“Jung e l’immaginario alchemico” di Jeffrey Raff: lo psicoide, l’immaginazione attiva ed il matrimonio sacro
“Il concetto di imaginatio è sicuramente una delle chiavi più importanti, forse la più importante, per comprendere l’opus.” – Carl Gustav Jung – “Psicologia e Alchimia”

Da oltre 35 anni, Jeffrey Raff presta servizio presso uno studio privato in Colorado come analista junghiano, in precedenza ha frequentato il Carl Gustav Jung Institute di Zurigo laureandosi nel 1976 e ha conseguito il dottorato di ricerca in Psicologia presso la Union Graduate School.
“Sono stato a dir poco fortunato ad aver studiato a Zurigo con la compianta Marie-Louise von Franz. Devo a lei gran parte della comprensione del contributo spirituale di Jung. […] A noi studenti fu data l’opportunità di sperimentare direttamente la realtà del Sé e concentrarci sullo sforzo di vivere a suo contatto. Ci fu insegnato a pensarlo come una figura interiore, con una sua voce ben definita che si poteva sentire nei sogni, nelle immaginazioni attive o addirittura nella vita di tutti i giorni.”
La psicoanalista svizzera Marie-Louise von Franz (Monaco di Baviera, 4 gennaio 1915 – Zurigo, 17 febbraio 1998) è stata allieva di Carl Gustav Jung (Kesswil, 26 luglio 1875 – Küsnacht, 6 giugno 1961) e collaborò con assiduità sino alla morte del mentore avvenuta nel 1961.
Ha scritto oltre venti volumi di argomento psicoanalitico e, come rappresentante della corrente classica della psicologia analitica, ha operato per la comprensione psicologica della favola e della fiaba, dei sogni e dei simboli dell’alchimia. Ebbe una importante amicizia e scambio epistolare con uno dei padri della meccanica quantistica, il fisico Wolfgang Pauli.
“Ricordo come la dottoressa von Franz ci spiegava il suo sistema per sintonizzarsi quando poneva una domanda all’inconscio, anche la più semplice, come sapere se avesse fatto bene ad accettare un invito a pranzo. Concentrava la propria consapevolezza sul Sé e attendeva la risposta.”
Il libro di Jeffrey Raff, “Jung e l’immaginario alchemico” (edito da Edizioni Mediterranee nel 2008 con traduzione di Anna Lamberti-Bocconi), è un insieme di ricordi del periodo trascorso a Zurigo ed una sorta di primo approccio all’alchimia o meglio all’insegnamento di alcuni simboli alchemici.
L’introduzione del libro riassume la nascita dell’alchimia con la nominazione dei primi maestri dell’alchimia eleggendo come capostipite un filosofo greco antico, Bolo di Mende (datazione incerta, IV sec. a.C – II sec. a.C.), che mescolò i concetti orientali con la sapienza scientifica greca.
“Una natura è allietata da un’altra natura, una natura conquista un’altra natura, una natura domina un’altra natura.” – Bolo di Mende
Una formula arrivata sino a noi che Bolo di Mende volle tramandarci come depositaria di tutti i segreti dell’alchimia e che fu utilizzata da tutti gli alchimisti sino al XVII secolo.
Jeffrey Raff nomina anche alcuni tra i più famosi alchimisti arabi e mistici sufi, come Jabir Ibn Hayyan (morto intorno all’anno 800) il cui sistema è basato sulle capacità della mente di vedere l’essenza delle cose come in questo avvertimento all’allievo: “Procedi con la consapevolezza che questa è un’arte che richiede capacità speciali; è la più grande tra tutte le arti, poiché riguarda un’entità ideale che esiste solo nella mente”.
Chiude l’introduzione un veloce excursus sull’alchimia dell’Europa Occidentale con alcuni cenni all’“Aurora Consurgens” attribuita a Tommaso d’Aquino, a Paracelso ed al “Mysterium Coniunctionis” di Jung.
“Molti alchimisti si sono affidati al potere della meditazione per accedere ai segreti dell’opera, e Paracelso ha indicato esplicitamene che l’immaginazione è una parte della meditazione. Attraverso l’immaginazione l’alchimista fa esperienza di vie di conoscenza che sembrano, come osserva Paracelso, trascendere ‘i metodi puramente umani’.”

