“Maxi Tex: Dopo la tempesta”, testi di Pasquale Ruju e disegni di Sandro Scascitelli: Tex è manicheo?
Pur non essendo un esperto di grafica fumettistica, mi viene da dire che la prima vignetta drammaticamente alluvionata mi stupisce per la sua inquietante espressività: al vederla, mi pare quasi che una fredda umidità mi stia penetrando nelle vene.
Scrivo la presente reazione dopo aver letto l’intera avventura. Con un fumetto non è possibile farlo in itinere, come può capitare con un romanzo. Per cui focalizzo ora l’attenzione su alcuni elementi che mi hanno dato da pensare.
Lo sceriffo a un certo punto esclama: “Sembra che Giove Pluvio in persona abbia deciso di annegarci tutti”; la socia del saloon si lamenta: “Un bel guaio! Con questa dannata pioggia la gente se ne sta chiusa in casa e i cowboys non si fanno vedere in città.” – come nell’attuale pandemia: la natura ha una concezione tutta sua del commercio. La gente, stando a casa, annoiandosi, risparmia quei pochi dollari che le avrebbe consentito di svagarsi un po’. E tutti si lamentano, clienti ed esercenti. L’altro socio, sigaro in bocca, è più ottimista: “Il tempo si rimetterà, vedrai, si tratta solo di pazientare…”. La socia sente di provare “un brutto presentimento… maledettamente brutto”.
Brava gente, a quello che pare a prima vista, con problemi che si risolvono solo vivendo, in un modo o nell’altro. Basta aspettare che cessi la buriana…
Tex e Carson hanno ripescato dal fiume il cadavere di una ragazza, Rita Buchler. I primi sospetti cadono su Jason Carney, il suo segreto innamorato, che appartiene a una famiglia nemica: una situazione alla Romeo e Gulietta. Lo sceriffo lo becca mentre sta scappando, gli intima di gettare la colt, ma quello dice che non ci pensa proprio e lo sceriffo lo fredda. Al lettore questo Jason pareva tanto un bravo ragazzo, peccato… E poi gli sorge un pensiero: specie se ha letto come me l’opera omnia di Tex: alcuni ricordi emergono e comincio a pormi degli interrogativi.
Alla fine, il colpevole viene regolarmente neutralizzato dal mitico ranger. Che egli non finisca in carcere e poi magari su un patibolo, ma direttamente a vedere l’erba dalla parte delle radici, lo si capisce quando sfida Tex, gridandogli, con arroganza: “Sono abile con la pistola, ranger. Forse quanto te. E non ho mai avuto scrupoli a uccidere… l’ho fatto anche con Jason, sai?” – e gli racconta com’erano andate veramente le cose: l’aveva freddato, perché quello stava intuendo la Verità: l’unica che esiste in questo maledetto, violento e disonesto mondo.
Ciò è quel che differenzia Tex dal suo compagno di scuderia Dylan Dog, per cui la verità è non solo minuscola, ma avvolta in un groviglio oscuro che gira vorticosamente su se stesso, più o meno come lo spazio secondo rovelliano (un grumo apparentemente impazzito). Per Tex lo spazio non è affatto curvo, relativistico, ma retto, newtoniano… retto e corretto! Diversamente faticherebbe a centrare ogni volta il bersaglio.
Una cosa che emerge con certezza direi quasi filosofica è che in queste storie l’esito di un evento non è mai quantisticamente indeterminato, ma è quello e basta. Per capire il concetto, basti pensare al viso del leggendario Gianluigi Bonelli, creatore del più famoso ranger d’Italia (a pari merito con Capitan Miki), com’è stato a suo tempo disegnato dall’altrettanto mitico Galep (Aurelio Galleppini, il primo disegnatore di Tex): sguardo dritto, sincero e scevro d’inutili fisime.
Una regola di questo mondo quadrato (in cui tutto alla fine quadra), è: l’uomo, se fa il cattivo reca male a chi è buono, talvolta uccidendolo. Ci penseranno poi i nostri eroi a proteggerlo e, se è necessario, a vendicarlo: se il colpevole non sarà ucciso in uno scontro a fuoco, sarà come minimo consegnato alla giustizia umana. E non sono ammesse deroghe da questo dogma di fede.
La domanda che ci si può porre è: Tex è un manicheo? È forse uno per cui il mondo è buono oppure cattivo, è bianco oppure nero, senza che sia prevista una via di mezzo? La risposta me la ritrovo tra le mani alla fine della seconda storia di questo Maxi Tex, a cui mi sto approssimando, ma di questa ancora mi viene da dire che qui “i cattivi sono tre”, e due muoiono; alla terza persona Tex alla fine dice: “Restate qui. Prenderemo quella carogna. Poi dovremo fare i conti anche con voi.” – il bello è che la tipa risponde: “Avete ragione, Willer. Sono stata avida, e ho coperto un assassino.”
La chiusa pare un Missa est: il capo di quei miserabili “non farà più del male a nessuno!”
Penso che non ci siano dubbi che Tex sia l’opera letteraria che meno difetta di punti esclamativi!
Il secondo episodio narrato è L’ultima partita di cui parlerò nel prossimo articolo.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Pasquale Ruju, Sandro Scascitelli, Maxi Tex: Dopo la tempesta, Sergio Bonelli Editore, 2022