“Zen e multiversi” di Anthony Aguirre: un viaggio nella fisica tra monaci e imperatori
Il libro “Zen e multiversi” si presenta con un’alternanza fra un kōan, racconto da meditare, in cui spicca la figura di un jinn, che, parimenti al nostro genio, deriva dal sanscrito g’ânya, che significa forza naturale produttrice, e un libero saggio di poche pagine su un argomento scientifico e/o filosofico, i cui testi si compenetrano fra di loro, appendendosi l’uno all’altro; intendo libero dal timore di dire le cose; non provocatorio, ma onesto.

Nell’Introduzione si spiega che scopo del libro “è analizzare questa bizzarra landa che separa la struttura profonda del mondo fisico, dalle scale infinitesime a quelle più ampie e cosmiche, e l’esperienza personale e soggettiva che, vivendoci, abbiamo di quel mondo.”
Nel primo capitolo si parla dell’attimo e l’autore si chiede se sia/esista o no; la particella e/ha un’informazione, il proprio stato quantico.
Nel secondo si tratta dell’inerzia, misura delle variazioni di velocità, e del suo mistero.
Nel terzo si ragiona della freccia del tempo, rivolta al futuro, e delle 3 dimensioni spaziali: il futuro esiste già (non solo teoricamente), come il passato, ed è inserito, con quest’ultimo, nel presente.
Nel quarto: la carica gravitazionale e l’inerzia praticamente coincidono; la traiettoria è una linea retta nello spazio e nel tempo; la gravità non è una forza, ma qualcosa che c’è e non si sa come giustificare.
Nel quinto: è impossibile produrre su una carta in modo perfetto le misure del globo terrestre.
Nel sesto: l’adesso universale è un sogno.
Nel settimo: primo pilastro di Galileo, vi è equivalenza fra stati diversi in moto uniforme; secondo pilastro: è possibile confrontare le velocità misurate in sistemi inerziali diversi; Maxwell dice che la velocità delle onde elettromagnetiche, della luce, è di 300.000 km/sec; Einstein dice che le leggi fisiche sono identiche in ciascun sistema referenziale.
Nell’ottavo: Lagrange formulò delle equazioni con cui si determinò il movimento degli oggetti immersi nello spazio-tempo, causato dalle forze che percepisce; è la natura che sceglie, secondo il principio della minima azione?
Nel nono: la quantità di materia determina il grado della curvatura dello spazio-tempo.
Nel decimo: le forze principali che determinano il cambiamento sono a) gravità b) elettromagnetismo; è una questione di spazio-tempo, di campi, di particelle.
Nell’undicesimo: seguendo tutti i cammini possibili, si individuerà quello giusto.
Nel dodicesimo: “Uno stato quantistico è un insieme completo di fatti ben precisati relativi al sistema, forniti da esso in risposta a una domanda.”
Nel tredicesimo: “La funzione d’onda relativa a una singola particella in movimento da un punto a un altro, perciò, equivale matematicamente al fatto che la particella segue tutti i possibili cammini tra i due punti; è impossibile distinguere le due descrizioni.”
Nel quattordicesimo: prospettiva epistemica, “lo stato quantistico (o funzione d’onda) è una descrizione matematica di tutto ciò che un osservatore può sapere del sistema.”; prima del lancio del dado tutte le sei facce hanno eguali possibilità di uscire; dopo il lancio, una sola ne ha il 100%, tutte le altre hanno lo 0%; la prospettiva ontica “sostiene che la funzione d’onda sia la realtà, o almeno che tra essa e la realtà esista un’indistruttibile corrispondenza biunivoca; quando la funzione d’onda si scinde in due mondi sovrapposti che hanno perso la coerenza, dovremmo interpretare il fenomeno letteralmente, come se il mondo si fosse scomposto in due mondi diversi; non succede mai che una parte della funzione d’onda ‘sparisca’”; conseguenza: “il mondo si scinde in due, tra un mondo che si scinde in molti mondi, e un mondo corrispondente a ciò che si sa del mondo.”

