“Wonder” di R. J. Palacio: a volte è l’handicap che ti permette di scavalcare l’asticella

Ora o mai più, mi sono detto pochi minuti fa, dopo aver terminato il secondo capitolo di Wonder di R. J. Palacio, caso letterario dell’anno 2012, almeno a sentire il London Times. Terzo libro imposto tassativamente da mia figlia Anna, dopo Anna dai capelli rossi e American Gods. Completate già le reazioni a questi due primi romanzi, ora toccherebbe al terzo.

Wonder di R. J. Palacio
Wonder di R. J. Palacio

Dei tre è senz’altro il più facile da leggere, non dico il meno interessante o il più semplice, ché le sue complessità paiono manifestarsi a poco a poco, ma voglio evidenziare che la lettura scorre come un torrentello di campagna, che all’inizio appare come un canalazzo da irrigazione o poco più, ma che si sta ingrossando man mano che lo sto leggendo. Non vorrei ritrovarmi alla fine sul delta di un fiume africano, tipo Nilo, per intenderci.

Da un paio d’anni sto cercando di verificare una mia strana teoria. Ogni libro può essere e quindi è il mattone che serve a costruire l’edificio che ti circonda, separandoti dall’ambiente, ma che ti ricongiungerà a esso. Quando leggo, non ho parenti né amici, che ritrovo alla fine dell’ultimo capitolo, non prima però di aver riportati alcuni commenti. In genere il mio commento avviene in itinere, mentre sto leggendo, ma non sempre è così. Dipende sia da me che dal libro e dal rapporto che intercorre fra noi due. Nel caso in questione, come nella maggior parte degli altri, già dalle prime pagine si è formato in me il convincimento che non sarò in grado di scriverne alcunché d’interessante e che finalmente è occorso il caso della mia resa a favore di chi si dichiara certo che non tutti i libri meritino d’essere forieri di reazioni esistenziali. Un piccolo segreto che prego di non divulgare troppo (al massimo ai soliti tre: óm, dóni e ragâs, uomini donne e ragazzi) è che nelle prime pagine di ciascuna opera (Bibbia compresa) sono preso da sbadigli, sindrome che mi passa (quasi) ogni volta a pagina 37 (numero scaramantico).

Il protagonista e momentaneo io narrante è August Pullman, il quale sa “di non essere un normale ragazzino di dieci anni”, sebbene quotidianamente faccia “cose normali” tipo mangiare “il gelato” e giocare “a palla” e che dentro di sé si senta “normale”. Egli vorrebbe “avere una faccia così normale da passare inosservato”. E quella non ce l’ha affatto, né mai l’avrà. Un paio di conflitti genetici l’hanno resa quasi inguardabile. Non semplicemente sgraziato, ma (quasi) mostruoso.

Ascolta di nascosto, o meglio, sente per caso, nel dormiveglia, i ragionamenti che si scambiano i suoi genitori circa l’opportunità di mandarlo a una scuola normale (finora la mamma le ha insegnato a casa i rudimenti della cultura, sebbene sia carente per quanto riguarda le frazioni matematiche).

Una frase del padre colpisce la sua immaginazione, anche se fatica a capirla: “Perciò vorresti mandarlo alla scuola media come un agnello al macello…”, ma quando chiede lumi al genitore, questi gli dice di rimettersi “a dormire”.

Il progetto scuola pubblica data da un annetto, anche se solo “il mese scorso” i suoi genitori hanno saputo che August sarebbe stato ammesso. Non gliel’avevano però ancora fatto sapere:Tu mi hai detto che si trattava solo di un test sul quoziente di intelligenza, però”, al che la mamma ammette: “Lo so, be’, è stata una bugia bianca” – quelle cose che cambiano colore solo quando vengono scoperte.

Un argomento lo fa ridere. Il papà gli dice che preside della scuola si chiama “signor Kiap”. E poi ci gioca, con questo nome. Da quello che mi è parso d’intuire il padre è un aspirante clown, mentre la mamma è la figura seria della famiglia: “Papà era l’unica persona al mondo che riusciva a farmi ridere anche quando non ne avevo la minima voglia. Papà faceva sempre ridere tutti.”, capace di aggiungere un aneddoto gustoso come questo: “Io e mamma all’università avevamo una professoressa che si chiamava signorina Culy”.

