“La Principessa che voleva amare Narciso” di Maria Chiara Gritti: uscire dai labirinti del cuore
“Disprezzata si nasconde nei boschi e, vergognosa, copre il volto con le fronde e da quel momento vive nelle caverne solitarie; ma tuttavia è ben radicato l’amore e cresce per il dolore del rifiuto […] Da allora si nasconde nei boschi e non è vista in nessun monte, ma è ascoltata da tutti; è il suono, quello che vive in lei.” – Ovidio
Sarà capitato a molte/molti di noi incappare in relazioni tossiche, diverse volte nella vita, ma di aver solo in un secondo momento capito il loro inghippo: un flash, una illuminazione, una coincidenza e, come per incanto, abbiamo compreso tutto.
Perché con quella persona ci sentivamo sempre sbagliate perché ci stavamo assottigliando, ma anche perché fosse stato possibile ciò: eravamo noi colpevoli di essere cadute/caduti nella sua trama, oppure sarebbe stato impossibile non entrarci? Ma allora perché all’inizio della relazione tutto ci sembrava fantastico?
Lui/lei ci aveva tanto elogiato, apprezzato, ammirato con parole che il nostro cuore avrebbe sempre voluto sentire… e ci stupivamo quasi della sua capacità di leggerci dentro… poi ad un certo punto lui/lei ha una strana reazione; ci agitiamo un po’, ma facciamo finta di non vedere, non vogliamo passare per paranoiche/paranoici come sempre e rovinare tutto. Facciamo prevalere il caro vecchio consiglio di non essere pesanti all’inizio. E andiamo avanti.
Entriamo però in un’escalation in cui, ogni tanto, l’altra persona ci ferisce volutamente; ma noi non lo capiamo e, pur restandoci male, andiamo avanti perché l’altro, dopo averci ferito, sa tornare facendo finta di sentirsi in colpa. E noi perdoniamo, in bilico tra il voler restare indifferenti per non dare soddisfazione e il sincero sentimento che sempre sa accogliere chi amiamo.
Eppure più perdoniamo e più diventiamo schiave/schiavi; talora, di fronte ai suoi gesti eclatanti, ci sentiamo in colpa perché non ci scopriamo troppo, e poi, quando invece proviamo noi a proporre qualcosa, ecco che l’altro si tira indietro, finché un bel giorno, quando ormai ha capito che saremmo disposti/disposte a tutte per lei/lui, taglia la corda o con un messaggio codardo o con un laconico vuoto.
Solo dopo capiamo che quella persona è affetta da un disturbo patologico chiamato narcisismo. Come sempre per capire in cosa consista, dobbiamo recuperare il mito greco.
Narciso non riusciva ad amare. Di Narciso si innamorò la delicata ninfa Eco. Eco più lo amava e più ne veniva respinta; più veniva respinta e più si assottigliava annullando se stessa. Nemesi condannò Narciso ad innamorarsi della propria immagine: più lui cercava di raggiungerla più era inafferrabile e alla fine morì di struggimento; al suo posto nacque un fiore, un narciso appunto.
Eco continuò ancora ad assottigliarsi, provando un immenso dolore per la fine del suo ingrato amato: portava così a termine la propria trasformazione: l’eco è quel sottilissimo filo di voce che ci torna indietro quando parliamo.
Ovidio, nelle Metamorfosi racconta magistralmente questo mito e recentemente ho potuto leggerne una bella critica in Piero Boitani di ci cui ho parlato nella recensione del libro Dieci lezioni sui classici.
Nella forma incantata di una fiaba, il saggio La Principessa che voleva amare Narciso della dottoressa Maria Chiara Gritti procede attraverso la narrazione di un caso che diventa archetipico e quindi paradigmatico, come lo sono i miti epici.
E, come nell’epica, il narratore onnisciente si permette di dare spiegazioni tra un passaggio e l’altro senza diventare pesante e banale. La prima cosa da notare, quindi, è la fusione tra genere saggistico e genere narrativo, dove è evidente che il secondo è in funzione del primo: le storie, infatti, aiutano a capire meglio i concetti, da tempo immemore.
Così si legge, infatti, nell’introduzione programmatica: “A tutti loro è dedicata questa storia, che racconterà le incredibili avventure di un uomo e di una donna, intrappolati in un’infanzia senza fine, e mostrerà come il loro incontro, inizialmente doloroso, riuscirà a trasformarsi in un’occasione di crescita conducendo alla scoperta di un tesoro che sembrava ormai perduto”.
Il resto è costituito da quindici capitoli nei quali viene narrata la storia di Febe e Flavio, due ragazzi che si incontrano e si piacciono, eppure non riescono ad amarsi. La causa è nella storia dei loro genitori. In particolare Febe ha avuto genitori che non le hanno dato troppa attenzione. Di conseguenza Febe, non riuscendo a trovare se stessa guardando dentro di loro, impara a cercare in altro la ragione della sua felicità. Per questo, quando incontra Flavio, annulla se stessa pur di piacergli.
