“Racconti dell’Ohio” di Sherwood Anderson: pietruzze auree in un affollato bar chiamato Mondo

Solo un pazzo inizierebbe una recensione di un libro di racconti scritti nel 1919 da un abitante dell’Ohio e riguardanti l’esistenza sofferta da bipedi implumi in quel colà che più colà di così non parrebbe esserci, citando una canzone italiana del 1984, Cigarettes and coffee, resa celebre da Scialpi, che la scrisse a quattordici anni.

Scialpi
Scialpi

“Siamo isole nell’oceano della solitudine/ arcipelaghi le città dove l’amore naufraga/ giù dai marciapiedi un cuore rotola/ l’accarezza solo la musica”

E poi quando dice:

“io ti vorrei raggiungere,/ l’amore accende i fari nelle tenebre/ la nebbia scende non ti vedo più”

Solo un pazzo lo farebbe. Oppure un’isola nell’oceano della solitudine. A volte nel deserto, a volte in alta montagna, a volte in una pianura, terre sempre desolate però.

Ogni racconto si presenta come un’isola che fa parte di un arcipelago, per cui occorre sempre un traghetto per spostarsi dall’una all’altra. Il capitano di questo natante è un certo George Willard che, sotto mentite spoglie, racconta di sé e dei suoi concittadini di Winesburg, ognuno, compreso lui, isola in un oceano altrui.

Ho deciso, ora, seduto qui su una delle tante bitte di questo porticciolo, che sceglierò una riga, una frase, una sinossi, non so ancora che, da ogni racconto. Ignoro anche se vi inserirò un mio commento, dipenderà da quanta burrasca ci sarà, o se tirerà soltanto una leggera brezza, o se sarà una calma piatta.

Il libro delle caricature:Lo scrittore, un vecchio con i baffi bianchi, dovette penare un po’ per andare a letto.” Egli “era come una donna pregna, solo che la cosa dentro di lui non era un bambino, ma un giovanotto.” Quel corpo in lui gli pareva che “guidasse davanti ai suoi occhi una lunga processione.” Erano ombre? Erano corpi? No! Ormai “erano tutte caricature”. Qual è il compito dell’arte? Per me è eternare: A thing of beauty is a joy for ever, cantava John Keats che sanciva, per l’umana eternità: Beauty is truth, truth beauty, – that is all ye know on earth, and all ye need to know. Il vecchio diceva: “In principio, quando il mondo era giovane, c’erano molti pensieri ma non esisteva nulla di simile a una verità. Le verità le fabbricò l’uomo, e ogni verità fu composta da un grande numero di pensieri imprecisi.”

Mani:Assillato e impaurito da una schiera spettrale di dubbi, Wing Biddlebaum non considerava mai se stesso come parte della vita del paese dove da vent’anni abitava.” L’unico che riusciva ad avvicinarlo era il giornalista George Willard. Wing era detto così perché le sue mani erano d’oro e parevano ali mentre lavorava, tanto erano veloci ed efficaci. Ma Wing amava volare da solo. Da giovane era un insegnante che amava il suo lavoro e i suoi ragazzi. Un giorno fu vittima di una maldicenza e fuggì dalla Pennsylvania. Finendo per naufragare a Winesburg.

Pillole di carta:Il dottore non apriva mai la finestra. Ci provò una volta, in una giornata molto calda di agosto; ma trovò che resisteva e, da allora in poi, se ne dimenticò.” Il dottore, che si chiamava Reefy (nessun altro lo chiamava, né più pensava a lui da anni) ancora “lavorava senza posa a costruire qualche cosa che egli stesso distruggeva.” Però un amico ce l’aveva, un certo John Spanlard.

Madre: Elizabeth e Tom, che poco si soffrivano vicendevolmente, erano i genitori di George Willard. Ambedue i genitori vorrebbero che Tom avesse fortuna, e non lesinavano consigli e ammonizioni per lui. George meditava una fuga da quella città di assenti. “Prese una sedia accanto alla madre e cominciò a parlare. – Me ne vado, – disse, – Non so dove e non so che farò, ma vado via. La donna su una poltrona attese tremando.” Ma poi qualcosa non accadde, o almeno non accadde ancora. George disse: “Una cosa che papà ha detto mi ha dato la sicurezza che andrò via.” Senza però ripensarci, decise di posticipare il progetto di un anno o due. E uscì a fare due passi.

