Le métier de la critique: Dante Alighieri, la sua modernità a 700 anni dalla scomparsa
“Questi fu quel Dante, il qual primo doveva al ritorno delle Muse, sbandite d’Italia, aprir la via. Per costui ogni bellezza di volgar parlare è regolata; per costui la morta poesia meritatamente si può dir suscitata” – Giovanni Boccaccio

A 700 anni dalla sua morte, avvenuta a Ravenna nel settembre del 1321, Dante Alighieri rimane un mito indiscusso. Figura monumentale della cultura e padre della lingua italiana, grazie alle sue innovative concezioni letterarie lo si può definire un visionario.
“Tanto gentile e tanto onesta pare…” – Dante Alighieri
Se a Ravenna si conclude la sua vita terrena, è Firenze che vede la sua nascita tra la metà di maggio e la metà di giugno del 1265.
Non è semplice illustrare i trascorsi di Dante, data l’eccezionalità del suo pensiero, superiore ad autori a lui coevi. Ma non è solo la sua straordinarietà a rendere complessa la tracciatura di un suo profilo dettagliato, anche le notizie arrivate fino a noi, che presentano ombre e luci, ne limitano un’analisi più profonda. Così pure la cronologia delle sue opere, tuttora oggetto di controversie tra i critici, che non esprimono uguali certezze a proposito della loro collocazione temporale.
In merito alla vita e alla formazione del poeta, ciò che oggi noi conosciamo, ci è arrivata tramite le sue opere dallo stesso. Le quali offrono, al fine di conoscerlo al meglio, una sequela di eventi, intrisi di riferimenti simbolici, di cui è stato protagonista. Non è facile, dunque, fare un distinguo fra realtà letteraria e vita vissuta dal sommo poeta.
Quello che conosciamo è la sua provenienza: nasce in una famiglia della piccola nobiltà fiorentina appartenente allo schieramento dei guelfi. Ma poco o nulla viene riferito del padre, della moglie e dei figli, probabilmente in numero di tre. Circa l’origine del suo nome, si dice fosse Durante, poi declinato in Dante.
“E tu prima, Firenze, udivi il Carme che rallegrò l’ira al ghibellin fuggiasco”. – Ugo Foscolo, dai Sepolcri
Il suo primo incontro con Beatrice, donna idealizzata, è del 1274: lei di anni ne ha otto e Dante 9. Quando poi Beatrice muore prematuramente nel 1290, il poeta cade in un intenso stato di prostrazione e, preda di un grande sconforto, per darsi sollievo si rifugia negli studi filosofici: sublimando in questo modo l’amore mancato.
Figura mitizzata, Beatrice, è fondamentale per Dante; presente in tutta la sua produzione è per lui motivo di un grande fervore letterario. A legare il poeta alla fanciulla è un amore platonico, che non si realizza in una vera e propria intesa amorosa, anche perché la giovanissima va in sposa ad un altro. Anche Dante si lega in matrimonio con Gemma Donati, in un’unione stabilita da tempo dai genitori di entrambi.
“Fu dunque questo nostro poeta di mediocre statura… il suo volto lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e il labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso”. – Trattatello in laude di Dante. Giovanni Boccaccio
La Firenze in cui Dante muove i suoi primi passi di giovinetto è un centro colmo di stimoli intellettuali; anche se non è ancora il polo culturale destinato a divenire.
Il poeta si dà quindi una formazione culturale in un crogiolo di tradizione e rinnovamento insieme, dove accanto al vecchio prende vita una nuova effervescenza letteraria: una rivoluzione della lirica, trasposta dal latino al volgare in una tendenza di stile che lo stesso battezza dolcestilnovo.
Già presente negli ambienti letterari, in prevalenza di area toscana, fin dalla seconda metà del Duecento, da parte di alcuni poeti. È un poetare che affonda le radici nelle esperienze poetiche precedenti, ma al contempo è un nuovo modo di esprimersi in versi.
Una nuova maniera che contempla anche espressioni leggiadre e cortesi, da cui la definizione di dolcestilnovo.
Corrente poetica che rinnova la lirica e influenza la tradizione successiva, lo stilnovo avvia un acceso dibattito da cui prende vita la consapevolezza che la dimensione locale della poesia va superata per esprimere contenuti più alti. Critica, nello specifico, riferita a Guittone d’Arezzo.
Secondo la visione di Dante, il modello da seguire è Guido Guinizzelli da Bologna, uno dei portavoce della nuova arte. Così come figura da emulare è Guido Cavalcanti, stretto amico di Dante. Anche se l’amicizia fra i due è destinata a naufragare a causa dei successivi e differenti interessi intellettuali, oltre che dai conflitti che dividono la città di Firenze.