Flavio, al contrario, ha avuto genitori, in particolare la madre, che gli hanno dato troppa attenzione, spingendolo a guardare solo verso se stesso, ovvero a coltivare il proprio giardino che deve essere sempre perfetto, privo di ogni difetto. I fiori coltivati sono i narcisi.
Il Narciso, spiega Flavio a Febe è “tanto eccezionale” perché “non teme il freddo e riesce a germogliare anche senza calore. La sua fragranza è talmente inebriante da sconcertare chiunque si avvicini per annusarla. La sua forma delicata lo rende elegante e il suo colore luminoso come il sole può nascondere il buio […] Il bulbo e le foglie contengono un veleno pericoloso. Non lo si deve mai toccare, possiamo solo ammirare la sua bellezza da lontano”.
Più tardi spiegherà a Flavio sua madre “Il narciso contiene un veleno che lo protegge dalle persone che vogliono fargli del male, impedendo a chiunque di strapparlo dal suolo […] In pochi hanno il privilegio di poter coltivare questo fiore dentro la loro anima, perciò dovrai averne cura e dovrai impegnarti per farlo crescere, procurandosi ogni giorno una sostanza capace di farlo brillare”. Tale sostanza è composta “della luce che emanano gli occhi pieni di ammirazione”.
Flavio quindi ha bisogno di essere ammirato per esistere, ma non ha bisogno di amare e deve difendersi da chi, cercando di amarlo, vorrebbe toglierlo dal controllo del proprio prato, oppure da chi non è perfetto come lui, anche quando l’imperfezione è parte di sé.
Nella vita di ogni giorno, quando una Principessa incontra un Narciso, le si consiglia di lasciarlo stare e io stessa, per quel che so, ritengo che dal narcisismo non si possa guarire.
Invece in questo libro si prova a fare un passo avanti e la voce narrante porta avanti la storia in un modo che si possa sperare in un cambiamento di lui (ma anche di lei) e in un lieto fine.
Il libro fa accadere quello che difficilmente accade nella vita: spesso quando si decide, con molto dolore, di lasciar andare una persona tossica, ci si rammarica del fatto che non si sia riusciti a cambiarla perché, al di là di quei suoi difetti, quella persona era unica e perfetta per noi.
Da un lato, quindi, parrebbe legittimare le principesse ad attendere vanamente un cambiamento che non avverrà mai; dall’altro però, il libro vuole essere chiaramente un omaggio alla professione dello psicologo e dello psicoterapeuta, intesa come l’attività di uno specialista che, con le sue competenze, può aiutare le persone ad amarsi meglio. A livello narratologico questo obiettivo viene ottenuto grazie all’invenzione di un altro personaggio, la cosiddetta “Apriporte”.
Si tratta, a questo punto, di un alter ego non più della voce narrante, bensì dell’autrice che, come competente, interviene a mostrare che il “miracolo” è possibile. Non si tratta di magia e nemmeno di cambiare l’altra persona. Sono le persone stesse coinvolte nella relazione a doversi cambiare da sole attraverso un percorso che consiste innanzitutto nel riconoscere ciascuna i propri limiti e i propri meriti (Febe ha troppa cura per gli altri, Flavio ha troppa cura di sé, ma la cura in quanto tale non è un difetto), e poi nel separarsi momentaneamente per conoscersi; conoscersi significa, sia per Febe che per Flavio, entrare dentro ai propri genitori e vedere se stessi; quindi provare a separarsi dai loro custodi per trovare ciascuno la propria individualità. Poi, una volta fatto questo, sarà possibile per i ragazzi ricongiungersi tra di loro e provare, sempre con tanto lavoro e impegno, a stare bene insieme senza farsi male: Febe dovrà imparare a trovare anche dentro di sé le ragioni per fiorire, Flavio dovrà imparare a coltivare rose piuttosto che narcisi. In tutto questo il primo passo sta, da parte di entrambi, nell’affidarsi ad una Apriporte, in grado di aiutarli a trovare sempre le chiavi giuste per abbattere i loro muri e le loro resistenze.
Il messaggio è che la conoscenza, aiuta anche quando riguarda la nostra anima. Anzi, purtroppo la nostra società, pur continuando ad affermare che la conoscenza è la chiave di volta di tutto, quando poi si tratta della nostra anima/mente (psyche in greco), continua a mostrare molti pregiudizi.
Per ovviare a questi pregiudizi basterebbe tornare alla filosofia di Socrate che, per primo, fece della conoscenza dell’anima la prima forma necessaria e imprescindibile di conoscenza, fondamentale per una vita buona, giusta e santa. Anima infatti include il corpo, le passioni e la razionalità e l’organismo non può vivere nella disarmonia tra queste sue funzioni. Anche leggere questo validissimo libro potrebbe aiutare ad abbattere i pregiudizi.
Written by Filomena Gagliardi
Bibliografia
Maria Chiara Gritti, La Principessa che voleva amara Narciso. Come uscire insieme dai labirinti del cuore, Sonzogno, Venezia 2021, 175 pp., 15 euro