Il filosofo:Il dottor Percival era un era un uomo grosso, con le labbra fracide coperte da un paio di baffi gialli.” Era un tipo che non voleva ammalati tra i piedi, ma “Perché io ci tenga a parlarti questo non lo so.” E George lo ascoltava, tranquillo. “I discorsi che il dottor Parcival faceva a George non avevano né capo né coda. A volte il ragazzo pensava che dovevano essere tutte invenzioni, un sacco di bugie. Poi di nuovo si convinceva che in essi era contenuta l’autentica essenza della verità.” Poi un giorno successe una tragedia. Il dottor Percival se ne fregò. E “tremò di terrore”. Era certo che quelli del paese l’avrebbero linciato. Il dottore stava scrivendo un libro e chiese a George, nel caso che fosse morto, di continuare lui quel libro, che trattava un’idea “… semplicissima. Tanto semplice che te ne dimentichi se non stai attento. Si tratta di questo: ognuno al mondo è un Cristo e tutti sono crocefissi.” Ma nessuno venne a disturbarli, quella sera, né dopo.

Nessuno lo sa: George “trovò Louise Trunnion nella cucina della casa del padre di lei. Lavava i piatti alla luce di una lampada ad acetilene.” Aveva un pessimo carattere, e una fama ancora peggiore. “Lei non era particolarmente elegante e aveva una macchia nera dalla parte del naso.” Lei civettava e lui parlava, per prendere tempo, forse. “In cuor suo non provava nessuna pietà per lei.” Si allontanarono un po’ ma non troppo, dalla casa di lei. Andarono “dove cresceva il grano” e “la strada finiva”. Quando, dopo le dieci, rimase solo, George tornò in paese. E a un certo punto pensò: “Lei non c’entra con me. Nessuno lo sa.”

Divinità 1: la famiglia Bentley perse quattro figli che si erano arruolati e che “furono tutti uccisi”; al che il quinto fratello (e c’erano anche tre sorelle che poco contavano), Isaia, andato da tempo fuori casa, fu richiamato dal padre. Isaia pareva un tipo delicato. E lo era, ma “nella propria struttura esile raccoglieva la forza di una lunga discendenza di uomini forti.” Quando il padre, ormai vecchio “parve contento di ritirarsi in un angolo ad aspettare la morte, Isaia scosse le spalle e cancellò il vecchio dalla propria mente.” Isaia era preso dal suo ruolo di padrone. Se la prese coi fratelli morti “perché non avevano lavorato più duramente per possedere di più.” Assomigliava al Mazzarò di Verga del racconto La roba (che in siciliano ha il significato di terra). Isaia, però rispetto al contadino della Trinacria, aveva un erede, anzi, un’erede di nome Louise.

Racconti dell’Ohio di Sherwood Anderson
Racconti dell’Ohio di Sherwood Anderson

Divinità 2: Louise Bentley ebbe un figlio di nome David, Louise era una caratteriale che forse si ubriacava, forse assumeva droghe. Il padre era un banchiere, un buon uomo che non riuscì a far felice la consorte. “David era un ragazzo sempre tranquillo e pacifico; per molto tempo la gente di Winesburg lo considerò un mezzo stupido.” Solo una volta Louise mostrò al figlio l’immenso bene che gli voleva. Un giorno Isaia venne e chiese, o forse è meglio dire che pretese di portare con sé il nipote nella sua casa di campagna, dove il ragazzo si sentiva quasi in paradiso (rispetto alla casa in cui ogni giorno sentiva la madre maltrattare il marito). “La venuta del ragazzo David contribuì molto a ridargli con rinnovato rigore l’antica fede; gli parve che, finalmente, Dio l’avesse guardato benignamente.” Isaia non è un uomo religioso, è un maniaco di Dio. Porta il ragazzo in una radura isolata e comincia a invocare la Divinità, terrorizzando l’infante. “Non poteva credere che quell’uomo, che teneva la faccia sollevata, e con quella voce aspra gridava rivolto al cielo fosse suo nonno.” Il giovane scappa, inciampa, batte la testa, viene raccolto dall’avo e portato sul calesse. Isaia pensò, fra sé e Lui: “Che cosa ho io fatto, Signore, perché tu non mi approvi?”