Saranno anche Lapo Gianni e Cino da Pistoia a legarsi a Dante grazie all’ispirazione stilnovistica.
Nel percorso formativo di Dante è decisiva l’influenza di Brunetto Latini, maestro di retorica, il quale lo esorta a rivolgere la propria attenzione agli studi filosofici.
“Io sospetto che Dante scrisse il miglior libro che la letteratura ha raggiunto per inserirvi l’incontro con l’irrecuperabile Beatrice. Un sorriso e una voce, che lui sa perduti, sono il fatto fondamentale” – Jorge Luis Borges
Se i primi 30 anni vedono Dante dedicarsi alla propria formazione culturale, nel periodo successivo è votato agli avvenimenti politici che segnano Firenze.
È dell’anno 1289 la battaglia di Campaldino, durante la quale il poeta si distingue nello scontro tra guelfi fiorentini e ghibellini d’Arezzo. Mentre la città è divisa tra i guelfi di parte nera e guelfi di parte bianca, che la vedono esposta a scontri violenti da parte delle due fazioni. I primi, avversi alle rivendicazioni popolari sono favorevoli all’influenza papale su Firenze; l’altro schieramento, di cui fa parte Dante, difende strenuamente l’autonomia della città e la non ingerenza del pontefice nella vita cittadina.
Il suo impegno politico prosegue poi ricoprendo diverse cariche pubbliche, fino a rivestire la carica di priore, la più elevata nella Firenze di quegli anni.

Seppur aderente allo schieramento dei guelfi di parte bianca, non favorevoli alla presenza del papa, l’atteggiamento di Dante è equilibrato, cercando di mantenere l’ordine accetta anche di veder esiliato Guido Cavalcanti, il suo amico di sempre, che morirà proprio durante l’esilio. Non è solo Guido Cavalcanti a pagare un prezzo troppo alto per le sue idee, anche per Dante, purtroppo, i risvolti politici sono portatori di un triste destino.
Accade che, durante una missione diplomatica presso il pontefice Bonifacio VIII, per placare gli animi, il papa chiami in suo soccorso le truppe francesi, che nel 1302 impongono a Firenze il governo dei guelfi neri. I momenti successivi sono per Dante veramente drammatici, colmi di un’amarezza che non lo abbandonerà mai, in quanto viene condannato all’esilio in seguito a false accuse.
Non accettando le condizioni che gli vengono proposte, il poeta non potrà mai fare ritorno in città. La peregrinazione di Dante, da questo momento fino alla fine dei suoi giorni, sarà dolorosa.
Una stagione sofferta che, seppur creativa, è segnata da condizioni di vita precarie durante le quali subisce umiliazioni politiche, e cerca rifugio e protezione in mecenati dell’Italia del nord.
Costretto a procacciarsi un ‘pane’ che sa di ‘sale’ (Paradiso XVII), offerto quasi per carità dai suoi protettori, gli anni successivi sono per lui comunque proficui, da un punto di vista letterario; anni in cui riordina le proprie idee, frutto delle sue sperimentazioni poetiche e dei precedenti studi filosofici e, non ultime, le idee maturate durante la sua esperienza politica; il tutto orientato verso un’ambiziosa progettazione narrativa.
Abbandonata la Toscana raggiunge il nord Italia spostandosi da una città all’altra. Dopo aver raggiunto varie corti, che lo vedono investito anche di un ruolo diplomatico, si spinge a cercare una forma di pacificazione della penisola sotto l’egida dell’imperatore Arrigo VII. Speranza che andrà purtroppo delusa in seguito alla morte dell’Imperatore.
A Verona, ospite di Cangrande della Scala prosegue nella stesura della Commedia, nello specifico del Paradiso, che concluderà a Ravenna presso la corte di Guido Novello da Polenta e dove, al ritorno da una missione diplomatica, si spegne per sempre.
“Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, pederastia… e lo si condanna a interdizione perpetua dai pubblici uffici e lo si prende al rogo, così che muoia” – Archivio di Stato di Firenze, 1302
Dotato di una natura eccezionale, capace di realizzare un’unica grande narrazione che si snoda dalla Vita nuova alla Commedia, Dante Alighieri è figura singolarissima, la cui capacità di parlare a differenti culture e in tempi diversi è elemento che mette in luce la sua straordinarietà. Che si può anche riscontrare nel fatto che è tra i primi scrittori a costruire il mito della propria biografia, offrendo ai lettori, a livello ideale e simbolico, elementi per decifrarne il pensiero.
