L’isola di Lastovo, da covo dei pirati Narentani a paradiso delle immersioni

“[…] ricominciarono i Narentani le scorrerie nel golfo: a reprimer le quali uscirono sei navi dal porto, comandate da Badoaro Bragadino, che misero a ferro ed a fuoco le loro spiagge, inoltrandosi fino a Lissa e Lagosta. Quindi dalle milizie operato uno sbarco, assalirono, presero e distrussero quelle città, traendone cattivi gli abitanti a Rialto. — Vinti per cotal modo que’ barbari, non però domi, si volsero ad infestar la Dalmazia […]” – Francesco Zanotto

Pagania nel IX secolo secondo De administrando imperio
Pagania nel IX secolo secondo De administrando imperio

Durante il IX secolo, le navi mercantili che risalivano il mare Adriatico venivano sistematicamente attaccate non appena si inoltravano fra i canali delle isole Dalmate. Il panico cominciò a insinuarsi tra i mercanti Veneziani, Greci e Bizantini. Interi carichi ed equipaggi venivano perduti e a Rialto – centro commerciale in piena espansione – cominciavano a circolare le notizie sui responsabili e sui luoghi di questi attacchi: i pirati Narentani dell’isola di Lagosta (Lastovo in lingua croata).

Posta nell’estremo meridionale della Dalmazia, l’isola di Lastovo (Λάδεστον – Làdeston – in greco antico, Ladestanos in illirico, Insula Augusta o Làdesta in latino, Λάστοβαν – Làstovan – in greco bizantino, Lagosta in italiano) è situata 50 miglia a Ovest-Nordovest di Durbrovnik (Ragusa), 60 miglia a Nordest di Vieste e 250 miglia a Sudest di Venezia. Assieme a Sušac (Cazza), Prezba (San Pietro) e Mrcara (Marchiara) forma un arcipelago chiamato Lastovnjaci (Scogli Lagostini), composto da un totale di 49 tra isole, isolotti e scogli.

L’isola è caratterizzata da coste alte e rocciose e da baie profonde nascoste alla vista dei naviganti; è alta circa 400 metri sul livello del mare ed è ricoperta in gran parte da fitti boschi di lecci e pini marittimi. La sua posizione e la sua orografia han fatto sì che fin dall’alto Medioevo Lastovo fosse al contempo un punto di passaggio obbligato per le navi mercantili provenienti da Bisanzio e dall’Egitto che risalivano l’Adriatico inoltrandosi nel dedalo delle isole dalmate, quarnerine e istriane (per un totale di 1246 fra isole, isolotti e scogli), ma anche il principale punto di avvistamento per i pirati Narentani che popolavano l’isola, dei quali ci accingiamo a ripercorrere la storia.

“Nell’anno 889 la ferocissima gente degli Ungari, crudele più delle belve più crudeli, sconosciuta nei tempi passati, tanto da non venire neppure nominata, diedero l’addio alla loro terra e si misero in marcia alla ricerca di nuove sedi dove stabilirsi. Dapprima si procurarono il sostentamento con la caccia e la pesca, ma poi presero a fare continue incursioni e scorrerie. In queste incursioni hanno sterminato migliaia di persone con le frecce, scoccate dagli archi con tanta abilità che è difficilissimo schivarle. Non vivono come uomini, ma come bestie. A quel che si dice, mangiano carni crude, bevono sangue[1], fanno a pezzi e poi mangiano il cuore dei prigionieri, non conoscono pietà.” – Reginone di Prüm

Così l’abate benedettino Reginone di Prüm (Altrip, 840 – Treviri, 915) descriveva nel suo Chronicon[2] la conquista della Moravia da parte degli Ungari, i quali si spinsero sino ai Balcani e al Friuli. Le popolazioni Slave messe in fuga, migrarono verso la Croazia stabilendosi nella regione della Pagania e mescolandosi agli Illiri cristianizzati che popolavano la foce del fiume Narentanus (Neretva in lingua croata, Narenta in italiano) e seguendo la tradizione piratesca dell’antico regno illirico di Teuta[3]:

