“Mille anni di estasi”, film di Kōji Wakamatsu: predestinazione e maledizione del sangue

Negli anni Sessanta, in Giappone, si affermò un filone cinematografico detto Pinku eiga: “film rosa”.

Mille anni di estasi di Kōji Wakamatsu
Mille anni di estasi di Kōji Wakamatsu

Si trattava di soft core, produzioni indipendenti a bassissimo costo, pulp che coniugavano temi violenti con scene di sesso esplicito.

Uno dei maestri riconosciuti del “genere” è stato Kōji Wakamatsu (1936-2012), autore di film non scontati – i più noti sono forse Angeli violati del 1967 e Su su per la seconda volta vergine, 1969 – girati con modi ispirati a certo underground americano (più che alla Nouvelle Vague cui alcuni di questi giovani registi furono all’epoca accostati).

Film in ogni caso con un definito marchio autoriale, i cui temi andavano oltre il “genere”, esplorando spesso il malessere esistenziale dei protagonisti (un richiamo a scrittori come Georges Bataille non sarebbe fuori luogo).

Tutto il movimento, in effetti, nasceva dalla generale aria di rinnovamento nel cinema e nella società giapponesi, sull’onda delle proteste giovanili che divampavano in tutto il mondo.

E nel Giappone degli anni Sessanta il sesso rappresentato esplicitamente al cinema era qualcosa di rivoluzionario e dirompente (da notare che Wakamatsu sarà anche, nel 1976, produttore esecutivo di Ecco l’impero dei sensi di Nagisa Oshima)

Wakamatsu ha diretto più di un centinaio di film, di cui 73 solo tra il 1963 e il 1975.

Autore “consacrato” in tarda età, il suo United Red Army (2007) vinse premi ai festival di Tokyo e di Berlino, e il successivo Caterpillar fu in corsa per l’Orso d’Oro nel 2010 (ma a Berlino Wakamatsu aveva già ricevuto una nomination nel 1965 per Affairs within walls).

Mille anni di estasi (Sennen no yuraku, 2012) è il suo ultimo film, uscito nelle sale postumo. Abbandonato ormai lo splatter, il cinema di Wakamatsu rimane tuttavia fedele a se stesso, pur nella sua evoluzione: la raffinatezza registica, che può ora avvalersi di maggiori mezzi tecnici, esalta la tendenza alla pittoricità già presente in realtà nei B-movies degli anni Sessanta, regalandoci un film di straordinaria bellezza visiva.

Mille anni di estasi di Kōji Wakamatsu
Mille anni di estasi di Kōji Wakamatsu

La trama, al di là della fabula, mette in gioco risvolti psicologici ben più profondi della superficie: una storia di predestinazione e “maledizione del sangue” illustra, tramite i suoi personaggi principali, il complesso di Edipo che sovente si nasconde nei seduttori e guida le loro coazioni (Hanzo e il suo rapporto con Oryu) e il vuoto esistenziale che è alla radice del crimine come ricerca del “sentirsi vivo” (il personaggio di Miyoshi).

Questi livelli più profondi sono toccati in maniera allusiva, e pur permeante, come nella migliore tradizione della poesia classica giapponese.

Lo stupendo finale del film, infine, è davvero una sorta di testamento spirituale di questo regista particolarissimo: in tutti gli uomini si agitano demoni, più o meno sopiti, e l’istinto sessuale guida la vita, in un infinito ciclo di nascite e di morti che trascende infine l’umana nozione di “peccato”.

 

Written by Sandro Naglia

 

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