August si fa convincere dalla mamma di fare un “giro turistico” nella scuola, dove incontra il presidente chiapputo, nonché “la simpatica signora Garcia” e tre futuri compagni di scuola, una femminuccia e due maschietti. Dei tre, Charlotte, Jack Will e Julian, solo il terzo ha un atteggiamento poco delicato, per cui non esita a chiedergli: “Che è successo alla tua faccia? Voglio dire: sei rimasto imprigionato in un incendio o roba del genere?” – la domanda, in apparenza innocente, non piace ai suoi due amici che lo censurano, e Jack, per sviare il discorso, dice a August: “Andiamo alla biblioteca, dai.”

Finalmente arriva il primo giorno di scuola: “D’accordo, lo ammetto: il mio primo giorno di scuola non avevo la tremarella, ero proprio terrorizzato!”

Presto August scopre che “la scuola cominciava a piacermi.” Alla sera, dopo aver chiesto: “Perché devo essere così orribile, mamma?” – lei “mi ha mormorato parole dolci, che sapevo avrebbero dovuto aiutarmi. Peccato che le parole non possano cambiare la mia faccia.” – neanche la mia; possono però indurre al riso, al sorriso e al pianto e mentre si provano questi sintomi esistenziali (non saprei definirli diversamente) il mondo sembra cambiare un po’ i suoi contorni, anche i lineamenti di chi ti sta accanto. Sembra, ho detto.

Prima fregatura della scuola (lo sapevo molto bene quando a me capitava questa disgrazia): “… non mi piaceva affatto l’idea di non avere più un briciolo di tempo libero. Prima potevo giocare ogni volta che ne avevo voglia, ma adesso mi sentivo come se ci fosse sempre qualcosa da fare per la scuola.”passavo interi pomeriggi fisicamente sui compiti, ma spiritualmente ero altrove, e rimaneva sempre da svolgere un sacco di incombenze scolastiche, che mai finivano perché mai iniziavano davvero.

Un precetto impartito dall’insegnante Browne mi lascia perplesso: “Le tue azioni sono i tuoi monumenti”, che era in realtà una frase che “era scritta sulla lastra tombale di alcuni tizi egiziani, morti migliaia di anni fa.” A casa ogni studente doveva scrivere facendo riferimento a quel che si pensava del significato della frase. Estrapolo dal commento di August: “… Le nostre azioni sono come i monumenti che la gente ha costruito per onorare gli eroi dopo la loro morte…” – che “sono costituite dal ricordo che la gente conserva di noi. Edificate con la memoria, invece che coi sassi.” – sono abbastanza d’accordo con August, ma non confido nella possibilità d’una corretta interpretazione delle azioni di una persona. Etimologicamente, interpretare significa trattare, permutare, negoziare (dal sanscrito pàn-ate, che in greco diventa pèr-natai, da cui deriva anche il temine emporio). Qualsiasi traduzione è un tradimento, una trattativa esistenziale, un contratto da stipulare col prossimo. Un trade si dice in inglese.

A scuola le cose vanno benino, almeno finché August non scopre alcuni fatti spiacevoli: i ragazzi, man mano che lo conoscono, bisbigliano su di lui, e hanno dei leggeri ma facilmente ravvisabili tentennamenti quando s’imbattono in lui per la prima volta.

“Comunque, stava andando tutto liscio finché…” la mano di August “ha urtato accidentalmente” quella di un certo Tristan, il quale “ha ritratto la mano con un gesto così fulmineo che ha lasciato cadere l’alluminio sul pavimento, facendo cascare contemporaneamente dalla piastra anche tutti gli altri.”