“Gli Illiri anche nelle epoche precedenti danneggiavano continuamente coloro che navigavano dall’Italia […] I Romani, che nel periodo precedente non prestavano attenzione a chi lanciava accuse contro gli Illiri […] nominarono ambasciatori in Illiria Gaio e Lucio Coruncanii” – Polibio

Lastovnjaci
Lastovnjaci

In breve tempo i pirati Narentani conquistarono il territorio costiero continentale compreso tra Narenta e Spalato, estendendo il loro dominio sino alle isole di Brač (Brazza), Hvar (Lesina), Vis (Lissa), Lastovo (Lagosta), Mljet (Meleda) e Korčula (Curzola), controllando i relativi canali tra le isole e attaccando sistematicamente le navi di passaggio con sortite improvvise dalle rade in cui si nascondevano. Le navi di passaggio non avevano scampo.

“[…] Una porzione di questo popolo detto Narentano, che infestava colle piraterie la sicurezza del mare, mostrò in apparenza di voler pace con la Repubblica, che non lasciava di perseguitare i corsari con navi da guerra, con cui proteggeva i convogli, che andavano in Levante e ritornavano. Fu spedito un messo al Doge da Narenta, il quale fu da lui battezzato dopo aver concluso un trattato di pace. Poco dopo a questa insorgenza, che parea la più felice per il commercio, altra ne nacque, che mise inaspettatamente sossopra tutto lo Stato.
Gli Slavi Narentani, presso a’ quali non v’era fede, né legge, né idea qualunque del comune diritto, non furono tardi á violare quella pace, ch’eglino stessi aveano ricercata per li providi maneggi del Doge.
Mentre un convoglio mercantile navigava da Benevento per restituirsi alla patria, fu assalito da que’ ladroni, che si prevalsero della fiducia, nella qual erano i nostri per li conclusi trattati. I miseri mercanti videro ben tosto i loro legni in mano de’ barbari, i quali non contenti della preda, inferocirono contro gli equipaggi, sicché vivi pochissimi ne rimasero. La tragica nuova portò a Giovanni tristezza e dolore, vedendo perduta ogn’ opera sua per mala fede di quegl’infami pirati.”
– Carlo Antonio Marin

La narrazione del Marin si riferisce ai fatti avvenuti nell’anno 829, quando il doge Giovanni I Partecipazio trattò una pace con i pirati Narentani, ai quali la Repubblica di Venezia destinò un tributo annuale quale lasciapassare per le navi dirette a Venezia. Questa scelta provocò la dura reazione dei mercanti e dei patrizi Veneziani che continuavano a vedere le proprie navi assalite dai pirati con ingentissime perdite. Giovanni I Partecipazio fu deposto nell’836 a seguito di un agguato avvenuto davanti alla cattedrale di San Pietro di Castello. Dopo l’arresto il doge fu costretto a prendere i voti monacali a Grado, città dove morì pochi anni dopo.

I continui scontri con i pirati portarono Venezia a stipulare nell’840 un’alleanza con le città istriane e dalmate grazie all’influenza del doge Pietro I Tradonico, nativo di Pola (in Istria). Con l’aiuto degli Istriani e dei Dalmati venne radunata una imponente flotta che salpò per una spedizione punitiva verso l’area narentana. I pirati guidati dai duchi Mislav e Držislav “[…] tosto spaventati da cotanța forza navale chiesero pace e l’ottennero. Messi a dovere que barbari col terrore dell’armi, assicurata la navigazione dell’Adriatico, fece ritorno alla patria, che grata con sommo onore lo accolse.” – Carlo Antonio Marin

I risultati ottenuti non durarono tuttavia a lungo. Nell’anno 846, i Narentani si spinsero audacemente sino a Caorle e nell’870 furono catturati gli emissari del Vescovo di Grado – di rientro dal Concilio di Costantinopoli.