Nel quindicesimo: non esiste un modo che trasformi uno stato quantistico in una coppia di stati che siano due copie dello stesso sistema; in una certa misura, la correlazione accade ogni volta che un sistema interagisce con un altro; si può scorrelare, annullando la correlazione; quando il groviglio della matassa quantistica è troppo complicata, occorre usare il rasoio di Occam, recidendo una parte di mondo.
Nel sedicesimo: per predire occorre accontentarsi di una previsione con un incerto errore.
Nel diciassettesimo non occorre conoscere il funzionamento di un meccanismo, ma saperne cogliere gli effetti.
Nel diciottesimo: non si riesce a predire le proprie stesse decisioni, né elaborare un modello affidabile del tempo necessario a prendere una decisione; più veloce è decidere e basta.
Nel diciannovesimo: i sistemi chiusi aumentano nel tempo il loro disordine.
Nel ventesimo: “conoscendo lo stato quantistico, possiamo farlo evolvere avanti nel tempo oppure all’indietro nel tempo in maniera univoca; la situazione quindi appare al contempo unitaria: e deterministica, fintanto che non si fanno misure.”
Nel ventunesimo: si può intendere lo stato quantico in termini oggettivi (ontici) o soggettivi (epistemici); ma si possono “assegnare probabilità a diversi stati quantistici; qual è il significato di queste probabilità?; qual è il significato della natura probabilistica dello stato probabilistico stesso?; il mondo “la fuori” è meno certo ed è meno certo che sia realmente “là fuori”.
Nel ventiduesimo: il disordine “suddivide lo spazio degli stati possibili in macrostati, e assegna a ciascun macrostato un valore del disordine in base al numero di stati contenuti.”; l’ordine è la differenza fra il disordine massimo e quello che ci si ritrova davanti; misurando una certa proprietà del sistema, modifichiamo le probabilità, diminuendo il disordine; però “l’osservatore crea entropia quando osserva un sistema, con l’intenzione, così facendo, di ridurre il disordine o la casualità del sistema osservato.”; l’osservatore è causa del disordine quando entra in un sistema, pur diminuendo il disordine procurando un’informazione.
Nel ventitreesimo: “Si usa continuamente l’equilibrio per predire in maniera abbastanza precisa cosa faranno i sistemi fisici. Ma l’equilibrio, che potremmo definire come lo stato con il disordine massimo, può essere uno stato con informazione enorme e nascosta, oppure uno stato con informazione del tutto assente; quasi nulla distingue le due eventualità.”
Nel ventiquattresimo: aspettando il tempo necessario, tutto (prima o poi?, contestualmente?), avviene.
Nel venticinquesimo: la fase della particella, il suo modo di girare, dipende dalla sua massa, cioè dalla sua azione S accumulata nel percorso; Feynman dice che per conoscere le probabilità che una particella vada lì, dobbiamo permettere che essa vada attraverso tutti i cammini possibili; ma se una variazione non cambia il valore di S, le ampiezze di questo cammino speciale e di quello modificato finirebbero per sommarsi; questo succede quando il cammino rende S estrema; quando vi sono masse pesanti, vi è solo un cammino speciale, che rende estrema l’azione, e il cammino classico.
Nel ventiseiesimo: “Dopo la coerenza i cammini perdono la coesione.”; la funzione d’onda perde la sua coerenza quando la particella s’imbatte nell’Altro.
Nel ventisettesimo: “Il modello del Big Bang è una teoria coerente e verificata…”; c’è chi crede che “il nostro cosmo subisca un’espansione eterna nel futuro e forse l’abbia già subita nel passato, e che la materia e l’energia si creino di continuo.”
Nel ventottesimo: “agli albori l’universo avrebbe subito per breve tempo un’espansione rapida e accelerata, che avrebbe creato un’enorme chiazza di spazio-tempo piatta come uno specchio, finemente levigata. Risalendo nel passato fino a questa chiazza, osserveremmo sfere di uniformità ineguagliabile.”
Nel ventinovesimo: “Abitiamo in una zona intermedia gradevole delle scale: siamo piccolissimi in confronto alle galassie o all’universo osservabile, ma grandissimi in confronto alle particelle che ci compongono.”

Nel trentesimo: tutto funziona troppo bene, in un’inspiegabile e leibniziana teodicea: perché in tanta perfezione esiste il male?; il nostro è però “il migliore dei mondi possibili”, ci garantiva il filosofo.