I percorsi creativi sperimentati da Dante sono inediti, tanto che adeguandosi a opportunità di linguaggio e di stile, in una continua sfida con se stesso, attraversa tutti i generi della letteratura Medievale. Dal trattato alla lirica, passando da un’opera all’altra e perseguendo il virtuoso progetto di fare del volgare una grande lingua. Progetto che arriva a compimento nella Commedia, sintesi e superamento di ogni sua esperienza precedente. Nel suo processo evolutivo è la nostalgia a ricoprire un ruolo importante, che trova nel passato valori di raffronto: l’idea di un imperatore super partes, per esempio, in riferimento all’Impero Romano, oltre che a dare un senso all’identità italiana in virtù di un modello unitario. Perché per il poeta scrivere in volgare significa non solo parlare a un pubblico ampio, ma anche preparare l’unità culturale d’Italia, il cui culmine lo si può rintracciare nella Commedia, dove il volgare affronta registri e temi differenti.
A livello morale Dante avverte un’esigenza di organizzazione della società e di una riforma religiosa, esplicitata poi nella grande profezia di salvezza rivelata nella Commedia.
In merito alle opere sviluppate in volgare, si può affermare che inizialmente, in poesia, rispetta la tradizione cortese dove sono centrali i temi amorosi; anche se ben presto amplia il suo stile per un totale impiego del volgare, sia nel registro stilistico sia nei contenuti.
E ciò, in virtù del fatto che il poeta intende la poesia come espressione di un’interpretazione unitaria della realtà. Non a caso, le sue raccolte poetiche sono, per convenienza letteraria, inframezzate da commenti in prosa atti ad illustrare la novità del messaggio linguistico.
“Io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade” – Convivio I
Per opportunità di spazio, in questo elaborato viene commentata la produzione dantesca di maggior rilievo, quella universalmente riconosciuta come emblematica del pensiero e della poetica del sommo poeta. Senza per questo voler trascurare intenzionalmente le opere definite minori, relegandole a un ruolo secondario che non gli corrisponde.

Nonostante si abbia contezza di precedenti sperimentazioni poetiche, l’opera d’esordio è considerata la Vita nuova, la quale si ipotizza sia stata scritta tra il 1292 e il 1294. Dove, ‘nuova’ è aggettivo riferito a esperienze giovanili. Ed è opera al cui interno il testo si divide fra memoria e rinnovamento, inteso come rinnovamento dello stile. Scritta in prosimetro, la lirica è collegata a contenuti in prosa tali da consentire all’autore di formulare un racconto articolato.
L’occasione per elaborare la Vita nuova è la morte di Beatrice, esperienza che trasforma il poeta nel profondo da un punto di vista spirituale come sentimentale e poetico. La narrazione si sviluppa in 42 capitoli scritti in una prosa altamente armonica, che ricostruisce la nascita e l’evoluzione dell’amore che Dante coltiva per Beatrice. Seppur la protagonista dell’opera non sia la giovane, ma il poeta stesso.
La struttura della Vita nuova condensa notizie il cui oggetto è la storia personale dell’autore, mentre la fonte a cui attingere è la memoria. È dunque presente nella Vita nuova un evidente carattere autobiografico. Ed è elemento che gli dà la connotazione di poeta moderno.
Opera governata da un clima sognante, raggiunto con espedienti dal sapore mistico, in cui si ripercorrono tre soluzioni poetiche intorno alla figura di Beatrice. Diverse fra loro, sono tre modi di espressione della condizione spirituale del poeta, e al contempo denotano una sua evoluzione creativa.
L’opera descrive il passaggio da una concezione già preesistente dell’amore a un’idea di contemplazione più distaccata, dove nell’amata si può rintracciare l’immagine della perfezione divina.
Inoltre, nella Vita nuova, per la narrazione in prima persona e per la tensione verso il trascendente, che procede tra sogni e visioni sotto la guida di Beatrice, si può rilevare un’anticipazione della Commedia. I ricordi di Dante sono trasmessi e riferiti ad azioni eseguite da figure quali il copista, l’antoligizzatore e l’interprete, persone che nel mondo medievale erano coinvolte nella elaborazione di libri. A livello stilistico l’opera è guidata dalla metafora del libro: la memoria personale dell’autore è registrata su di un immaginario volume in cui, pagina dopo pagina, si imprimono i ricordi, dal più antico al più recente.
Anche nel Convivio, opera scritta durante i primi anni del suo esilio, tra il 1304 e il 1307, il poeta fa uso di versi e prosa in una commistione di elementi dal risultato molto efficace.