Secondo lo storico Francesco Zanotto (Venezia, 1794 – Venezia, 3 dicembre 1863), il 2 febbraio del 943 i Narentani si spinsero addirittura ad attaccare la città di Venezia:

“Ed ecco come si narra accaduto il ratto in questione. — Avevano gli antichi Veneziani costume di celebrare la maggior parte de’ lor maritaggi nell’ ultimo giorno di gennaio, festa della traslazione delle sacre ossa dell’Evangelista patrono. — Portavansi quindi le spose nella cattedrale di Olivolo, ed ognuna recava seco una cassettina, appellata anello, contenente la dote. — Dicono alcuni che dodici sole fosser le spose, e queste povere, provvedute dal comune; e ciò sembra verisimile; poiché a qual fine ostentare la dote se di loro ragione, quando in vece, procurata dalla pubblica carità, era bello lo esporla alla vista di tutti, se altro non fosse per eccitare la misericordia del popolo ad assistere le donzelle bisognose. E questo costume di dotare le poverelle che andavano a marito, lo vediamo perpetuamente seguito in Venezia dai sodalizii, dalle consorterie delle arti, e dai ricchi pietosi, che frequentemente legarono in morte oro e terreni all’ oggetto medesimo. — Gli sposi eziandio convenivano nella cattedrale, ove dal vescovo si benedivano e si univan le coppie alla presenza di tutto il popolo. — Non era ignota ai Triestini, o, come altri vogliono, ai corsari Narentani, ceremonia siffatta; per cui, spinti dalla cupidigia del ricco e quasi sicuro bottino, audacemente s’introdussero nella capitale, e nell’ alla notte appiattaronsi retro le ortaglie ed i folti oliveti, di cui era cinta, a que’tempi, l’isola d’ Olivolo[4]. — Giunto quindi l’istante in cui le donzelle, entrate cogli sposi nel tempio, attendevano alla pia ceremonia, sbucati all’ improvviso fuori delle barche loro que’ ladroni, penetrarono, colle armi in pugno, nel sacro recinto, ferendo e uccidendo chiunque faceva lor resistenza, e ne rapirono spose, uomini ed averi, il tutto recando ai lor navicelli, ed a voga arrancata spingendoli fuori delle lagune, presero (erra a’lidi di Caorle, nel luogo che poscia, per colai fallo, assunse il nome di Porto delle donzelle[5]. — Sennonché, subitamente adunarono i Veneziani uomini ed armi, e saliti su quante barche bastavano all’uopo, volarono a prender vendetta dell’atroce misfatto; e si la ottennero, che, trovati que’ ladroni nel porto accennalo nel punto che fra lor dividevansi il male acquistato bottino, lo assalirli improvvisamente, lo sgominarli, l’ ucciderli, il dare alle fiamme il loro navile, il ricuperare il perduto, fu l’opera di breve ora.”

Questo evento prese il nome di “ratto delle donzelle” e oggi fa parte più del folklore veneziano che della storia; il dato riportato è in discordanza infatti con quanto scriveva nel 1799 il patrizio veneziano Carlo Antonio Marin in “Storia civile e politica del commercio de’ Veneziani”, nel quale attribuisce il fatto a briganti triestini giunti con piccole imbarcazioni. L’intera faccenda appare più come un pretesto per rompere i patti sanciti coi pirati e attaccare militarmente le isole dalmate in via definitiva.

Ne conseguono infatti le due spedizioni di Pietro III Candiano del 948:

“[…] passati sei anni del suo Dogado, essendo divenuti troppo molesti i Narentani colle loro piraterie, fu presa massima di sterminarli. Vennero in breve tempo approntate trentatré navi deţte Gumbarie, equipaggiate di scelta gente e dirette da due comandanti Pietro Orseolo, ed Orso Badoaro. Nella prima spedizione la Veneta flotta se ne tornò indietro inoperosa, ma nella seconda fu costretto il nemico a chieder pace, che venne accordata.” – Carlo Antonio Marin

Doge Pietro II Orseolo
Doge Pietro II Orseolo

Le due spedizioni del Candiano non ebbero il gran successo che attendevano i Veneziani, nonostante siano state elogiate dagli storici e la storia dei pirati Narentani troverà un epilogo solo dopo le spedizioni del doge Pietro II Orseolo che tra il 996 e il 1000 li sconfisse a Lissa (Vis), Curzola (Korčula), Cazza (Sušac) e Lagosta (Lastovo):

