Meditazioni Metafisiche #28: sul Talmud e sul Vangelo
Tutti noi avvertiamo che la nostra vita non ci basta, quindi dobbiamo aprirci a qualcosa di altro. Una relazione amorosa, i figli, il lavoro, qualche altra meta, oppure Dio. L’uomo non basta mai a se stesso e questi scopre che per avere senso deve impegnarsi in qualcosa che lo oltrepassa, che oltrepassa la semplice individualità.

Dio è per eccellenza una istanza che sta oltre l’uomo preso in sé stesso. Ognuno di noi ha un senso di trascendenza: l’ammirazione o la semplice curiosità riguardo al mistero, all’esoterismo, alle streghe, agli UFO. Avverte che c’è qualcosa o semplicemente ne sente le energie. Non tutti si aprono a una religione formale, a volte è lo stupore verso un’opera d’arte o verso il sorriso enigmatico di un bambino.
Dio e il sacro non stanno confinati entro i dogmi di una qualche religione, ma sono l’esperienza più toccante che una persona possa fare. Il sacro sta da per tutto e, se colto, può investire ogni aspetto della nostra vita. I santi amavano dormire nelle caverne perché lì avvertivano come di riposare tra le mani di Dio.
Secondo la grande tradizione spirituale cristiana, l’uomo per salvarsi deve combattere contro la carne, il mondo e il diavolo. L’abate Isaia diceva che l’amore per il mondo è l’attrazione dell’anima per il peccato. Ma il creato in sé è qualche cosa di positivo, come insegna a pensare Francesco d’Assisi, anzi, se Cristo si è incarnato qui, allora tutto diviene luce, come scriveva Scoto Eriugena. Non solo, ma il Verbo di Dio si è fatto uomo per far sì che l’uomo diventi Dio.
Si dice di rado che il sacro necessita anche della risposta da parte dell’uomo. Quando il sacro tocca la nostra anima, l’uomo è chiamato a prendere una decisione e a rispondere in qualche maniera a quello che ha scoperto. È il dovere che ogni anima ha nei riguardi di ciò che la trascende. Il verbo italiano “dovere” deriva da quello latino debere, formato da de + habere con il senso di “possedere qualcosa avendolo avuto da altri”, quindi essere obbligati alla restituzione, dovere qualcosa a qualcuno. Dio ci ha creati e ci interpella, quindi noi abbiamo il dovere di ridare a Dio qualcosa. Amore e culto.
La storia dell’umanità è un continuo grido o una continua lode verso Dio, verso il sacro, e verso gli angeli. La storia dell’arte plastica, letteraria e musicale ma non solo contiene la risposta dell’uomo a questo Dio misterioso che ci ha determinati in un passato che dura ancora.
La Bibbia è la storia dell’incontro tra Dio e l’uomo. Contiene 73 libri, di cui 46 formano l’Antico Testamento e 27 il Nuovo Testamento (secondo il canone cattolico). L’Antico Testamento contiene un dialogo protrattosi per un millennio (I millennio a. C.), il Nuovo Testamento per tutto il I secolo d. C.
La caratteristica dell’intera Bibbia è che il materiale che la tradizione accumulava si fondeva poi con il materiale precedente entrando a far parte del testo sacro.
Quando il canone dell’Antico Testamento venne fissato, la tradizione orale ebraica continuò per molto tempo dando luogo al Talmud. Il Talmud contiene un nucleo più antico, la Mishnà, che presenta la interpretazione e il commento della Torah ebraica (i primi 5 libri della Bibbia). La Mishnà è scritta in ebraico. Poi il materiale si estese ancora e diede origine ad un’altra sezione del Talmud (detta Ghemarà), cioè al commento alla Mishnà, diviso in una parte occidentale e una parte orientale, scritte in aramaico.