Nel trentunesimo: se si stira lo spazio aumentandone il volume, l’energia del vuoto cresce; gli oggetti si allontanano sempre di più e tutto si espande; si può ipotizzare un nuovo campo, l’inflatone, che ha creato un universo post-inflazionario quasi uniforme. Big Bang versus universo stazionario? O forse vari big bang cuciti insieme in uno stato stazionario?
Nel trentaduesimo: se ci fossero quattro dimensioni, oltre il tempo, la gravità einsteniana e l’elettromagnetismo potrebbero unificarsi in un’unica teoria; la teoria delle stringhe prevede tre dimensioni spaziali grandi, e sette o otto arrotolate; questo universo è una parte minuscola del multiverso, in cui si integrano meccanica quantistica, relatività e teoria delle stringhe; “Nessun universo. Non pensate così in piccolo.”
Nel trentatreesimo: il più semplice e più complesso finora, per cui tento di sintetizzare quel che credo di aver capito, un qualsiasi evento che accade in uno spazio-tempo finito ha conseguenze infinite.
Nel trentaquattresimo: no, è questo il più semplice e complesso finora, per cui riporto la frase finale “E se ciò che aspettiamo di vedere dipende da chi siamo ‘noi’, è l’universo che vi crea, o siete voi a crearlo?”; noi vediamo perché vediamo come vediamo: quel che vediamo è nostro.
Nel trentacinquesimo: il più semplice in assoluto, e uno dei più complessi: sono rilevanti gli altri universi senza di noi?; cosa significherebbero?; anzi: cosa significano?
Nel trentaseiesimo: non il più banale, e finora il più significativo, sto scrivendo questa mia reazione, o interazione a dir si voglia; mia o di un altro me?
Nel trentasettesimo: se un teletrasporto, tipo quelli dell’Enterprise, potesse ricostruire esattamente il tuo corpo non una volta, ma due, saresti d’accordo?; no, grazie; sono unico e ripetibile per conto mio; oppure ne vorresti uno “abbastanza vicino” a te?; ne farei a meno, grazie, eviterei le discussioni di chi ha più ragione di essere Io; tanto mi replico già per i fatti miei.
Nel trentottesimo: “dato che il formalismo matematico non fa mai sparire alcuna sovrapposizione, si crea necessariamente uno sfasamento tra esso è la realtà; un qualcosa accade e gli altri qualcosa no; il segreto professionale del fisico: noi osservatori regoliamo ‘a mano’ la matematica, identificando lo stato quantistico del sistema con quello che rappresenta il risultato osservato; solo poi lasciamo a Schrödinger quel che è di Schrödinger”: (la prossima misurazione); ad ogni istante ci capita un quid che divide il mondo in tanti mondi; questo accade anche per l’evento collegato alla morte; e mi immagino in agonia, ad ogni istante, senza che io v’assista, muoiono molti dei miei confratelli d’onda; altri sopravvivono; io faccio il tifo solo per uno di loro: il cosiddetto io; in pochi libri divulgativi di fisica, nemmeno in questo finora, si parla della manomissione che si compie sulle equazioni relative al calcolo della massa dell’elettrone: la si definisce non un trucco, bensì una ri-normalizzazione; la domanda è: quando è mai stata normale la massa dell’elettrone, se non nella misurazione precedente?
Nel trentanovesimo: “Lo stato quantistico dell’Universo, sottoposto a un’evoluzione unitaria, è un blocco multicolore sorprendentemente complesso. Al suo interno si trovano molte storie del mondo macroscopico, anzi, tutte quelle possibili; esse esistono in parallelo nel blocco. Oggetti che si potrebbero chiamare ‘osservatori’ divergono, subiscono la decoerenza e si scindono di nuovo”, poi lo rifanno, n volte, ad nauseam, o ad libitum; finora l’autore non ha parlato dei numerosi Z Misteri, che Roger Penrose, recente premio Nobel, definiva come al momento insolubili, fra cui il mistero che circonda l’ultima parte del viaggio di una particella (mentre lo stesso fisico britannico ipotizzava, pur senza averne riscontro sperimentale, che la gravità potesse entrare nel discorso sulla decoerenza), subito prima del suo arrivo misurato dall’osservatore; né s’è fatta menzione, finora, di eventuali variabili nascoste, né di una Campana (Bell) che suona ogni quarto d’ora e ammonisce l’intera parrocchia.