“[…] a tali opere di pace dovette far succedere Pietro imprese di guerra possenti, per le quali divenne il suo nome famoso, e quello della patria volò di bocca in bocca, e salì a gloria splendidissima non mai fino allor conseguita. — La prima azione guerresca di Pietro fu di abbassare la prepotenza degli Slavi-Narentani, da loro esercitata sul mare; a porre rimedio alla quale non avevano veduto altro mezzo i di lui antecessori, che quello di pagare a’ que’ pirati certo annuo tributo, incominciato forse dopo la morte di Pietro IV Candiano. — A liberarsi da quella vergognosa soggezione, l’Orseolo, tosto eh’ ebbe assodate le cose, ordinò la sospensione di quel tributo; lo imperché ricominciarono i Narentani le scorrerie nel golfo: a reprimer le quali uscirono sei navi dal porto, comandate da Badoaro Bragadino, che misero a ferro ed a fuoco le loro spiaggie, inoltrandosi fino a Lissa, Quindi dalle milizie operato uno sbarco, assalirono, presero e distrussero quella città, traendone cattivi gli abitanti a Rialto. — Vinti per cotal modo que’ barbari, non però domi, si volsero ad infestar la Dalmazia, sicché, oppressi quei popoli, invano sperando aiuto dall’ impero orientale, invocarono la protezione de’ Veneziani, coi quali erano stretti dai vincoli di alleanza, e in qualche modo di obbedienza, pei soccorsi altre volte da essi ottenuti.

Messosi quindi il doge d’ accordo colla greca corte, fece allestire trentaciuque navi da guerra, e queste armò con moltitudine di milizie, prendendo egli stesso il comando; e quindi sciogliendo dal porto il dì deli’ Ascensione dell’anno 998. — Visitò dapprima Grado, ove ricevè da quel patriarca, Vitale IV Candiano, un vessillo benedetto[6], indi accolse in Parenzo ed in Pola le dimostrazioni di fede da que’ cittadini. Volò indi a Cherso e ad Ossero, le quali pacificamente gli si sottomisero; e dopo di avere, in questa ultima terra, celebrata la festa della Pentecoste, recavasi a Zara, a Veglia e ad Arbe a ricevere le testimonianze di fedeltà e di obbedienza.

Alla vista della veneta flotta impaurì Murcimiro, o, come altri vogliono, Dircislao, re degli Slavi-Croati, e cercò invano la pace; chè il doge affrontava l’oste avversa per siffatto modo che tutto il navile di lei cadeva in sue mani. — Per la qual cosa spontanee si diedero a lui le isole di Lunga, di Coronata, di Levigrad, di Belgrado, ed altre molte di cui è sparso quel mare. In Traù venne ossequiato da Suringa, da altri nominato Cresimiro, fratello del re degli Slavi-Croati, il quale implorò dall’ Orseolo assistenza e protezione contro il feroce parente, che espulso lo aveva dal regno. — Quindi inoltrossi il doge a Salona con felici e non contrastati successi. — Se non che, alcune tribù slave che occupavano le isole di Cazza e di Lagosta, preparavansi a resistere colle armi. Via i loro preparativi non isbigottirono punto l’animo dell’Orseolo, che attaccò ben tosto Cazza, e, dopo fiera pugna, se ne insignoriva: attaccò Lagosta, e fu ivi battaglia più tremenda e crudele; ma, vinta anche questa, vennero gittate a terra le mura e le torri di quella città. La quale vittoria rese facile la conquista del continente slavo tutto quanto: operata la quale, si raccolse il doge con l’intera sua oste nella città di Spalato, ove ricevette l’omaggio di sudditanza dell’intera Dalmazia. — Il dominio adunque della Repubblica allora si estese per quasi trecento cinquanta miglia dall’ Istria sino a Ragusa. Lo imperché, ripatriatosi Pietro, e raccolta la nazionale assemblea, dopo di avere ad essa narrato il tenore della sua spedizione, venne dalla medesima acclamato, nella ebbrezza di sì gloriosa vittoria, doge di Venezia e della Dalmazia, statuendosi eh’ egli ed i suoi successori si recassero ogni anno il di dell’Ascensione al Lido come in segno di dominio sul mare; cerimonia che divenne ancor più solenne e prese nome di Sposalizio del mare, a’ tempi del doge Sebastiano Ziani.” – Francesco Zanotto

Il 9 maggio dell’anno 1000, dopo ripetute richieste di aiuto da parte delle popolazioni vicine alla foce del Narenta, il doge Pietro II Orseolo salpò a capo di una grande flotta verso l’isola di Lissa con un obiettivo ben preciso: debellare i pirati una volta per tutte.

