L’Italia delle minoranze che non sa parlare un altro idioma
Italia, paese di santi, poeti e navigatori. Ma anche di minoranze.

Perché secondo l’ultima indagine firmata European Language Index, di minoranze linguistiche, o meglio ancora di lingue, sul nostro territorio ce ne sono almeno 47.
E poi ci sono dialetti e localismi. Una miriade.
E forse proprio questo sentirsi così radicati e abbracciati al proprio angolo di terra rende tutto più difficile.
Ma difficile cosa? Imparare una nuova lingua entro i confini nazionali, ad esempio.
Lo studio dell’European Language Index 2021 mostra un’Italia in cui il 95,3% dei bambini inizia a studiare una nuova lingua a partire dalla scuola primaria. Dio salvi l’istruzione pubblica.
Ma in termini qualitativi, e soprattutto in fase adulta o di adolescenza, gli italiani non brillano per livello o qualità di conoscenza.
In altre parole, studiare un nuovo idioma in patria non è semplice né abbastanza efficace per via del binomio pubblico-privato che non stimola e sostiene abbastanza l’apprendimento.
E poi ci sono le curiosità che aggiungono peso specifico alle cose, ai fatti e agli avvenimenti. In questo caso il protagonista è il sito del Governo italiano.
Nonostante le minoranze, nonostante tutte le lingue parlate da nord a sud, il sito ufficiale è consultabile solo in italiano.
Strano a dirlo, strano anche solo a pensarlo nel ventunesimo secolo nel paese di santi, poeti e navigatori. Forse però, non è pigrizia né presunzione.
Forse gli italiani si sentono ancora al centro del Mediterraneo e del mondo, forse sono solo, ancora e profondamente innamorati della propria terra. Un amore inconsapevole che non fa rima con imperialismi o nazionalismi. Significa solo voler bene alla propria storia, alle proprie radici, alla propria cultura.
In Europa c’è chi fa meglio. C’è chi vanta un sistema pubblico-privato in grado di sostenere i cittadini nell’apprendimento di una nuova lingua. Eccola allora la classifica dell’Unione, ad eccezione del Regno Unito.

Eccolo il podio europeo con le tre posizioni di vertice: i primi della classe sono il Lussemburgo, poi c’è una porzione di Scandinavia, ossia Svezia e Danimarca.
Nelle successive sette posizioni in graduatoria troviamo Cipro al quarto posto, i Paesi Bassi al quinto, al sesto un’altra isola, Malta, e poi ancora la piccola Slovenia, il Belgio e infine Estonia e Germania.
Ma com’è stata realizzata la classifica dei 27 stati dell’UE?
Sono bastati 18 fattori confluiti in sette raggruppamenti statistici. Fattori come l’accesso allo studio digitale di una o più lingue, la differenziazione linguistica, il numero di lingue parlate nei confini nazionali, il plurilinguismo, la qualità della conoscenza della lingua straniera più parlata in patria, i voiceover e i sottotitoli dei programmi TV o delle pellicole cinematografiche e l’apprendimento linguistico scolastico.
Italia, paese di santi, poeti e navigatori. Ma non siamo ancora plurilinguistici. Speriamo di diventarlo presto, almeno in nome delle prossime generazioni, affinché riprendano a navigare il mare della conoscenza.