesia contemporanea deve molto ad esempio ai calligrammi di Apollinaire.

Alla carta i poeti affidarono le loro illusioni: ad esempio Petrarca, nella lirica Solo et pensoso prima richiamata, deve alla fine fare i conti con quell’Amore che lo lacera, che riesce a scovarlo ovunque vada. Altrettanto Cozzolino: “Alte/ Nel cielo/ Si consumano le stelle/ Come i miei sogni di carta”; del resto il Poeta, “Sospeso/ Tra cielo/ E terra/ Prigioniero/ Del Suo stesso canto/ Non conosce Pace”, come si apprende nell’omonima composizione.

Eppure la poesia dona la forza di accettare il dolore, e di rinascere nello spirito che ciclicamente anima il tutto. E così lo scrittore sardo dichiara di aver visto “l’araba fenice/ Risorgere/ Dalle ceneri/ Del dolore”. Questo è l’esito dei versi intitolati Pneuma con sottotitolo in parentesi “spirito animatore del mondo”. Come non pensare allo Stoicismo, alla capacità di resistere di Leopardi che passa dall’Ultimo Canto di Saffo alla Ginestra?

Con questa nuova forza, con cui giungiamo verso la metà di questa meritevole raccolta, è dato riconoscere che Felicità è “Camminare sull’esile linea/ Dell’orizzonte”.

Eppure Il fiore del male è sempre lì e incombe su noi, o meglio accanto a noi come interlocutore a cui affidare il dolore: “livido fiore del male” si conclude l’omonima lirica che rimanda, sempre con il gioco singolare-plurale già visto prima con Cardarelli, alla raccolta I fiori del male di Charles Baudelaire, ma anche, volendo, alla già citata La Ginestra. Questi fiori sono come un elemento sapienziale che rivelano la Verità all’uomo, e lo consolano.

Carlo Alessio Cozzolino
Carlo Alessio Cozzolino

All’uomo è dato sognare, ma “i sogni sono parole non dette”, ovvero parole non ancora o mai realizzate, come i sogni di carta che possono costituire un progetto di realizzazione e non la realizzazione stessa. Forte è il rischio che i sogni rimangano tali, tuttavia restano preferibili alla realtà, fatta di “parole vuote”. Vivere nella pienezza è sognare, mentre vivere nel vuoto è restare legati alla realtà. Così insegna il componimento Vivere è sognare. Nietzsche in quel capolavoro di esegesi filologica che è La nascita della tragedia non fa altro che puntualizzare come l’illusione poetica sia la sola degna di nota. La poesia è la speranza che “le parole appena abbozzate” abbiano forma e “sostanza”, ovvero “luce”, giacché il buio sarebbe plotinianamente la zavorra indistinta della materia indefinita.

La luce della poesia però è incerta, è ancora “scepsi”, come si intitola una delle ultime liriche. Come non pensare allo Scetticismo dei Greci, al dubbio socratico o, ancora una volta a Ungaretti? Infatti qui il richiamo ungarettiano al ruolo del poeta è evidente, e con le parole tratta dalla lirica Il porto sepolto, vorrei lasciarvi: “Vi arriva il poeta/ e poi torna alla luce con i suoi canti/e li disperde// Di questa poesia/mi resta/ quel nulla/ d’inesauribile segreto”. La lirica ha dato anche il titolo ad una delle selezioni (1916) poi confluite in Allegria (1931). Allude all’antico porto sepolto, ovvero scomparso e per questo sconosciuto dell’antica Alessandria d’Egitto, città natale del poeta, e al poeta che cerca di rinvenirlo quasi fosse un archeologo.

Ogni poeta è in effetti archeologo, ovvero esperto dell’antichissima e universale tendenza umana a sognare il Bello, il Buono e a recuperarlo quando gli uomini stessi o i disastri naturali, seppelliscono tutto con il Brutto e con il Cattivo.

La poesia è risanamento, recupero, accettazione: è Petrarca che riesce a dialogare con Amore che gli ha fatto tanto male, e che solo può consolarlo perché il dialogo, la dialettica, il dubbio portano avanti le parole e queste narrano una possibile guarigione fatta di confronto con gli altri. Amore non è un singolo amore, come quello peccaminoso con Laura, ma un filosofo, un principio che vale la pena di conoscere.

Grazie Carlo Alessio Cozzolino per aver alluso ai classici e grazie alla casa editrice Bertoni, molto attiva nella promozione dei suoi autori, nonché a Stefano Paolo Giussani che ha curato con competenza la prefazione di questo lavoro editoriale.

La poesia merita un futuro nella nostra meravigliosa Italia! E lo avrà solo se editori coraggiosi continueranno a promuoverla.

Ad maiora!

 

Written by Filomena Gagliardi

 

Bibliografia

Carlo Alessio Cozzolino, Sogni di carta, Bertoni, Perugia 2021, settantatré pagine, 14 euro (con prefazione di Stefano Paolo Giussani)

 

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