Quindi il Talmud è una vastissima raccolta di norme e di storie fatta dagli ebrei fino al V secolo d. C. Dal punto di vista narrativo il Talmud presenta storie che si aprono una dentro l’altra, come una matrioska russa, caratteristica tipica della letteratura orientale, come avviene anche con Le Mille e una notte. Il Talmud nasce orale, quindi ci sono stilemi tipici di una tradizione non scritta (come frasi che si ripetono e un testo stringato per essere facilmente memorizzabile). È una letteratura estesissima, con continue nuove aggiunte, dando luogo a un materiale misto, dove quello più antico sta accanto a quello più recente.
Ma i rabbini e gli altri ebrei continuarono a discutere e le loro discussioni non furono tutte raccolte nel Talmud, ma anche in altre opere. Nel Talmud compare un verbo aramaico, tanyah, che letteralmente significa “è stato insegnato”, ma questo verbo si è specializzato e indica un insegnamento presente in una delle baraitot, cioè “cose esterne”, insegnamenti non entrati nel Talmud.
Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, questo è opera dei cristiani. Quando il canone si fissò, continuò una lunga tradizione apostolica che, con il Papa e i vescovi quali successori, dura fino ad oggi, a detta dei cattolici.
Nel passato il sacro era collegato molto profondamente anche al sesso e alla sensualità. Nell’antica Grecia le fanciulle erano iniziate all’amore (con deflorazione) all’interno di cerchie di donne che praticavano il culto alla dea Afrodite. La preparazione sacrale al matrimonio era detta in greco antico charis, “grazia”.
Ma anche nell’India antica il sacro era unito all’elemento sessuale. Pensiamo ad un’opera erotica molto famosa in India, che in Italia ha avuto una ricca storia filologica: il Caurapañcāśikā. Si tratta di 50 strofe accumunate dall’incipit (adyapi, termine sanscrito che significa “oggi ancora”) e dal metro (vasantatilaka). È stato scritto nel XI secolo d. C. in sanscrito. Sono versi dedicati da un innamorato alla donna, tradotti per la prima volta in italiano nel 1925 da Giuseppe De Lorenzo. Sul punto di morte il poeta ricorda tutti i piaceri che egli ebbe con la propria donna. Come è tipico della letteratura indiana, anche in questa poesia l’amore sessuale è unito all’amore sensuale.
La lingua sanscrita presenta molti generi letterari: testi religiosi, filosofici, scientifici, politici, ma anche artistici, cioè per solo scopo estetico. La letteratura d’arte classica in sanscrito è il kavya. La letteratura (d’arte e non) in sanscrito viene definita oceanica per ricchezza di testi. Il sanscrito è una lingua artificiale dalle moltissime regole che vengono applicate con precisione matematica. Invece le parlate vernacolari indiane sono dette prakriti, i quali hanno qualche analogia con il sanscrito. Esistono anche molti sistemi di scrittura per il sanscrito, che però sono tra loro simili, in quanto derivano dalla scrittura Brahmi, forse derivata a sua volta dall’alfabeto aramaico. Oggi la scrittura più usata per il sanscrito è detta Devanagari. Il primo esempio a noi giunto di scrittura Brahmi lo abbiamo con le iscrizioni di Ashoka in prakriti. La prima iscrizione estesa in sanscrito ma in scrittura Brahmi la abbiamo con quella di Rudadraman.
Il sanscrito non è mai stato una lingua morta (ancora oggi ci sono in India per esempio programmi radiofonici in sanscrito), è da millenni la lingua della cultura e della religione in India (ma esistono anche prakriti colti), non è la madre di tutte le lingue. Può essere definito come il latino dell’India (anche il latino è stato fino all’Ottocento la lingua principale della cultura ed è ancora oggi la lingua ufficiale della chiesa cattolica). La poesia erotica in sanscrito è un genere vastissimo e assai affascinante, serba una profondità impressionante e gli autori sono dei grandissimi maestri della parola riconosciuti a volte in tutto il mondo, pensiamo solo al Kamasutra, compilato da Vatsyayana nel IV d. C. sulla base di opere precedenti.