Un ulteriore e più doloroso accadimento è quando, a Halloween, August, irriconoscibile per via di un suo travestimento, ascolta casualmente un discorso fra Jack Will e Julian, rispettivamente travestiti da mummia e da Darth Sidious, in cui quest’ultimo afferma che August “sembra un orco” e l’altro che, “… se sembrassi così, lo dico davvero, credo che mi ucciderei”. Poi Darth-Julian chiede alla mummia-Jack: “Allora perché stai sempre con lui?” e la risposta provoca il disastro: “Il preside mi ha chiesto di stare con lui all’inizio dell’anno e deve aver detto a tutti gli insegnanti di metterci vicini in tutti i corsi o roba del genere.”

Qui termina la Parte Prima. Nella Seconda, a parlare tocca a Via, la sorella di qualche anno maggiore, che gli vuol molto bene ed è molto protettiva nei suoi confronti, ma che vive male il fatto che la mamma passi troppo tempo con il figlio problematico, chiamiamolo così, e troppo poco con lei. Via (in realtà Olivia) si guarda bene dal dire cose che potrebbero offendere il fratello, anche a proposito dell’apparecchio acustico che presto, secondo i dottori, sarà necessario per lui, ma è “sicura che lo sa già”. A dire il vero, ammette: “non sono davvero sicura di quello che August sa e non sa. Di quello che capisce e che non capisce.”

Lei si sente perplessa quando non sa spiegarsi perché August “non può, semplicemente, dire quello che sente come chiunque altro? Non ha più un tubo in bocca che gli impedisce di parlare.”

Il suo convincimento è che “deve crescere, adesso. Ecco che cosa penso: abbiamo speso talmente tanto tempo a cercare di far credere ad August che era normale, che adesso lui pensa davvero di essere normale. Il problema è che non lo è” – ti do una bella notizia, Olivia (che bel nome che hai): io mi sento diversamente normale e questo da diversi decenni, ed è il motivo per cui ho sempre cercato una mia dimensione all’esterno delle istituzioni, e se non l’ho trovata è mia fede che sia solo una questione di tempo. Nel frattempo credo sia giusto per me convivere col problema, senza mai rinunciare alla mia identità, che è quello che, per esempio, mi spinge a scrivere le presenti righe.

“Sarò sempre la sorella di un ragazzo con un difetto congenito: non è questo il problema. È solo che non mi va di essere sempre definita così.” – ti do ragione al 101%.

Accetto in parte una tua definizione di Guerra e pace di Tolstoj: “Fantastico. La gente pensa che sia un mattone, invece è una soap opera con un sacco di personaggi, persone che si innamorano, litigano per amore e muoiono per amore. Anch’io voglio innamorarmi in quel modo, un giorno. E voglio che mio marito mi ami come il principe Andrej amava Natasha.” – io no, per ovvi motivi. A parte gli scherzi, il capolavoro dello scrittore russo è una brick opera, iscritta d’ufficio alla Cassa Edile, ma la morte del principe da te citato è quel luogo sacro in cui Lev si è unito con la Divinità che governa la scrittura, entrambi beati, per l’eternità.

August non si sente di alzarsiper la sfilata di Halloween”. E questo ti sorprende: “Di solito August era un duro, riguardo ai suoi problema di salute, sia che si trattasse di andare sullo skateboard pochi giorni dopo una delle sue operazioni o di succhiare da una il cibo da una cannuccia quando la sua bocca era praticamente cucita col ferro” – questo per dare un’idea delle problematiche che occorrono al tuo fratellino, che è in piena crisi d’identità.

Per stimolarlo gli narri un’atroce verità: “Devi tornare a scuola. Tutti odiano la scuola, a volte. È la vita, Auggie. Vuoi essere trattato in modo normale, giusto? Questo è normale! Che tutti siamo costretti ad andare a scuola, a volte e questo nonostante abbiamo delle giornate no, va bene” – ogni tanto penso a quante volte qualcuno (o qualcosa, per esempio una sveglia) mi ha costretto ad alzarmi, perché facessi la pipi, colazione etc per recarmi in quel posto dove è normale recarsi fino almeno a sessanta e rotti anni! E questo la chiamano civiltà! E di fatto lo è, la civiltà in cui la dimensione di Eros è ridotta a quella di una statuina, mentre quella di carcerato è assunta a irreale diritto a farsi alienare, così almeno predicavano un paio di filosofi tedeschi.