Nel quarantesimo: i sistemi intelligenti devono 1) osservare 2) imparare 3) calcolare 4) predire 5) ottimizzare i risultati; 6) scegliere; tutto questo vale per ogni azione umana e non; “L’intelligenza è un processo”, un fenomeno, non una cosa, un noumeno; l’intelligenza è anche l’emozione, la sensazione, l’istinto che ti fa scegliere senza un’evidente ragione una cosa o il suo opposto; amo la frase finale del capitolo, quando dice che Buddha è vissuto ed è morto 2500 anni fa: “Ma in quanto mente, la sua mente non è forse parte della vostra? E la vostra della sua?”; è l’ultimissima frase che mi commuove.
Nel quarantunesimo: nessuno può capire la mente umana, nemmeno un جِنّ, uno jinn, nemmeno la mente di un jinn, e nemmeno, intuisco perfidamente, quella di una jinnwoman.
Nel quarantaduesimo: “… perché è incerto il futuro stesso, non soltanto le nostre conoscenze in merito.”; “nessuna storia inizia adesso; ciascuna si estende indefinitamente avanti e indietro nel tempo”; “Dividiamo il tempo tra il passato, il presente e il futuro.”; la cosa pare, e forse è, un’assurdità; si dice dell’ipotesi che esista uno stato mentale; la mente “vede il passato fisso e statico. Vede il presente, noto e immediato. Si slancia in avanti nel tempo e individua il tipo di futuro che desidera.”; quando si abbozzano teorie la cui classificazione popperiana, scientifica o religiosa?, non è facile, si stimola in chi le legge la produzione di una diversa teoria, ugualmente priva di fondamento scientifico; Frank J. Tipler ipotizzava che, abbinando a ogni stato quantico un’informazione, si poteva riprodurre un cosmo (in La fisica dell’immortalità); Julian Barbour che il tempo non esisteva (in La fine del tempo); io annuncio che questi due fisici-profeti annunciavano una parte della verità, che non sarà mai completata; ogni atomo-attimo del cosmo conosce e crea quello successivo; ogni atomo-attimo del cosmo conosce il risultato di tutte le equazioni e crea, da sé, il proprio Altro Sé, che a sua volta, creerà un Altro Sé; ogni atomo-attimo conosce il suo fato, la nostra mente no, meglio: ignora (forse, si spera) che sa.
Il quarantatreesimo racconta pezzi di fiaba che fanno transitare al successivo capitolo.

Nel quarantaquattresimo: “Se le forme sono forme di forme di forme, e se le forme sono ordine, e l’ordine è definito da noi (che definiamo i macrostati), e dall’Universo (che sta alla base dell’ordine), quelle forme non sembrerebbero allora esistere in sé e per sé. Sembrerebbe che esistano soltanto perché create da noi e dall’Universo, e in relazione a queste due cose. Come direbbe il Buddha, esse sono vuoto.”; forse il Buddha differenziava fra sé e l’Universo?
Nel quarantacinquesimo: l’esistenza è informazione, e…?; atomi e teoremi sono fatti di informazione, e…?; la matematica traduce la fisica, così com’è osservata, e la fisica ridiventa teoria tradotta, e…?
Nel quarantaseiesimo: ci si chiede quanto e se la fisica sia la scienza fondamentale. Credo di sì: così la pensavano i più antichi filosofi, che erano detti fisici; Stephen Hawking (in Breve storia del tempo) riporta una frase di Wittgenstein: “L’unico compito restante per la filosofia è l’analisi del linguaggio.”; già dai tempi di Fermi, si parlava di Fisica Superiore; questo attributo non è di tutte le scienze; quando Fleischmann e Pons stupirono il mondo per la scoperta della fusione a freddo, per poi scoprire che i loro calcoli erano inficiati da errori, il premio Nobel Rubbia disse che i due non erano scienziati, correggendosi in un secondo tempo, peggiorando la gaffe: “i due non erano fisici”; mi pare eccessivo il senso di superiorità che hanno i fisici rispetto agli altri scienziati; non solo: anche dei teorici rispetto agli sperimentali (come scrisse Lederman in La particella di Dio), dei non stringhisti rispetto ai stringhisti, dei non looppisti rispetto ai looppisti; dei non modellisti rispetto ai modellisti; la scienza è la più fenomenale catena di montaggio umana; unico enorme dubbio: quale compito specifico ha oggi la filosofia?