Per la prima volta fu issato a bordo di una nave veneziana il gonfalone di San Marco[7] con il beneplacito dell’Imperatore di Bisanzio e la benedizione del Patriarca di Grado, i quali con questo gesto riconoscevano a Venezia una sua indipendenza.

La spedizione di Pietro II Orseolo portò alla cattura di numerosi ostaggi, che furono condotti a Venezia e liberati a costo di pesanti concessioni, tra cui la cessazione dei dazi che Venezia versava annualmente ai pirati e la garanzia di transito sicuro per le navi mercantili.

Island of Lastovo - Photo by Welcome to Croatia
Island of Lastovo – Photo by Welcome to Croatia

Solo le due isole di Sušac (Cazza) e Lastovo (Lagosta) resistettero ai Veneziani: le due roccaforti furono conquistate a seguito di duri combattimenti e Lagosta, porto principale dei pirati, fu rasa al suolo.

I Narentani furono definitivamente inglobati nei territori controllati dalla Serenissima. I Bizantini e il Patriarca di Grado riconobbero a Pietro II Orseolo il titolo di Dux Veneticorum et Dalmatianorum (doge dei Veneti e dei Dalmati).

Nonostante questa dura sconfitta, i Narentani continuarono nei loro atti di pirateria tanto che il papa Onorio III, nel 1221, indisse una crociata contro questa popolazione.

La lotta dei Narentani contro Venezia si riaccese sino al 1278, anno in cui i pirati persero tre delle loro isole: Brač (Brazza), Hvar (Lesina) e Vis (Lissa); infine Venezia (giunta all’apice della sua potenza) riuscì a conquistare la roccaforte di Omiš (Almissa), sulla costa continentale, nel 1444.

Diverso fu invece il destino dell’isola di Lastovo, che a partire dall’XIII secolo fu data in feudo ai Cavalieri Templari di Vrana (Aurana), i quali non presero mai fisicamente possesso dell’isola. Questo fatto permise ai Lagostani di dedicarsi spontaneamente alla Repubblica di Ragusa nel 1252.

Dedizione che perdurò sino al 1808, quando la Repubblica di Ragusa cadde sotto la spinta espansionistica di Napoleone Bonaparte, la cui flotta invase Lastovo, che rimase sotto dominio francese sino al 1813 e sotto quello inglese per i due anni successivi alla caduta di Napoleone Bonaparte.

Dopo il Congresso di Vienna del 1815, l’isola di Lastovo passò sotto dominio austriaco sino alla fine della Prima Guerra Mondiale, a seguito della quale l’isola passò sotto il Regno d’Italia sino al 1943, anno dell’Armistizio.

Dal 1944 Lastovo passò sotto il governo del Maresciallo Tito[8], entrando a far parte della Jugoslavia e l’isola divenne un presidio militare a seguito del quale rimase interdetta ai visitatori sino al 1990. Dal 1991 è entrata a far parte della Repubblica di Croazia.

Questa interdizione ha fatto sì che l’isola sia rimasta poco antropizzata. La sua popolazione è di appena 835 abitanti, di cui 792 vivono nello storico villaggio di Lastovo.

Contrariamente a quanto farebbero supporre le vicine isole, Lastovo non sorge sul suo porto: il borgo si trova nascosto nell’interno dell’isola da un anfiteatro naturale formato da una catena montuosa che forma la costa settentrionale dell’isola stessa.

A valle del villaggio, ben esposta al sole e riparata dai forti venti, una fertile pianura coltivata garantisce ancora oggi l’autonomia alla popolazione per quanto riguarda i prodotti agropastorali.

Oggi il borgo di Lastovo è rinomato per le chiese del XII, XIV e XVI secolo, tra cui la Chiesa di San Biagio del XII secolo, la Cattedrale dei SS. Cosma e Damiano del XIV secolo e la chiesa di Santa Maria, del XVI secolo) e per le abitazioni caratterizzate dai “fumari– i tipici comignoli dalla forma a minareto.