Resa 3: Louise Bentley andò ad abitare in città. Il padre Isaia l’aveva affidata all’amico Albert Hardy. Si sposò col figlio di questi. Le nacque David. “Fosse stata una bambina non c’è niente al mondo che non avrei fatto per lei”. Non sono riuscito a capire se abbia mai provato amore per il marito.

Terrore 4: Isaia portò David nel bosco. Sapeva che nel bosco c’era un gregge. “Fra le pecore c’era un agnello nato fuori stagione.” Anch’egli solo, in mezzo alle pecore adulte. “Isaia volle che David tenesse l’agnello in braccio.” Un cucciolo d’uomo di quindici anni con in braccio un agnello nato da poco. Il vecchio aveva intenzione di compiere un rito. Accese un fuoco “con un mucchio di rami secchi.” Prese “di tasca un lungo coltello, si voltò e si diresse rapidamente, attraverso la radura, verso David.” I due piccoli scapparono. Il vecchio li inseguì. Il ragazzo si nascose ed estrasse la fionda. In seguito a questo incidente, David “lasciò Winesburg e nessuno lo vide mai più.”

Un uomo pieno di idee: succede spesso che in un arcipelago, un’isola sia più frequentata di altre. Di solito è la più estesa, come Favignana tra le Egadi, ma non sempre è così. Joe Welling “viveva con una madre, una donna grigia e silenziosa, dall’aspetto singolarmente cinereo.” Interessante il fatto che “la casa dove abitavano era un boschetto appartato, di pochi alberi, dove la strada principale di Winesburg incrociava il Wine Creek.” Joe era un omarino, “di corporatura piccola e non somigliava, per il carattere, a nessun altro nel paese. Era come un piccolo vulcano” che eruttava ogni tanto: “che se ne sta in silenzio per giorni e giorni e poi all’improvviso si mette a sputar fuoco.” Era diverso mentalmente: “era ossessionato dalle idee; quando era sotto l’influsso di una delle sue idee non si controllava più.” A George disse: “semplicemente mi è venuta l’idea e te la regalo. Sarei un grande giornalista. Devi riconoscerlo.”

Avventura: Alice Hindman, strana vicenda la sua. A sedici anni s’innamora di Ned, che ricambia il sentimento, ma per poco, e poi se ne va, in cerca di fortuna, Altrove. Lei vorrebbe seguirlo, ma lui non vuole. Tornerà dice, e per un po’ le scrive. La vita poi lo distrae un po’ e cessa la corrispondenza. Lei aspetta. Dopo vari anni, “si mise il vestito nuovo e uscì”. Andò nel bosco da sola. Non ci era mai più tornata, senza di lui. Fino ad allora “il pensiero di dare a un altro quello che lei sentiva ancora appartenere interamente a Ned le appariva mostruoso.” Lui le aveva detto: “Ora dobbiamo restare uniti l’uno all’altra.” E lei aveva una fede incrollabile in questa promessa. Che poi crollò, come tutto, prima o poi. Vari pensieri si susseguirono in lei: “Non avrò mai nulla, non avrò mai la felicità. Perché mi dico bugie? Divento vecchia e pazza, Se Ned torna, non mi vorrà più.” Inoltre: “se non sto attenta, perderò l’abitudine di stare con la gente.” Cessò di aspettare l’amato, a cui pensava solo ogni tanto, senza più un grande trasporto. Si trovò nuda in strada, corse, infastidì un vecchio sordo e tornò vergognosa in casa. “Rivolgendo la faccia contro il muro provò a sforzarsi di affrontare con coraggio il fatto che molti dovevano vivere e morire soli, anche a Winesburg.