Nel quarantasettesimo: la massa delle informazioni “si combina con il processo storico creativo che genera ordine nel corso del tempo per formare”: la struttura “complessa dei viventi a livello fisico, mentale ed emotivo.”; non v’è nulla tra le macchine umane che possa reggere il confronto con i meccanismi biologici; si sottolinea il valore delle emozioni: “difficile immaginare qualcosa di più prezioso, profondo o complesso”.
Nel quarantottesimo: la legge preesiste al mondo?; la legge fonda il mondo?; la legge comprende il mondo?; la legge esiste?; la legge è?; non si cita l’eventuale Legislatore.
Nel quarantanovesimo: illusione o realtà?; la forma è “costituita da un insieme complesso di rapporti e di costrutti, che si sono evoluti insieme a noi e a molte altre cose e forme.”; ma, attenzione: se “la forma è il vuoto”, ne consegue che “il vuoto è la forma”; una frase notevole, più delle altre, tutte ricche di sapienza: “le categorie che chiamiamo oggettivo e soggettivo non andrebbero ritenute due facce della stessa medaglia, ma due estremi di uno specchio continuo.”; ego, qui, ora; id: là, con le sue metriche ed equazioni; in mezzo quel mondo, che viene descritto dall’autore in un modo così pregnante che mi fa comprendere che questo non è soltanto un libro di divulgazione fisica, è un’opera letteraria di grande valore. Resta insoluta, almeno per me, la domanda che Hilary Putnam si pose in Ragione, verità e storia: quanta certezza ho che il mondo esterno esista fiori dalla mia vasca mentale?
Nel cinquantesimo, l’autore ironizza su quante volte ha “diviso le cose in campi opposti.”; egli pare un appassionato amante dello studio della coscienza individuale e del mondo che, da esterno, si rivolge ad essa; ormai, dopo aver sofferto insieme a lui in queste quattrocentosessanta e rotte pagine, dopo aver letto la seguente frase: “Chi vorrebbe leggere un romanzo o assistere a una tragedia in cui nessun personaggio deve prendere una decisione difficile, combattuto tra desideri contraddittori, e disponendo solo di ipotesi riguardo il futuro?”, reputandolo un amico, a cui mi sento entangled, correlato… well, ti consiglio, caro Anthony Aguirre (Der Zorn Gottes), due libri: Oblómov di Ivan A. Gončarov e La montagna incantata di Thomas Mann; poi mi dirai; nel frattempo ti pongo un quesito: in tutto l’opera non hai sottoposto ad attento esame i due misteri principali della fisica (a parte lo spazio di Planck, al di sotto del quale ogni discorrere è mera speculazione poetica): l’alternarsi di massa/energia, e di particella/onda, arcani che a me paiono estremamente collegati; un giorno mi dirai perché.
Il cinquantunesimo è una poesia bellissima che non è facile da recepire, e di cui non dirò nulla: chi vuole tentare d’interpretarla dovrà individuare la traiettoria che il libro sta ora compiendo inevitabilmente verso il suo stato.

Ringraziamenti: a tutti quelli che hai indicato, aggiungo il mio, caro professore.
Termino e chiarisco: ogni capitolo è stato letto, liofilizzato e commentato con espressioni e ragionamenti personali; ho utilizzato frequenti estrapolazioni, ogni volta comprese tra virgolette, che hanno tentato di illustrare il pensiero di Aguirre; al cui esterno, ho aggiunto, proditoriamente, il mio giudizio; ho pertanto tradotto ed eventualmente tradito il testo originale, fatto, se non giusto, inevitabile allorché si entro nell’orbita di un’opera letteraria che sommuove.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Anthony Aguirre, Zen e multiversi, Raffaello Cortina Editore, 2020