Lastovo - Photo by Welcome to Croatia
Lastovo – Photo by Welcome to Croatia

Questi comignoli hanno la doppia funzione di far circolare l’aria nelle case espellendo l’umidità e di disperdere il fumo grazie al particolare ricircolo d’aria che generano, rendendo così il villaggio non individuabile dal mare. Sull’isola ne sono stati censiti un centinaio (sono inseriti fra i beni del Patrimonio Culturale Croato e sono soggetti a particolare tutela), alcuni dei quali mostrano sulla sommità dei palchi di corna stilizzati o delle gargolle in terracotta con funzione scaramantica.

L’isola è raggiungibile unicamente via mare col traghetto da Spalato o col catamarano da Curzola, che attracca al villaggio di Ublie, nella rada di luka Velji Lago (Porto Lago Grande), situato sulla costa occidentale dell’isola, mentre i principali nascondigli dei Narentani erano costituiti dalla Skrivena Luka (Porto Nascosto), un profondo e ampio porto naturale nascosto nella più ampia rada di Porto Rosso, a Sud dell’Isola; il secondo nascondiglio era situato nella rada di Zaklopatica (Porto Chiave), a settentrione dell’isola nel canale tra Lastovo e Korčula (Curzola), celata dalle alte montagne della costa settentrionale e da un isolotto (Otok Zaklopatica).

La terza rada si trova a occidente di Zaklopatica ed è costituita da Luka Malo Lago (Porto Lago Piccolo), separata da Luka Velji Lago da uno stretto canale poco profondo dove oggi sorge il ponte di Pasadur (guado), che unisce l’isola di Lastovo all’isola di Prezba (San Pietro).

Per chi giunge con la propria imbarcazione, nella rada di Zaklopatica esiste una banchina in pietra attrezzata, dove si possono trovare acqua potabile e corrente elettrica lontani dal trambusto del traghetto di Ublie.

Il pontile è gestito dalla cooperativa peschereccia, che dispone di circa 5 posti barca sino a 24 metri di lunghezza. La disponibilità degli ormeggi dipende dalla presenza o meno dei pescherecci locali.

Due diving center (uno a Zaklopatica, il secondo a Pasadur) offrono la possibilità di esplorare i fondali incontaminati dell’isola (uno dei punti di immersione più belli è l’isolotto di Bijelac), ricchi di fauna e di relitti di ogni epoca, con la possibilità di raggiungere le isole di Sušac e Palagruza coi loro magnifici fondali. Richiedendo una licenza temporanea è possibile praticare la pesca sportiva.

Per gli amanti dell’escursionismo e della mountain bike, numerosi sentieri e la scarsa presenza di automobili consentono di effettuare escursioni in serenità e la presenza di ben cinque caverne dolomitiche – Raca, Puzavica, Pozalica, Grapceva e Medvidina – assicurano soddisfazione agli appassionati di speleologia.

I ristoranti locali offrono la possibilità di gustare la cucina tipica dalmata, a cui si aggiungono l’astice e l’aragosta, abbondantissimi nei profondi fondali attorno all’isola.

Faro di Punta Struga - Photo by Welcome to Croatia
Faro di Punta Struga – Photo by Welcome to Croatia

Per chi cerca un alloggio originale e romantico, il Faro di Punta Struga, uno dei più antichi e imponenti dell’Adriatico, oggi ospita degli alloggi turistici che vengono affittati per brevi periodi. Si trova a 11 km dal paese di Lastovo e altrettanti da Ublie in una delle zone più selvagge dell’isola.

Un’ultima curiosità sull’isola di Lastovo è il Poklad, un evento folkloristico che si svolge durante il Carnevale e rievoca il passato piratesco e battagliero dell’isola.

La leggenda a cui è legato il Poklad narra di un assedio (avvenuto forse verso la metà del 1400) da parte dei corsari Catalani (allora in guerra contro Venezia) all’isola di Curzola. Un messo venne inviato a Lastovo per imporre agli isolani la resa senza condizioni.