Rispettabilità:Wash Williams, il telegrafista di Winesburg, era la cosa più brutta del paese.” Chi ha visto qualche volta una scimmia in uno zoo, non può che dire: “Sembra Wash Williams”. Egli “non si univa alla gente del paese dove viveva. – non ho niente a che fare con loro, – diceva osservando con occhi cisposi la gente che passava nella stazione accanto al telegrafo.” Un giorno Wash era bello e un altro giorno sposò una bella donna, bionda, alta, con gli occhi azzurri. “L’amavo – disse.” Ma lei lo tradì con almeno tre uomini. Lui la rispedì da sua madre. La suocera lo chiamò e le fece trovare la moglie nuda e vergognosa. La madre… “rimase nel corridoio ad aspettare, sperando che noi…” Nel sentire questo, il cronista George Willard “si sentì malato e debole. Gli parve di essere diventato, anche lui, strano e deforme.” Walsh colpì la suocera “una volta soltanto con una sedia, poi vennero i vicini e la portarono via.” Non poté più ucciderla. “Morì di febbre, un mese dopo il fatto.

Il pensieroso:Seth Richmond era chiamato ‘il pensieroso’”, uno che “un giorno o l’altro salta fuori. Vedrete.” George lo cerca spesso, per comunicare, ma non il contrario. Seth non sente il bisogno dell’Altro. Anzi: “era avvilito al pensiero di non partecipare alla vita del suo paese, ma il pensiero tuttavia non lo abbatteva troppo, dato che non se ne faceva una colpa.” Pensa che ogni altro cittadino di Winesburg “avrebbe qualcosa da dire” riguardo a un determinato argomento. Lui no. “Per me è diverso. Io non sono di qui. Non voglio farne un dramma. Ma di qui me ne vado.” Amava una ragazza di nome Helen. O forse no. Chissà? “Una singolare riluttanza lo tratteneva dal baciarla sulle labbra, ma sentiva di poterlo fare, se avesse voluto.” Dice a Helen che se ne andrà. Via. A cercare un lavoro qualsiasi, forse il meccanico. Si vedrà. “Così è. Così vanno tutte le cose. Quando c’è da voler bene a qualcuno, questo qualcuno non sono mai io. Sarà qualcun altro – qualche idiota – qualcuno che non fa che parlare – Magari qualcuno come quel George Willard.”

Cicci:La madre era morta.” Tom, suo padre era troppo intento a dichiararsi ateo e “le badava poco”. Arriva in paese un alcolizzato con un carattere molto comunicativo che un giorno fa uno strano ragionamento (George Willard è nei pressi e ascolta, come sempre). Reduce da un fallimento sentimentale, una donna “stava arrivando, per me, – disse, e la sua voce adesso era aspra e impaziente, – ma io l’ho mancata. Non è venuta la mia ora. Forse sei tu quella donna.” – Cicci, bimbetta di sette anni, sarebbe potuta diventare un giorno la sua donna. “Credono che sia facile esser donna, credono che sia facile essere amate, ma io ne so di più, – disse. E poi? Che altro disse? Baciò le mani della creatura e Sii Cicci, piccola, – implorò. Abbi l’audacia di essere forte e coraggiosa. Questa è la strada. Rischia qualsiasi cosa. Sii coraggiosa al punto di osare di essere amata. Sii qualcosa di più di un uomo o di una donna. Sii Cicci.” Be Tandy, nella versione originale. Cicci e Tandy non vogliono dire nulla. O forse tutto? Poi l’etilista partì. La bimba, capendo qualcosa in quel nulla, volle essere chiamata come aveva detto quell’uomo. E il padre cercò di consolarla. Senza riuscirvi. Lei non era ancora abbastanza forte per “sopportare la visione che le parole dell’ubriaco avevano evocato in lei.