A dire la propria, ora tocca a Summer, una compagna di classe di August, con il quale lei ha sentito da subito una certa affinità, forse per via del comune nome estivo o forse questo è stato solo il pretesto per legare con lui. Se qualcuno le chiede se vuol essere amico di questo portatore di faccia assurda, perché qualcuno (il preside per esempio) gliel’ha chiesto, lei risponde con sincerità: “No. Sono sua amica perché voglio essere sua amica e basta.” Di lui dice: “È solo un ragazzo. Il ragazzo dall’aspetto più strano che io abbia mai visto, questo sì. Ma solo un ragazzo.” Ammette che August “non è la persona che mangia nel modo più educato del mondo” – per via della sua deformità, ma “a parte questo, è piuttosto simpatico.”

A chi chiama August “zombie”, lei accenna a un risolino, come se fosse una battuta, “ma in verità non aveva nessuna voglia di sorridere.

A quell’atipico ragazzo dona una speranza, quando gli parla della possibilità che l’anima di un morto (come il papà di lei, come la nonna di August) “vada in paradiso, ma solo per un po’. Tipo che lì è il posto dove rivedono i vecchi amici e roba del genere e rivivono un po’ i vecchi tempi. Ma dopo, secondo me l’anima comincia a ripensare alla sua vita sulla terra, se si è comportata bene o male o qualsiasi cosa. E poi rinasce di nuovo nel mondo, sotto forma di un bambino.” – e questo fa ben sperare August: “significa che, nella mia prossima vita, non sarò intrappolato in questa faccia.” Alla fine di una bella conversazione, August gli dice che è simpatico. Dopo avere ammesso di esserlo, lui aggiunge: “Sono un grande.”

Ora tocca a Jack, il compagno che, per ordine del preside, aveva legato con August e che poi aveva detto che lo faceva non perché gli andasse, ma perché gli avevano chiesto di farlo. A me costui pare una brava persona, ma anche lui, come tutti, talvolta spara varie stupidaggini. A un certo punto egli narra alla mamma del suo primo incontro con August, avvenuto “quando avevo cinque o sei anni.” Dice: “Io e Veronica, la mia baby-sitter, eravamo seduti su una panchina fuori dalla gelateria con Jamie, il mio fratellino più piccolo…” – queste frasi indicano che la sua testimonianza non è di tipo diaristica, non lo dice a se stesso o a un alter-ego, ma lo sta raccontando a me, suo lettore, che prima di oggi non conosceva né l’una, né l’altro.

Dopo un’iniziale titubanza, Jack accetta l’incarico di affiancatore di August perché, dalla reazione che Jamie (irrazionale e beffarda) ha capito “come uno come August non ha una sola possibilità di sopravvivere alla scuola media”, se non lo si aiuta un po’.

L’inguardabilità di quel ragazzo è un fenomeno reale che scema col tempo: “… dopo circa una settimana, ho cominciato a fare tipo ‘Huh, non è poi così terribile.’ Inoltre, “August è veramente in gamba. Sì, insomma, è piuttosto divertente. Genere che un professore dice una cosa e lui mi sussurra subito qualcosa di divertente e mi fa piegare in due dalle risate.”

L’umorismo è un’arma per chi la usa per ridere innanzi tutto di se stesso, anticipando gli altri. Garantisco, per esperienza vissuta in prima persona, che la prima volta fa male perché si penetra dentro se stessi, poi sempre meno e alla fine risulta quasi piacevole. Se Totò e Woody Allen fossero stati belli come Alain Delon, avrebbero avuto più successo con le donne, ma le avrebbero fatte ridere di meno. Non è forse una gran soddisfazione ma, dicono dalle mie parti, piuttosto che niente è meglio piuttosto (piutȏst che gnînt l ē mej piutȏst).

Grazie a un mezzo indizio che gli lancia Summer, Jack capisce cos’è successo e quando Julian accenna ad August, chiamandolo mostro, gli tira “un pugno. Dritto sulla bocca.” Questo gli causa una punizione e un sacco di problemi, ma gli fa riguadagnare l’amicizia di August.