Le donne e i bambini rifugiatisi presso la chiesa di S. Giorgio, pregarono per l’intercessione del santo-guerriero. Complice un colpo di bora o di scirocco la flotta nemica venne dispersa dalla mareggiata e i Lagostani catturarono il messo. Dopo un processo sommario, il malcapitato messaggero venne caricato in groppa a un asinello col viso rivolto verso la coda dell’animale. Dopo essere stato condotto in scherno per tutti i villaggi dell’isola, il prigioniero fu arso vivo su una pira nella località di Donja Luka.

Dall’epoca, ogni anno in concomitanza col Carnevale, si rievoca il Foklan’ (dal dialetto veneto-dalmata che indica il rogo) o Poklad (in lingua croata e in lingua bosniaca significa portare-condurre). Al suono di una lira, gruppi di uomini vestiti con gli abiti tradizionali e armati di spade danzano e conducono per l’isola un fantoccio posto in groppa a un asinello. Durante la marcia Intonano un canto folkloristico che rievoca i fatti: “Podiglo se malo četovanje” – “un gruppo di uomini andò in battaglia” intervallato dal grido: “Uvò! – Uvò! – Uvò!” – “Udite! -Udite! -Udite!”[9]

I racconti carnevaleschi si perdono nel folklore e non ho trovato traccia dell’evento in particolare quanto piuttosto di una serie di incursioni catalane non meglio precisate. Tuttavia, nell’Archivio di Curzola sono custoditi gli atti di un processo avvenuto sull’isola nel giugno del 1444-1445, presieduto “ad bancum iuris” da Marco Gradenigo insieme con ser Stanoje Obradović, giudice minore, ser Marin Žilković e ser Giacobbo Criacobi, ambedue giudici maggiori[10].

Gli atti fanno riferimento alla condanna di un contadino per aver rifiutato di lanciare un allarme riguardo all’arrivo dei pirati catalani la notte del 13 maggio dello stesso anno. Il gesto è legato ad una rivolta dei contadini verso il patriziato curzolano che era in corso da diversi anni (queste rivolte perdurarono sino alla fine del 1600; alleati e invasori variavano continuamente nella lotta per l’indipendenza di Curzola e Lagosta) e che era guidata da Zuanin Dragačić. Ne seguono diversi fatti di sangue e l’ordine di arresto nei confronti del capo rivolta.

Gli atti del processo riportano l’esclamazione di Dragačić quando le guardie giunsero al villaggio di Čara, roccaforte dei rivoltosi, il capo dei rivoltosi armato di arco e frecce e forte suo seguito di ribelli armati gridò:

“Quis est ille filius putanae qui vult prendere nos? Si ad me veneritis, nemo de vobis reverteretur”[11]– Zuanin Dragačić

“Chi è il figlio di puttana che vorrebbe prenderci? Se vi avvicinerete, nessuno di voi farà ritorno” – Zuanin Dragačić

Oggi il “kapo” – in testa alla truppa di figuranti in armi – marcia col fantoccio del prigioniero sino al municipio di Lastovo, dove incontra il sindaco per dare il via alla rievocazione:

Hum - Photo by Welcome to Croatia
Hum – Photo by Welcome to Croatia

Kapo: Signor Sindaco di Lastovo! La compagnia del Poklad è schierata e pronta. Per favore, dacci il tuo consenso per eseguire questa usanza secolare. Condurlo [Poklada – portarlo, riferito al fantoccio] per le strade di Lastovo, per udirlo tre volte e bruciarlo stasera sul rogo.

Sindaco: Caro Kapo, cari pokladari! In questo giorno, Martedì Grasso, hai un grande onore ma anche una grande responsabilità e l’obbligo di promuovere i costumi culturali, storici e tradizionali dell’isola di Lastovo, promossi per anni e secoli dai tuoi predecessori; visitando Lastovo e visitando le case che ti ospiteranno fino a Donja Luka e all’atto finale sul rogo. Rallegrati insieme alla gente di Lastovo e agli ospiti che visitano l’isola in questa occasione.

Ti chiedo anche di comportarti in modo responsabile e appropriato, come si sono comportati i tuoi predecessori.

Kapo, ti do il consenso per guidare la compagnia a svolgere il suo compito.