La forza di Dio:Il reverendo Curtis Hartman era pastore della chiesa presbiteriana di Winesburg”, stimato, preciso, virtuoso. Ma con un cruccio: “La predica del pulpito, davanti alla gente, era sempre un’impresa per lui; dal mercoledì fino al sabato sera non pensava che alle due prediche che doveva fare la domenica.” Questo “omone con una barba scura” di crucci ne aveva però un altro, ben maggiore. Aveva dei dubbi su Dio, sulla sua fede in Lui. Sapeva che “non era possibile andare per le strade del paese portando la parola del Signore.” Una domenica mattina, per caso, “vide in una stanza all’ultimo piano di una casa vicina, una donna a letto che leggeva un libro fumando una sigaretta.” Era una giovane insegnante di nome Kate Swift. Ne fu sconvolto e la cosa rese un po’ diversa quella mattina la predica che fece ai fedeli della sua chiesa. “Nell’anima del prete si sviluppò un conflitto.” Fece di tutto, proprio di tutto, per osservare più che poté la vita della ragazza. Un giorno vide Kate nuda che pregava nella sua camera. Curtis scese in strada, come folgorato dalla Verità. “Corse e arrivò alla porta del Winesburg Eagle.” A George, che era ancora al lavoro, “il prete si rivolse con parole sconnesse, – Le vie del Signore sono al di là dell’intelligenza dell’uomo.” Credette di aver “trovato la Luce.” Dio, lo sentiva nel profondo del cuore, “si era manifestato nel corpo di una donna.” E, tra le altre cose, disse che “benché non lo sappia, quella donna è uno strumento di Dio e porta un messaggio di verità.

La maestra: da numerosi indizi, George credeva che forse Kate Swift, che era stata sua maestra, si fosse innamorata di lui. Kate era un’insegnante, “silenziosa, gelida, severa, eppure a modo suo molto vicina ai ragazzi.” Un giorno disse una cosa buffa e “un grassone con la faccia rossa rise tanto che cadde dal banco e Kate Swift si mise a ridere con lui. Poi, improvvisamente, di nuovo diventò gelida e severa.” Non era bellissima, ma non era poi così male. “La gente del paese la considerava ormai una vecchia zitella e la giudicava priva di ogni sensibilità umana perché parlava poco e badava ai fatti suoi.” All’improvviso, George “si accorse forse per la prima volta della notevole bellezza del volto di lei.” Ma al momento della tenerezza che gli era venuto in mente di farle, “lei assunse un tono brusco e sicuro di sé. – A che scopo poi. Ci metteresti dieci anni a capire quel che io voglio dirti, – esclamò con collera.” Poco dopo, “La maestra lasciò che George Willard la prendesse fra le braccia.” Ma poi se ne scappò, ma prima “Due piccoli pugni duri cominciarono a percuoterlo in faccia.” Fu a quel punto che entrò negli uffici “il reverendo Curtis Hartman”, il quale “affermava che la donna stretta un momento prima da George fra le braccia era uno strumento di Dio che recava un messaggio di Verità.” Curtis, Kate e George costituivano un unico barione, composto da tre quark di diverso colore, strettamente uniti da un gluone che si chiamava incomunicabilità.

Solitudine: Enoch, figlio di Al Robinson, aspirante pittore. Andò a New York. “Studiò il francese e frequentò una scuola artistica, con la speranza di sviluppare il talento che aveva per il disegno.” C’è un fatto però, “lui rimase sempre bambino e fu questo il suo svantaggio nella vita. Il bambino che era in lui cominciò a scontrarsi con le cose e con la realtà del denaro, del sesso e delle opinioni.” Viveva in un mondo suo, e solitamente leggeva un libro mentre camminava. Una volta fu investito da un’auto. “Enoch voleva parlare ma non sapeva come fare.” Le sue idee sull’arte non erano capite. Si sposò. Ma non funzionò. “Cominciò a sentirsi soffocato, incarcerato nell’appartamento dove abitava; provava per la moglie e per gli stessi figli lo stesso sentimento che aveva provato per gli amici che venivano a un tempo a fargli visita.”. Rimase solo. “Enoch era felice. Entrava in camera e chiudeva la porta a chiave.” Non riusciva a interessarsi degli altri. La cosa che gli capitò fu una donna “– A volte le cose degenerano. “George Willard pensava a se stesso e questo, per un giovane, è sempre un pensiero triste.” I due si ritrovavano (Enoch era ormai vecchio). Gli disse: “Capirai se fai uno sforzo.” E aggiunse: “Non è difficile. Tutto quello che devi fare è credere a quello che ti dico io. Ascoltare e credere, ecco tutto.” Povero vecchio, finalmente col cuore spezzato. “– Lei uscì dalla porta e tutta la vita che era stata in quella stanza uscì con lei. Lei si portò via tutta la mia gente. Se ne andarono tutti per quella porta dietro di lei. Ecco come fu.” Anche “George Willard si voltò e uscì dalla stanza di Enoch Robinson.”, mentre quello “piagnucolava. – Sono solo, sono solo qui – diceva la voce. – Era bella la mia stanza e c’era tanta gente e adesso invece sono tutto solo.”