Gesù dimostra di avere un atteggiamento molto particolare per l’epoca. Egli si inseriva nell’ebraismo, insegnava infatti nelle sinagoghe degli ebrei. Gli studiosi hanno collegato la sua predicazione a quella del maestro ebreo Hillel. Però ha un atteggiamento di totale apertura verso i pagani. Giovanni 19 presenta il suo costato aperto, dal quale sgorgano sangue e acqua. Gesù è aperto verso tutti i popoli della terra e per questo invita i suoi discepoli ad andare ad insegnare fino ai confini della terra. Però ai primordi della sua predicazione Cristo si rivolge solo agli ebrei. Come spiegare questa contraddizione? Alcuni pensano che il Cristo storico abbia cambiato idea e si sia allargato progressivamente verso una visione universalistica del suo messaggio. Invece per altri Gesù fa come l’Amato del Cantico dei Cantici: si rivela e si nasconde allo stesso tempo.
L’apertura ai pagani da parte di Gesù non è una invenzione della chiesa primitiva, soprattutto di Paolo, ma risale proprio alla predicazione evangelica. Matteo e Marco riportano la visita di Gesù a Tiro e Sidone, cioè in territorio pagano. Questa visita avviene tra le due moltiplicazioni dei pani e dei pesci. Alcuni pensano che la moltiplicazione è unica, infatti Luca e Giovanni ne presentano una sola, quindi Matteo e Marco la avrebbero raddoppiata. In realtà tra la prima e la seconda c’è una differenza: la seconda è fatta per i pagani.

Marco presenta tre eventi di Cristo in territorio pagano: la guarigione della figlia di una donna sirofenicia nel territorio di Tiro, la guarigione di un sordomuto nella Decapoli, la seconda moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Giuseppe Flavio poneva Tiro come la punta più a nord della Galilea, quindi la faceva rientrare nella Terra Promessa data da Dio agli ebrei. Tiro è antichissima e gloriosa città fenicia, fu quasi sempre una città di porto molto prospera e molto difesa, grazie ai numerosi scambi commerciali con il Mediterraneo. In essa affluirono grandissime ricchezze. Il re di Tiro aiutò la costruzione del primo Tempio di Gerusalemme, quello di Salomone. Tiro è stata una città così gloriosa che sappiamo dalle fonti classiche da essa fu fondata Cartagine. Alcuni pensano che tra i fondatori vi furono anche gli ebrei.
La città di Tiro ricca e superba diviene simbolo della opposizione a Dio. Ezechiele 28, 2: Dio dice al principe di Tiro che il suo cuore si è insuperbito fino a renderlo come quello di Dio.
Giuseppe Flavio riportava la notizia che ai tempi di Cristo vi fosse grande ostilità tra gli abitanti di Tiro e gli ebrei. Forse per questo in Marco 7, prima che Cristo guarisca la donna sirofenicia, Gesù “essendo entrato in una casa voleva che nessuno lo sapesse”. Cristo non solo entra in territorio pagano ma a casa di una donna (poco stimata all’epoca) e per di più appartenente a una stirpe ostile agli ebrei. Non solo ma Marco usa per questa donna una parola greca che nei vangeli ricorre una sola volta: surophoinikissa.
Etimologicamente significa “sirofenicia”, stanziata in territorio fenicio, cioè a Tiro, dove Gesù si era recato. Gli ebrei poi non entrano mai a casa dei pagani. Ma tale parola greca si ritrova nelle fonti greche per indicare una prostituta. Questa donna era anche una peccatrice?
Gesù sta stravolgendo con la sua vita i preconcetti degli ebrei. Egli si apre totalmente ai pagani per amore. Quell’amore di Giovanni 13, 34 che costituisce il nuovo comandamento che egli, Dio, dà ai suoi discepoli. Il legalismo non regge alle esigenze del cuore. Tutti (donne, peccatori, pagani) hanno bisogno della salvezza e Gesù, Dio misericordioso, la dà a ogni persona che la chiede.
