“Cronache da Ferroponte” di Aniello Milo: una civiltà priva di humanitas

Libro terribilmente nutriente, fluido e facilmente assimilabile, e io l’ho appena finito di sorseggiare, centellinandolo, come si fa con un vin brulé, che non è tipico del luogo narrato da Aniello Milo, ma che dà l’idea: una bevanda saporita, fumante, aromatica, speziata.

Cronache da Ferroponte di Aniello Milo
Cronache da Ferroponte di Aniello Milo

Oltre alla cannella e ai chiodi di garofano, l’autore vi ha aggiunto una scorza di limone, per rendere acre quel sapore che poteva sembrare un po’ mielato, ma soprattutto per alleviare la maleodoranza degli eventi narrati.

La grazia e la dolcezza sono gli ingredienti del romanzo, ma anche una grave tossicità che emana da ogni pagina, come dalla terra violentata di Ferroponte. Per cui la scorza d’agrume rappresenta un tentativo di rendere fruibile un racconto veritiero di eventi tragici e imperdonabili.

La verità, cos’è?L’uomo chiama verità ciò che qualcuno ha deciso di chiamarla così. Le verità sono illusioni. Tienitelo bene in mente!” – garantisce alzando la voce ad hoc don Salvatore, l’astuto Boss cittadino, “tanto temuto quanto amato.”. Questa è la sua Verità, di quelle che non ammettono né repliche né verifiche.

E purtroppo isso tene ragione! Solo una Fede può garantirla, quest’ambigua ancella del Potere. La Fede del Boss ha un unico pregio: si sa da dove viene e si può contrastarla o assecondarla… e ognuno scelga per sé.

La terza possibilità, che è quella più frequente, è far finta di niente. Che significa fare i fatti propri.

Aniello Milo ha scelto di raccontarli, i fatti altrui. Questa è la sua Verità. E non ha bisogno di falsità, di accordi sottesi, di avvocati delle cause ingiuste. A lui bastano i ricordi e quella che si chiama mitopoiesi, che è la capacità di interpretare la vita mitizzandone alcuni aspetti e alcune figure che l’hanno rappresentata.

Questa è la Finzione di cui parlava Borges. È la Scrittura. Punto.

Un passo significativo del libro: “Le parole sono creature viventi, capaci di farci immedesimare nelle emozioni che suscitano e di farci tornare a vivere. Al pari dell’acqua, che non rivela per quali vie sotterranee si fa pura prima di emergere e farsi fonte…E le lacrime anch’esse sono parole, che meglio esprimono le emozioni e comunicano “l’indicibile dolore dell’anima, ma spesso aprono alla speranza”.

Nel libro si parla di commistione fra l’uomo di malaffare e il politico: una volta era il camorrista a chiedere, ora è l’uomo pubblico a offrirsi, per avere in cambio quello che lo sostiene: il consenso che rende legittimo il suo Potere.

È uno scambio illecito, che giustifica ogni abuso. Siamo in un mondo, e non bisognerebbe mai cessare di pensarlo, in cui tutti i Poteri alla fine si accordano fra di loro. Quello che succede nel paese di Ferroponte non è che la pellicola in negativo di quello che si chiama Stato, e la sua fotografia, democraticamente istituzionalizzata, e sapientemente truccata.

Governare è far credere”, in senso fideistico. Così deve essere, non qualcos’altro. Qualsiasi forma di eresia sarà passibile di morte.

“… la politica non è solo un’arte ma è una sfida mortale quotidiana, la cui posta in gioco è il potere.”

Ferroponte è anche l’immagine immonda di un paese che utilizza tutto quello che esiste, anche la bellezza, per nascondere la monnezza, perché Qualcuno che Può ci lucri, a dispetto della salute e della felicità della gente.

Sembra che non ci sia una via di mezzo fra l’onestà assoluta e la mendacità. Come, forse, non ce n’è fra l’atto sessuale mirato a ingravidare e la prostituzione. Non può esserci una semplice e consapevole libido? No, questa è roba da signori! Da gente che può! Da padroni!

Un’arma utilizzata da chi ha la coscienza sporca è quella d’insudiciare l’altrui: la calunnia, la più perversa delle arti. Che pure lo diventa, arte, quando ri-crea la realtà. Ma è un’arte sozza, che merita soltanto disprezzo.

In questo mondo incivile, dove “si campa di difetti mica di virtù” e “la menzogna è un atto sociale”, la saggezza può venire dall’unico che può permettersela, la parte più colpevole, il Boss, che tutto rimescola e che tutto inquina. In un paese siffatto, solo chi ha il Potere pare avere il diritto di pensare, di giudicare, di usare la ratio, di scegliere.

Ma occorre un eroismo che può attingere solo alla propria anima, se si sceglie di opporsi all’Anarchia del Potere, come la chiamava Pasolini, costi quel che costi, rinunciando alla propria sicurezza economica e anche alla vita.

Purtroppo il disastro pare inevitabile:A memoria d’uomo, una società totalmente libera non è mai esistita; c’è la certezza contraria, anzi, che non possa esistere una società senza costrizione.”

Dobbiamo tuttavia abituarci a una vita apparentemente, tranquilla, talvolta disturbata da un rumore improvviso, da uno sparo che, finché non tocca a me, è uno dei tanti eventi preventivabili, accettabili, quasi naturali. Questa è la nostra società moderna, e c’è chi osa ancora chiamarla civiltà, perché pare l’unica a noi consentita.

Aniello Milo
Aniello Milo

Tutti sono d’accordo sulla lotta alla mafia, ma pochi sono disposti a farle la guerra.” – a volte pare che si colpisca il malaffare con la perizia dell’addetto alla potatura di un albero, che deve tagliare i rami ormai secchi, per agevolare la floridezza dei frutti del Potere.

Chi non può che perire per essersi opposto, alla fine viene esecrato da quel popolo che egli intendeva riscattare e che, scuotendo la testa, non può che dire: “Nun si fann’e ‘ fatt’loro e chest’è a fine ca fann!

Il romanzo corale di Aniello Milo termina con un’immagine fatalistica. Il vento stormisce negando una Storia dell’Uomo, essendo ormai priva di un ieri e di un domani.

La morale che se ne trae mi rimanda alla memoria Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.

“‘Nulla sarà come prima’ s’illuse qualche benpensante. ‘Tutto è come sempre’ disse a se stesso don Salvatore con un soffio di voce.”

Solo il Potere sa elaborare la Storia. Di fatto è lui l’Eterno, il Maledetto Scrittore.

Dietro ogni eroe che si sacrifica c’è sempre un Giuda”, e “anche un Pilato e un Erode. È la storia che si ripete.” – In questa non-Storia chi si sacrifica diventa un martire, un testimone che a tant’obbrobrio ci si può sì ribellare, ma forse non si potrà mai vincere. O forse un fesso. Chissà!

Un’ultima chicca del libro: finalmente so perché ad Amalfi si dice che non bisogna abusare di caffè, ma di sorbirne la corretta dose (nel libro si parla di noci, ma il concetto è lo stesso): “Non meno di tre e non più di trentatre”. La risposta è: quante ne vuoi, sei tu che devi decidere della tua vita.

È questo forse il regalo del libro che più mi consente ancora di pensare, con una residua fiducia, all’Avvenire.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Aniello Milo, Cronache da Ferroponte, bookabook, 2020

 

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