Va a casa dell’amico disperso e finalmente ritrovato, e fa conoscenza con Daisy, la cagnolina, la cui attrice che la rappresenta nel film tratto dal romanzo, è sosia di Phoebe, la nostra mezza yorkshire (e mezza beagle).  Anche lei, come Phoebe, ama essere grattata nella pancia, per cui appena può si rigira sulla schiena.

Daisy non ha mai pensato al suo padrone come a un esempio micidiale di bruttezza, ma come il suo amico più caro (insieme al resto della sua famiglia). Non significa che lei sia più intelligente degli umani, né più stupida. I cani sono geneticamente e culturalmente diversi da noi primati cosiddetti evoluti e non necessariamente migliori. Sono peluche a quattro zampe, e noi bipedi implumi con due piedi assai lenti e due mani sempre un po’ agitate.

A parlare ora tocca a Justin, il ragazzo di Olivia, che rimane sconcertato allorché vede il suo ipotetico cognatino. Ma nega di esserlo, non ingannando la sua ragazza, che sorvola su quel fatto, ritenendolo inevitabile. Justin ci pensa “parecchio, e a tutto quello che questo può significare”.

La probabilità statistica che qualcuno sia colpito dalle menomazioni che hanno reso particolare il viso di August è di una su 4.000.000, il che significa che ci dovrebbero essere almeno duemila August sulla faccia della terra: un esercito: “… ma questo non fa dell’universo una gigantesca lotteria, dunque? quando nasci compri un biglietto. e dipende tutto dal caso, se è un biglietto buono o un biglietto cattivo è solo questione di fortuna.”

Riportare i pensieri di questo giovane mi crea qualche piccolo problema: egli non usa mai le maiuscole, nemmeno quando parla della innamorata, “olivia” o di “augie pullman”. Il perché non lo so. C’entra forse il fatto che i suoi sono divorziati da “quando avevo quattro anni e praticamente si può dire che si odiano, sono cresciuto passando mezza settimana nell’appartamentino di mio padre a chelsea e l’altra metà a casa di mia madre nei quartieri alti di brooklyn…”? ritocca ora ad august. sintetizzo, anche se odio farlo.

succedono tante cose: jack è vittima della vendetta di julian ma poi le cose si aggiustano da solo in quanto tutto nel cosmo finisce quando si scaricano le batterie, muore daisy lasciando un gran vuoto, justin e olivia recitano sul palco riscuotendo un gran successo e si passa al capitolo successivo.

involontariamente ho scritto le ultime righe senza usare le maiuscole, mi sa che justin m’abbia mischiato il virus.

R. J. Palacio
R. J. Palacio

Riporto, con le maiuscole, un pensiero di August: “Credo dovrebbe esserci una regola per cui tutti nel mondo, prima o poi, hanno diritto a ricevere almeno una standing ovation nella vita”, che riprende il celebre detto di Andy Warhol che ognuno, prima o poi, ha il suo quarto d’ora di celebrità. Quando accade, purtroppo viene a costare tanto, talvolta una vita intera.

Poi la parola passa a Martina, ex amica di Via ed ex un po’ tutto, persona infelice, quella che si dice una bestia che soffre ma che fa finta di adeguarsi alla realtà. Una che fa e disfa, cambiando ogni volta le carte in tavole. Più che cattiva è incompresa, soprattutto a se stessa. Nessuno le vuole realmente bene, né male. August le è affezionato, ma può benissimo vivere senza di lei. Volevo citare qualcosa di quanto dice (anzi, scrive) ma nulla mi pare così importante da lasciare una traccia significativa. Leggendo Wonder, lo si può comprendere.