L’idea iniziale è di realizzare un’enciclopedia in volgare per darsi maggior fama, al fine di poter tornare in patria. Il progetto originale prevedeva 15 trattati, ognuno dei quali avrebbe dovuto riferirsi a una canzone dal contenuto filosofico. Ma per vari motivi si interrompe al quarto trattato.
Attraverso un banchetto metaforico, il poeta invita i non religiosi, i cosiddetti laici, uomini che sono esempio di impegno civico, al fine di favorire una pacifica convivenza illustrando una razionalizzazione della realtà. Per rivolgersi ai commensali il poeta, anche in quest’opera, utilizza il volgare. Aspetto importante dell’opera è di essere una fatica letteraria che chiude la fase stilnovista.
Le Rime sono una raccolta di 80 componimenti, di cui circa 60 sono sicuramente di Dante. Fra cui sonetti, canzoni e ballate, anche se non si tratta propriamente di un canzoniere. Non è certo se Dante avesse un progetto unitario per questi testi, perché la raccolta è stata allestita da editori moderni. Prive di unità tematica o stilistica testimoniano l’evoluzione poetica di Dante, attestano il superamento delle sue precedenti stagioni.
Le Epistole sono coeve al Convivio. Si tratta di 13 lettere scritte in latino destinate alla pubblica diffusione. E redatte secondo un canone stilistico che ricorda gli scritti di Cicerone. Anche qui si può rintracciare un elemento autobiografico.
A spiccare più di altre è una lettera rivolta a un amico fiorentino, durante la quale Dante si dice sdegnato per le condizioni imposte dal governo di Firenze per il suo rientro in città. Che lui, ovviamente, rifiuta.

De monarchia, del 1311 circa, è opera ispirata dalla discesa di Arrigo VII del Lussemburgo in Italia, in cui il poeta articola un pensiero politico filoimperiale, sostenendo l’importanza e la necessità di una monarchia universale, al fine di una pacificazione fra le genti. Un uomo solo, un imperatore, secondo Dante, può garantire e amministrare la giustizia tra realtà politiche in continuo conflitto fra loro.
De vulgari eloquentia, scritto fra il 1302 e il 1305, è un’ampia trattazione linguistica in latino, che sorprende per l’ambizione e l’originalità. Si riferisce all’arte dell’esprimersi in maniera efficace e pulita in volgare, dove la retorica viene declinata in volgare. Da un progetto iniziale di 4 libri, si ferma al primo libro e scrive 14 paragrafi del secondo.
“Nessuno ha il diritto di privarsi della gioia della Commedia. So che questo libro durerà ben oltre la mia veglia e le vostre veglie” – Jorge Luis Borges
Che dire infine della Commedia?
Opera monumentale, di cui molto ci sarebbe da riferire ma una descrizione particolareggiata non è possibile. Non solo in funzione dello spazio, ma proprio a causa della vastità della trattazione all’origine. Origine che, secondo Boccaccio, sarebbe stata abbozzata prima dell’esilio di Dante.
Anche se la vera e propria redazione deve aver avuto inizio dopo il Convivio, a partire dal 1304.
Poema per definizione, a proposito del titolo si può affermare che l’aggettivo ‘divino’, ovviamente indice di grandezza dell’opera, è stato introdotto da Boccaccio nel trattatello In laude di Dante.
A differenza di Dante che si limita a titolarla Commedia, commentando le sue intenzioni, secondo cui è una composizione dimessa e umile, non elevata ai ranghi della tragedia perché scritta nel volgare del popolo, e racconta aspetti non proprio edificanti della condizione umana.
Opera dalla cifra enorme, anche per l’abbondanza dei contenuti che spaziano fra la metafora e l’allegoria, fino allo spirituale, con chiari riferimenti a personaggi lontani nel tempo o altri più vicini a Dante, è sviluppata in 3 cantiche. Mentre i Canti sono in numero di 33. Ogni canto è formato da 150 versi endecasillabi, raggruppati in terzine con rima, definita incatenata. Dove il ricorso al numero 3 è un chiaro riferimento alla Trinità.
Narrata in prima persona, la Commedia è il racconto di un viaggio immaginario compiuto in una realtà ultraterrena dopo che il poeta si è ‘smarrito in una selva oscura’, simbolo di peccato e difficoltà personali. Selva da cui non riesce a uscire perché tre belve feroci, le quali rappresentano i vizi umani, sono pronte a minacciarlo e aggredirlo.