Un risveglio:Belle Carpenter era scura di pelle, aveva occhi grigi e labbra grosse. Era alta e robusta.” Era innamorata di Ed Handby”: un tipo particolare, capace di gesti tipo: “con un pugno ruppe lo specchio nel bagno di un albergo e continuò a infrangere finestre e a spezzare sedie nella sala da ballo, per la gioia di sentirsi i vetri frantumarsi in terra e vedere il terrore negli occhi degli impiegati…” George Willard era interessato a Belle. “Quando andava con lei e la baciava sulle labbra, veniva via pieno di rabbia contro se stesso.” Si sentiva sfruttato. “Un’ora passeggiarono sotto gli alberi.” Lei si lasciò baciare. “Ogni suo gesto era di attesa.” Beth arrivò e gettò via George, varie volte. Tutte le tre che servirono. “George sentì l’uomo e la donna aprirsi la strada in mezzo ai cespugli. Quando cominciò a ridiscendere la collina, il cuore gli si spezzava.”

Sherwood Anderson - 1933
Sherwood Anderson – 1933

Grullo: Elmer Cowley col padre conduceva un emporio a Winesburg. “Si stava infilando alle scarpe un paio di stringhe nuove.” Per fare meglio se le tolse e “rimase seduto a guardarsi un grosso buco nel calcagno di una calza. Poi voltandosi vide George Willard”. Anche se questi aveva un’aria assorta che non badava troppo a lui, “diventò rosso in volto e gli tremarono le mani.” Elmer aveva in testa un sacco di idee molto precise, ma riusciva poco a esprimerle. In compenso “era di statura eccezionale e aveva braccia lunghe e robuste.” Solo un “deficiente di nome Mook” pareva comprenderlo. Mook aveva inventato l’espressione “porco dieci, porco undici e porco dodici…” Elmer parlò. Mook comprese una cosa e lo disse alle sue vacche: “È Pazzo, Elmer.” Ed anche intuì che “È capace di fare del male a qualcuno, Elmer.” Il quale tenta di dire qualcosa di molto importante a George, “Tentò di parlare, ma le braccia cominciarono a muoverglisi su e giù.” Elmer decise di fuggire da Winesburg. Andare dove “nessuno l’avrebbe più considerato diverso. Parlare, avrebbe potuto, e ridere.” Diede un appuntamento a George, a mezzanotte, poco prima che partisse il treno. Ma non riuscì a dirgli quello che aveva in mente, se non un idiota: “Porco dieci e porco undici e porco dodici.” Poi lo colpì. “L’orgoglio lo invase. – Gliel’ho fatta vedere, – esclamò – Direi che gliel’ho fatta vedere. Non sono poi così grullo. Direi che gliel’ho fatta vedere che non sono poi così grullo.”

La bugia non detta:Ray Pearson e Hal Winters lavoravano in una fattoria a dieci chilometri da Winesburg.” Il primo “era un uomo molto serio”. Hal “era un giovanotto.” Ma “questa è la storia di Hal.” Ray “aveva convinto una ragazza” ad andare nel bosco con lui e poi la dovette sposare. “Fregato, ecco. Preso in giro e fregato dalla vita, sono stato, – disse a voce bassa.” La stessa cosa capitò a Hal. La cosa lo sconvolse. “Perché dovrei pagare io? Perché dovrebbe pagare Hal? Perché chiunque dovrebbe pagare? Non voglio che Hal diventi vecchio e logoro. Glielo dirò. Non lo lascerò andare in fondo. Troverò Hal prima che arrivi in paese e glielo dirò.” Corse come un pazzo per dirglielo. Hal aveva deciso. “Lei non mi ha chiesto di sposarla. Sono io che voglio sposarla.” Sic transit vita hominis. “Mentre camminava, dovette tornargli alla mente qualche ricordo di serate piacevoli passate nella casetta mezza cadente con i bambini dalle gambine esili…” borbotta, fra sé e sé: “Meglio così. Qualsiasi cosa gli avessi detto sarebbe stata una bugia.”