Tocca di nuovo ad August. Una sua frase la dice lunga sull’immensa tragedia umana. “Il pullman sfrecciava via velocissimo”, portando la classe in gita. Tutti più o meno presenti, ma non Julian e quando lo scopre August si sente “gasato un sacco”, perché “senza di lui tra i piedi, potevo davvero rilassarmi e non preoccuparmi di niente.” A parte che non sarà proprio così (ci sarà un tafferuglio non piccolo con dei ragazzi di terza), non si può che concludere che anche le persone migliori gioiscano dell’assenza dei loro simili, forse perché non li sentono come tali. La diversità fisionomica di August è similare a quella psicologica di Julian, il ragazzo cattivello e vendicativo a cui nessuno si sente di assomigliare.

Potrà mai l’uomo cessare quest’idiota conflitto contro se stesso? È mai esistito un bracco di animali qualsiasi (ad esempio i pinguini) per cui l’amore universale propugnato da quel messianico palestinese abbia un senso reale? Per cui si possa amare l’altro e non considerarlo un nemico da evitare oppure da eliminare in un qualche modo? Esisterà mai un mondo privo di buoni, in cui non vi sarà la necessità dei cattivi per creare un’assurda differenza? Sto pensando al bradipo, che, lentissimo, si dondola su un ramo. Tutta la sua vita scorrerà in tale solitaria beatitudine? O anche lui si farà prendere da quei cinque minuti che possono condurre al più efferato delitto?

“Mi sono reso conto che i miei auricolari da Lobot mi permettevano di sentire davvero molto meglio della maggior parte degli altri, perché il più delle volte ero proprio io a individuare il canto di un nuovo uccello” – mi fa piacere, August. A volte è l’handicap che ti permette di scavalcare l’asticella prima di quel momento inarrivabile alla maggior parte degli umani. Gran parte dell’arte è nata perché si partiva da una menomazione, anche questo goffo tentativo di reazione ipodermica alla tua storia.

“Meno male che mi sono spruzzato lo spray prima di uscire, così non sono stato divorato vivo come alcuni degli altri ragazzi.” – è quello che suggerisco a chiunque abbia a che fare con ditteri e umani. È giusto amarli, prima però conviene proteggersi.

“Mi è piaciuto un sacco, stare lì intorno al fuoco che dopo che aveva fatto buio. Mi piaceva il modo in cui le scintille infuocate volteggiavano verso il cielo e sparivano nell’aria della notte. Mi piaceva anche il rumore che faceva, il fuoco. E come gli alberi fossero talmente scuri che intorno a te non potevi vedere niente e, se guardavi in su, vedevi invece un trilione di stelle” – più o meno.

Hai apprezzato l’avvenimento tribale di stare, insieme ad alcune persone care, attorno al fuoco comunitario, e al contempo hai mostrato interesse all’ineffabile che si mostra solo allorché le luci non sono abbastanza disturbanti, motivo per cui i telescopi vengono costruiti in altura, dove c’è minor inquinamento luminoso: e chi lo causa, questo inquinamento, sono quelli come te e me. È il nostro bisogno disperato della luce che ci impedisce di guastare i misteriosi doni del buio.

“È talmente strano, come ti possa capitare di trascorrere la notte peggiore della tua vita mentre quella stessa notte, per chiunque altro, può essere una notte uguale a tutte le altre.”a chi la va la va, la notte, il giorno, la vita, la morte. Riprendendo ancora il detto di Warhol, la nostra esistenza è un perenne alternarsi di quarti d’ora: a volte va benino, meglio, peggio, a volte malissimo.

Chiedi a mamma se “anche quando sarò grande sarà sempre così?”e alludi agli idioti che si creano problemi per il tuo viso e li trasmettono a te, colpevole di non essere come loro. Quando mi recavo con mio papà a messa dai Cappuccini, spesso m’imbattevo in un uomo anziano che aveva il visto molto più devastato del tuo (era come se indossasse una maschera deformata e rugosa, gonfia di escrescenze variamente colorate). M’abituai presto a tale orrenda visione. Mi ricordo che una volta stava seduto di fianco a me e, quando il prete disse il consueto scambiatevi un segno di pace!, io gli porsi la mano abbozzando un sorriso, che lui ricambiò tutto felice. Perché ti abbia raccontato questo, non lo so. Ah!, perché non so se gli capitasse ancora alla sua veneranda età  d’incontrare un idiota desideroso di fargli pesare quella sua particolarità estetica.