A venirgli in soccorso è Virgilio, il quale afferma che è stata Beatrice ad invocare l’aiuto di cui Dante ha bisogno, al fine di percorrere il cammino che dall’Inferno lo avrebbe portato al monte del Purgatorio e quindi al Paradiso. A sostituirsi a Virgilio sarà poi Beatrice; a sua volta, negli ultimi canti del Paradiso, sarà Bernardo da Chiaravalle a prendere il suo posto.
Ma cosa rappresenta la Commedia, i cui significati sono molteplici e contemplano diversi livelli interpretativi che il poeta assegna alla sua opera?
Il significato letterale, esplicito, è il racconto di un viaggio nell’aldilà.
Un significato allegorico, invece, rappresenta il percorso interiore di un uomo, dalla comprensione dei propri errori fino al pentimento, cui segue un’ascesa spirituale per arrivare alla salvezza.
Il significato morale disegna la redenzione, che sia esempio per chi intende intraprendere un cammino di purificazione, che dal Male lo porti al Bene, in un processo mistico che riguarda l’intera umanità. Nella Commedia Dante rilegge la storia con potenza profetica, recuperando la civiltà classica intesa come preparazione alla cristianità, e interpretando la crisi del suo tempo come fase di un percorso cosparso di castighi e di premi divini.
Il registro usato da Dante nella Commedia è un linguaggio che, grazie alla ricchezza dei termini usati, racconta con parole allusive vicende complesse. Un’inedita dovizia del lessico, dove il fiorentino è affiancato da termini derivati dal latino, accanto ad altri, nuovi.
Ricorrendo anche a una pluralità di stili che vanno dall’elegiaco al tragico fino al comico.
Le immagini di cui Dante fa uso hanno una carica simbolica definita nel Medioevo allegorica, basata sul concetto che la realtà del mondo sia riflesso di un disegno divino.
Ma il poeta non costruisce figure o immagini astratte, sceglie personaggi storici, mitologici, letterari la cui identità non può essere cancellata da alcun riferimento allegorico. Dove i personaggi sono emblema di eventi nella storia della salvezza: le loro vicende umane assumono senso alla luce della loro definitiva collocazione nell’oltretomba.

La Commedia infine rappresenta la crisi del suo tempo, intesa come perdita dei valori di fronte a passioni indomabili. Il presente è preda di condanna, ma l’utopia profetizza il ritorno all’unità in un futuro garantito da Dio, ossia da colui che parla all’umanità di ogni tempo.
“La scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade”. – Convivio I
Sebbene nelle opere di Dante la relazione tra vita vissuta e vita letteraria non sia equilibrata, e propenda verso quella letteraria più che per l’altra, il ‘miglior fabbro’ del volgare, espressione coniata dallo stesso, è figura il cui pregio è di manifestarsi ai lettori di ogni tempo. E ciò, sia per la vocazione a riflettere sulle proprie scelte sia per la dimensione letteraria impressa agli accadimenti storici riferiti.
In un’epoca, quella medievale, che non assegnava all’intellettuale laico una chiara fisionomia e un prestigio sociale, Dante dal nulla costruisce il mito di un’esistenza fondata sulla letteratura. Il segno di Dante ‘costruttore’ dell’identità culturale italiana sta nel fatto che si possono riscontrare tracce di termini ed espressioni ripresi dalla Commedia anche nella lingua italiana della quotidianità contemporanea.
Qualche esempio?
‘Il bel paese’, ‘far tremare le vene e i polsi’, ‘il gran rifiuto’. A cui se ne possono affiancare altre.
Figura perciò di grande attualità, Dante Alighieri, contemporaneo anche per le contraddizioni di cui non è scevro, nonostante la sua straordinarietà. Contraddizioni proprie dei tempi che l’hanno visto cogliere i sintomi negativi del suo tempo che, in un parallelismo si possono identificare con quelli attuali. Quelle che si rivelano con maggior evidenza si riferiscono soprattutto all’ambito politico.
Inoltre, se da un lato la sua poesia presenta annunci profetici oltremodo efficaci, dall’altro, la visione politica di un ritorno all’Impero è un approccio anacronistico.
Eppure, al contempo, i limiti delle sue riflessioni, fondate su valutazioni morali più che su una sintesi storica, aggiungono alle sue considerazioni la forza di un messaggio che va oltre la sua peculiarità temporale avvicinandosi ai nostri giorni e superando i limiti imposti dalla storia.
“Vi sono opere d’arte che son come chiavi, o parole d’ordine, danno l’accesso a una conoscenza più profonda, a una più intima percezione della bellezza: e l’opera di Dante è tra queste” – Ezra Pound
Written by Carolina Colombi