Sbornia:Tom Foster arrivò a Winesburg da Cincinnati” ch’era un ragazzo, insieme a una nonna così anziana che “quando prendeva uno straccio o un manico di scopa, le sue mani parevano i rami secchi di una vecchia vite che si attorcigli a un albero.” Grazie a un portafoglio trovato per terra, con quei trentasette dollari, “che le permise di tornare a Winesburg.” Lei fu assunta da una famiglia per aiutare in casa. “Il ragazzo ebbe un posto di mozzo di stalla nella scuderia del banchiere”, ma fu presto licenziato perché non attendeva granché alle sue mansioni, preferendo unirsi “a qualche gruppo di uomini e ragazzi e passava con loro tutto il pomeriggio.” Ragazzo e nonna fumavano insieme: “– Quando tu sei pronto a morire, allora sono disposta a morire anch’io, – diceva al ragazzo sdraiato a terra accanto alla poltrona.” Tutti gli volevano bene, a quel ragazzo. Aveva cominciato a fantasticare su “Helen White, la figlia dell’uomo di cui era stato dipendente.” Entrato in un’osteria, comprò una bottiglia di whisky e si ubriacò. Incontrò l’ormai inevitabile George e gli disse che era stato con Helen, mentendo. George “andò in collera”, perché era attratto da quella ragazza, poi quel sentimento “sfumò, e si sentì attratto verso quel ragazzo pallido e abbattuto come mai s’era sentito attratto verso nessuno.” Tom “era incapace di litigare”. Diede una spiegazione della sua bugia. “Era come fare l’amore, ecco quello che voglio dire, – spiegò.” Il suo era un voler imparare qualcosa. “E sono contento di averlo fatto. Mi ha insegnato delle cose, che è quello che volevo io. Non capisci? Io volevo imparare, capisci? Ecco perché l’ho fatto.

Morte: Elizabeth Willard, madre di George, “andava dal dottore per motivi di salute, ma in realtà una buona metà delle sue visite non aveva con la salute nulla a che fare.” I due parlavano all’altro di sé, della loro “vita a Winesburg.” Elizabeth si era sposata con un impiegato del padre, perché era lì comodo, non per altro. “Non era Tom che volevo, era il matrimonio.” Non gli piaceva granché il suo futuro marito. “Volevo scappare da tutto, ma al tempo stesso correvo verso qualche cosa. Capite, mio caro, com’era?” Il giorno in cui lei morì, dopo sei giorni in cui era paralizzata a letto, George “compiva diciott’anni.” Si chiuse dentro la sua camera. “Provava una strana sensazione di vuoto allo stomaco”, più che altro. Aveva ricevuto un biglietto da Helen White. “‘Stasera potevo vederla e invece dovrò rimandare’, pensò quasi in collera.” Piovve e poi spuntò il sole. “Per tre di quei sei giorni ella lottò, pensando al figlio, nel tentativo di dirgli alcune cose per il suo avvenire, e negli occhi aveva uno sguardo così commovente che quanti lo videro conservarono negli anni il ricordo di quella donna moribonda. Persino Tom Willard, che ce l’aveva con la moglie, dimenticò ogni risentimento e dagli occhi gli scorsero lacrime che andarono a finire sui baffi.” George presto “tornò a pensare ai casi suoi” e meditò di partire da Winesburg. “Poi qualcosa accadde.” Cominciò a chiedersi a chi potesse appartenere quel corpo sotto il lenzuolo, che “era lungo e sembrava, nella morte, giovane e grazioso. Per il ragazzo, preso da una inspiegabile fantasia, quel corpo era indicibilmente bello.” E finalmente provò il dolore del lutto. La mamma, appena sposata, aveva nascosto 800 dollari che sarebbero serviti al ragazzo per lasciare Winesburg un giorno. Morì senza riuscire a dirglielo.