La risposta di tua madre è buonista: “… io credo davvero, e anche papà lo crede davvero, che ci siano molte più brave persone a questo mondo che non cattive, e le brave persone si proteggono l’un l’altra e si prendono cura le une delle altre.”

Cara Isabelle Pullman, il problema è che un cattivo può far diventare come lui cento milioni di buoni, ma il contrario pare non sia mai successo. Entra in casa Pullman un nuovo cagnolino, Orso, che eredita i giochi di Daisy, poi sarà lui a scegliere. Gli umani in genere durano di più dei canidi e questo reca tristezza, ma anche un’illusoria sensazione d’immortalità. Mia figlia Anna mi ha detto in questi giorni che darebbe la vita per Phoebe, io invece mi limiterei a metterla a repentaglio. I cani sono sempre i nostri miglioriamici. Lo dico per poter discutere quest’espressione che è stata ripetuta troppe volte nel corso della storia. Jack è il miglioramico di August, una volta lo era Christopher. A me capita di considerare tale ogni libro che leggo. Sic transit gloria mundi.

Due esempi della prosa di R. J. Palacio, che è lei che occorrerà ringraziare alla fine. Per il primo devo fare un passo indietro, a pagina 167 (è l’horcrux Jack a scrivere per conto dell’autrice): August chiede a Justin se è “il fidanzato” di Via e “sua sorella gli ha abbassato il cappellino da baseball sulla faccia”.

Ora, a pagina 268 (è l’horcrux August a scrivere la sua, sua di R. J.), Jack (Will) si mette nella terza fila (“dalla O alla Q”) in cui c’è August (Pullman), anziché nella propria (“dalla R alla Z in ultima”), e la signora Rubin gli grida: “L’ultima volta che ho controllato, la W stava fra la R e la Z, o sbaglio?” – questo è lo humour squisitamente yankee che rende simpatico questo libro, anche se dove mi trovo ora (Amalfi) la signora Angelina direbbe le cose diversamente.

Ora il preside Chiappuccio sta recitando la prolusione finale (lo so che è un ossimoro), in cui dice un sacco di cose belle, alcune fin troppo. Cito lui che cita J. M. Barrie che scrisse: “Non dovremmo forse inventare una nuova regola di vita… cioè cercare di essere sempre un po’ più gentili del necessario.– il che è vero, ma non so quanto sia logico. Si dice che il troppo stroppia e che in medio stat virtus. In un altro punto del libro, qualcuno ha detto (non ricordo né chi né dove) che non bisogna fare il simpatico, ché si è scoperti subito. Bisogna essere simpatici, essere gentili.

“… mi sono emozionato veramente tanto quando il signor Kiap ha chiamato Summer per la medaglia d’oro in scrittura creativa” – di tutti gli horcrux lei è quella più somigliante all’autrice.

La “medaglia Henry Ward Beecher” spetta ad “August Pullman”, che è lo “studente la cui forza tranquilla ha trascinato il maggior numero di cuori.” – quando l’ho letto mi sono leggerissimamente commosso, è stata una faccenda di un secondo o due al massimo.

“Ma, ehi, se proprio vogliono darmi una medaglia perché sono me stesso, a me sta bene. La accetto. Non ho distrutto la Morte Nera né niente del genere, ma sono appena riuscito a uscire indenne dalla prima media. Cosa non facile e questo anche senza essere me.” – e sarà ancora lunga la via che ti recherà a Tipperary.

In Appendice ci sono I Precetti del signor Browne. Leggo quello di maggio: “Fa’ tutto il bene che puoi, utilizzando tutti i mezzi che puoi, in tutti i modi che puoi, in tutti i luoghi in cui puoi, tutte le volte che puoi, a tutta la gente che puoi, per tutto il tempo che riesci (Regola di John Wesley)”. Sì, ma poi pigliati una pausa e respira: Om om om om!

Ed è quello che farò io fra cinque minuti.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

R. J. Palacio, Wonder, Giunti editore, 2013

 

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