Oggi non esistono solo ebrei ortodossi, perché l’ebraismo non è solo questo, ci sono per esempio ebrei taoisti e ebrei induisti. L’ebraismo in sé non è più una religione legata a un determinato popolo e a una dottrina ben rigida: esso è una grande fratellanza che si estende a tutta la terra.
Un afflato universalistico è presente anche in una particolare concezione indiana per la quale solo la persona che ha raggiunto l’illuminazione possa esprimere tutto ciò che c’è. Le sue movenze sono espressione di tutto ciò che esiste, del Brahman. È per questo che la iconografia indiana prende spesso le mosse dalle movenze di colui che celebra il sacrificio vedico.
Entro la tradizione cristiana gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele sono deputati a mantenere la trascendenza di Dio, che nella Bibbia è detto in ebraico qadosh, Santo, etimologicamente con il senso di “separato” da ogni creatura. Ma allo stesso tempo questi tre arcangeli – titolo che si giustifica se si presuppone una gerarchia nella corte celeste – manifestano anche il volto misericordioso di Dio che assiste gli uomini: Michele li difende dal Male, Gabriele annuncia loro i dettami di Dio, Raffaele li cura e li assiste. La celebrazione eucaristica è vista come il riflesso della corte celeste che canta e contempla la Gloria dell’Altissimo.
Il culto cristiano dell’arcangelo Michele deriva dall’Apocalisse e comincia dalla chiesa orientale. Nel mondo ci sono 7 santuari dedicati a questo arcangelo, dall’Irlanda a Israele, i quali sono idealmente uniti da una misteriosa linea, la quale secondo la leggenda sarebbe stata prodotta dal suo colpo di spada per relegare Satana negli inferi.
Ma tutte le culture parlano di angeli e demoni, cioè creature intermedie tra Dio Altissimo e uomini. Ogni cultura nella storia ha riferito di queste presenze benevole o malevole che intrecciano la loro esistenza con quella degli esseri umani. L’ateismo come lo conosciamo oggi è un fenomeno di massa nuovo nella storia dell’umanità.
Il Bene e il Male non sono concetti assoluti. Le varie culture li interpretano in maniere anche molto diverse. È curioso che nei Veda coloro che sono gli angeli (deva) diventano i demoni (asura) nell’Avestā, e viceversa.

Anche gli esseri umani possono collaborare a piani angelici o demoniaci, è il presunto fenomeno degli iniziati o dei maghi. Esisterebbero poi creature umane ma con poteri terribili, sono detti Maestri Invisibili o Superiori Sconosciuti, oppure Fratelli Maggiori. Crowley voleva dedicare l’intera esistenza per contattarli e si dice che usasse le “donne scarlatte” per poter comunicare con loro mediante tecniche particolari.
Ma anche gli uomini dovrebbero essere degli spiriti incarnati. Abbiamo la stessa natura degli angeli ma decaduta in un corpo materiale e mortale. Quindi, in noi stessi, dovremmo essere immortali e dotati di grandi poteri animici, anche se attualmente dormienti.
Nel libro VI dell’Eneide, verso 450, Didone, la prima mitica regina di Cartagine che si era suicidata perché abbandonata da Enea, inter quas phoenissa recens a vulnere Dido/errabat silva in magna, “tra le quali ombre la fenicia Didone, fresca della ferita che si era inferta, errava nella grande selva degli inferi”. I latinisti hanno osservato che quando Virgilio chiama Didone con questo nome utilizza talvolta un verbo di movimento, come in questo caso: Dido… errabat. Non per nulla Timeo di Tauromenio, che spiegava l’etimologia dei vari titoli con cui è appellata nell’Eneide, riferiva che il nome Didone sia di matrice libica e si spieghi “a causa del peregrinare”.
Written by Marco Calzoli
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Articolo Linea sacra Arcangelo Michele
Rubrica Meditazioni Metafisiche