Fantasticheria:La fiera di Winesburg aveva portato un sacco di gente in paese.” Mentre George aspettava che uscisse la sua Helen, “si sentiva vecchio e un po’ stanco.” Chissà se Helen stava con quell’altro giovane? “C’è un momento nella vita di ogni ragazzo in cui per la prima volta egli si volta indietro a riguardare la vita.” E in cui “vede se stesso come una foglia che il vento fa volare per le vie del paese.” Lei lo cerca. Nel frattempo, George, era “sempre occupato a borbottare fra sé”. Si trovarono e cominciarono a salire “la collina fino al Belvedere.” Dentro di lui la sua fresca animalità combatteva con la sua mania di pensare, di fantasticare. “Quello che lui provava si rifletteva in lei”. Lei intuì qualcosa. “È una sensazione che non si dimentica più”, sorta nell’ammirare quel Belvedere. “Da ogni parte vi sono spettri, non di morti, ma di gente viva.” Poi i due risero, scherzarono, lei gli fece lo sgambetto, lui cadde, si sentì finalmente vivo. “Due splendidi esseri giovani in un mondo giovane.”

Partenza: George “pensava al viaggio che stava per iniziare e si chiedeva…” quel che ci si chiede in tali frangenti. “Quando il treno arrivò in stazione, George si sentì sollevato. Si affrettò a salire. Di corsa da Main Street arrivò Helen White”. Per un puro miracolo i due innamorati non riuscirono a vedersi. Il bigliettaio era un certo Tom Little, che conosceva bene l’amico e l’amico che se ne stava andando in cerca di fortuna. Ma ne aveva visti tanti, di conoscenti che scappavano da Winesburg, e non gli chiese nulla. A George “non gli venne in mente la morte della mamma”, e null’altro d’importante, ma “pensò a piccole cose”. Cazzate. Nel frattempo, “il paese di Winesburg era scomparso, e tutta la sua vita in quel luogo non era diventata nient’altro che uno sfondo su cui dipingervi sopra i sogni della sua giovinezza.” Così finisce il libro.

Raymond Carver, Ridge House, Port Angeles, Washington. 1987
Raymond Carver, Ridge House, Port Angeles, Washington. 1987

Durante la cui lettura, più volte mi sono chiesto quanto simili siano le poetiche di Sherwood Anderson e di Raymond Carver. Per entrambi quel che conta è l’oggetto che è emerso e che è da raccontare, non la sua storia, che ne è la conseguenza. È l’oggetto che fa la storia, non il contrario. Non voglio dire il soggetto. In realtà, la differenza è minima. Oggetto è quel che si presenta alla vista, che si vede agire, che oggettivamente è. Il soggetto, sub-jectum, è quel che sta sotto, che non si vede sempre, che si cela, come fa una Verità che a volte è ignobile. Tutto quello che lo scrittore riporta alla luce, in quell’istante, cambia colore, forma, stato e diventa protagonista.

Questo ho colto in entrambi gli autori. La loro attenzione è mirata a salvare quel che appare sommerso dalla vita. La loro prosa è incantevole, perché nasconde una magia che è insita nelle cose. È finalmente oggettiva, e non più soggettiva. L’autore cerca di far emergere l’Altro, negando se stesso, almeno nella misura in cui riesce a farlo. Ammirevole è il suo sforzo, il suo sacrificio, la sua intenzione e la sua tenacia. Il reale per quell’attimo eterno diventa sacro.

Da parte mia, ho cercato di raccogliere delle pietruzze auree, lasciando ai fraterni lettori il compito di cercarne infinite altre da esibire agli amici, in quest’affollato bar che si chiama Mondo.

La scrittura di Sherwood è così bella che fa male, che fa quasi rabbia. È un peccato che gli si perdona però, appena terminata è la lettura, e alla fine non si riesce nemmeno a invidiarlo. Non è colpa sua, dopotutto, se lui è un tipo così, che viene da un villaggio così, situato nella contea di Preble, Ohio. Mille e più miglia entangled da me e da te. Ormai siamo tutti consanguinei!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Sherwood Anderson, Racconti dell’Ohio, Einaudi, 1982

 

 

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