I cinque capitoli del libro sono così denominati: “Jung come tradizione spirituale” (paragrafi: “Il Sé”, “La funzione trascendente”, “Immaginazione attiva”, “Psiche e psicoide”, “La pratica dell’immaginazione attiva”); “L’immaginario alchemico” (paragrafi: “Fantasia e immaginazione”, “Alchimia e immaginazione”, “L’immaginazione e lo psicoide”, “L’alchimia e l’immaginazione attiva”, “Immaginazione e cura”); “La creazione del Sé” (paragrafi: “La Pietra filosofale di Lambsprinck”, Emblema I”, Emblema II”, “Emblema III”, “Emblema IV”, “Emblema V”, “Emblema VI”, “Emblema VII”, “Emblema VIII”, “Emblema IX”, “Emblema X”, “Emblema XI”, “Emblema XII”, “Emblema XIII”, “Emblema XIV”, “Emblema XV”); “I processi dell’alchimia inferiore” (paragrafi: “Le nozze chimiche”, “Quinto giorno”, “Sesto giorno”, “Proseguimento del sesto giorno”; “La natura dell’alchimia spirituale” (paragrafi: “Il centro della natura concentrato”, “L’erpice d’oro della verità”, “Il trattato d’oro di Hermes”).
“La ricerca dell’illuminazione sulla natura profonda dell’opera impegnava gli alchimisti in qualcosa che potremmo paragonare alle esperienze di immaginazione attiva. Gli alchimisti erano aperti a molti generi di esperienze visionarie, tra le quali vedere spiriti e immagini di ogni sorta. Raimondo Lullo, per esempio, scrisse che ‘tu puoi vedere condensati nell’aria spiriti fuggenti e fuggitivi in forma di diversi animali mostruosi o di uomini che, come nubi, vagano di qua e di là’.”
Nel terzo capitolo Jeffrey Raff seleziona alcuni emblemi dal libro “La Pietra filosofale” conosciuto anche con il titolo di “De Lapide Philosophico Libellus” attributo ad un alchimista di cui ci è noto solo il nome, Lambsprinck. Gli emblemi selezionati dall’autore presentano una mappa dell’intero processo alchemico dalla formazione della pietra alla sua relazione con il mondo divino, dalla creazione del Sé alla sua congiunzione con il mondo dell’infinito. Gli emblemi menzionati sono presenti nel libro con delle raffigurazioni di ottima stampa[1] e sono corredati da una approfondita esplicazione di Raff.
“Il primo emblema raffigura due grandi pesci nel mare, l’uno di fronte all’altro, rivolti in direzione opposta. Su una riva si vede una foresta, sull’altra una città e un castello. Nell’acqua veleggia ben visibile e centrale una barca con a bordo alcune persone, mentre diverse altre imbarcazioni si intravedono sullo sfondo. Si noti che non vi sono ponti a unire le due rive.”
Nel quarto capitolo Raff si concentra su un altro importante testo alchemico – e forse maggiormente noto rispetto al precedente – “Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz”. Rosenkreutz (1378 – 1484) è stato un esoterista tedesco considerato il fondatore dell’ordine dei Rosacroce. Nel 1900 uno scrittore francese interessato all’esoterismo ed ai Rosacroce, Paul Arnold (1909 – 1992), ricostruì una interessante vicenda secondo la quale fu un teologo tedesco, Johannes Valentinus Andreae (1586 – 1654) a scrivere “Le nozze chimiche” per mettere fine ad una incomprensione riguardo la via di perfezionamento indicata ai Luterani. L’ipotesi è supportata anche dalla storica e saggista britannica Frances Yeates (1899 – 1981) che dà per certo che l’autore sia J. V. Andreae. Ciò che è certo è che mentre alcuni governi guardarono ai Rosacroce con sospetto, altri li accolsero, come Rodolfo II e la sua corte di Praga (si ricorda Michael Maier ed il suo fondamentale contributo: “Atalanta Fugiens“).
Jeffrey Raff non entra apertamente nella disputa ma è interessante riportare la sua osservazione: “Le nozze chimiche fu scritto nel 1605, è attribuito a un chierico di diciannove anni, e fu pubblicato nel 1616. È difficile credere che un adolescente abbia potuto produrre un’opera simile, una presentazione simbolica dell’alchimia interiore così ricca e piena di intuizioni: per questo la paternità dell’opera rimane controversa.”.

Qualsiasi sia l’autore “Le nozze chimiche” ciò che di certo si può pensare è che sia uno dei libri cardine dell’alchimia, fonte di ispirazione non solo alchimisti ma anche di svariati poeti che si sono addentrati nelle Sette Giornate del libro per poter assistere – accompagnati da Christian Rosenkreutz – alle Nozze chimiche del re e della regina.
“Andando a coricarsi per la notte, Christian guarda fuori dalla finestra e vede sette navi, e a bordo di ciascuna c’è il cadavere di una delle persone decapitate. Sono sette in tutto: il re e la regina che hanno celebrato le nozze, le altre coppie regali, e l’anima del boia, che è stato anch’egli giustiziato. I loro spiriti, in forma fi fiammella, si librano sopra le navi che trasportano le salme. Abbiamo accennato al fatto che la nave o la barca rappresentano la capacità dell’ego di navigare senza pericoli nelle acque dell’inconscio. Ma la nave ha anche un altro significato: spesso infatti è collegata alla morte. Quasi ogni cultura ha elaborato una sua immagine di nave della morte. La più antica che conosciamo ci arriva dall’Egitto, dove la nave è un vascello a bordo del quale le anime dei morti viaggiano in cerca di rinascita.”
Written by Alessia Mocci
Info
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Note
[1] È possibile acquistare il volume “La pietra filosofale” di Lambsprinck dalla casa editrice Edizioni Mediterranee (volume edito nel 1984).