Kapo: Grazie, signor Sindaco. Capobanda, puoi dare il via! [12]

 

Written by Claudio Fadda

 

Note

[1] L’espressione si rifà al linguaggio simbolico dell’area balcanica medievale, legato a espressioni di odio personale verso il nemico: lo ritroviamo negli atti delle rivolte dei contadini curzolani verso il patriziato veneto-dalmata della metà del 1400: al rientro del loro capo Dragačić, i contadini dichiararono di voler mangiare le carni e bere il sangue dei patrizi: “se facturos carnes de multis aliis et bibere de eorum sanguine”. alcuni anni più tardi, una donna patrizia promise una ricompensa a chiunque le avesse portato la carne di Dragačić: “una zintildonna de Curzula ha dito che la manzava lire una de le mie carne ruste chi le dessi […]”. La frase fu poi riutilizzata ad hoc per descrivere il temperamento sanguinario dei pirati Uscocchi nel XVIII secolo.

[2] Si pensa che il Chronicon sia stato composto per Ludovico IV il Fanciullo, l’ultimo re Carolingio della Franconia Orientale.

[3] Regina degli Illiri: fu sconfitta nel 230 a.C. dalla flotta romana.

[4] San Pietro di Castello.

[5] Oggi Porto Santa Margherita.

[6] Il Gonfalone di S. Marco.

[7] La bandiera col leone dorato su campo rosso.

[8] Josip Broz Tito (Kumrovec, 7 maggio 1892 – Lubiana, 4 maggio 1980).

[9] Fonti: Istituto Etnologico e Folkloristico di Croazia: https://www.ief.hr – progetto “Sward Dances” https://macevni-plesovi.org/en/.

[10] Centro Tedesco di Studi Veneziani, a cura di Uwe Israel e Oliver Jens Schmitt – Venezia e Dalmazia – Venezia, 2013.

[11] Državni arhiv u Zadru (Archivio storico di Zara). Arhiv Korčule (Archivio di Curzola = DAZ, AK); 10/13/1, f. 47v-56r.

[12] Testo originale in lingua croata (fonte: https://www.youtube.com/watch?v=XOgD5uQJft4):
Kapo– Gospodine načelniče općine Lastovo! Četa pokladarska je postrojena i pripravna. Molimo Vas da nam date privolu da obavimo danas ovaj vjekovima stari običaj. Da ga (Poklada) provedemo Lastovskim škalinima, ulicama, da ga tri puta cujamo i da ga večeras na Docu izgorimo.

Nacelnik– Poštovani kapo, poštovani pokladari! Na današnji dan, pokladarski utorak, imate veliku čast ali isto tako veliku odgovornost i obvezu da promičete kulturne, povjesne i tradicionalne običaje otoka Lastova, onako kako su to godinama i vjekovima promicali vaši prethodnici, obilazeći mjesto Lastovo i  posjećujući kuće vaših domaćina sve do Donje Luke i završnog čina ovdje na Docu. Veselite se skupa s našim Lastovcima a i gostima koji ovom prilikom pohode otok Lastovo.

Isto tako tražim od vas da se odgovorno i primjereno ponašate, onako kako su se ponašali vaši prethodnici.

Kapo, dajem vam privolu da povedete svoju četu da izvrše svoju zadaću.

Kapo– Hvala gospodine načelniće. Kolovođo možete početi.

 

 

Bibliografia

Blatta di Curzola – Compendio storico dell’isola di Curzola – Tipografia G. Woditzka, Zara – 1858

Carlo Antonio Marin – Storia civile e politica del commercio de’Veneziani – Stamperia Coleti, Venezia -1799

Francesco Zanotto – Il Palazzo Ducale di Venezia illustrato – Privileggiato Stabilimento G. Antonelli, Venezia – 1858

Polibio – Storie, II – Ed. Rizzoli, Milano – 2002

Reginone di Prüm – Chronicon – manoscritto del IX sec.

Silvino Gigante – Venezia e i pirati del mare Adriatico – Ed. Dario de Bastiani, Godega di S. Urbano – 2010

Centro Tedesco di Studi Veneziani, a cura di Uwe Israel e Oliver Jens Schmitt – Venezia e Dalmazia – Stampato da Viella srl in Roma – 2013

 

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Un pensiero su “L’isola di Lastovo, da covo dei pirati Narentani a paradiso delle immersioni

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