“Tra il silenzio e il tuono” di Roberto Vecchioni: un romanzo epistolare atipico
Recensione de Tra il silenzio e il tuono.
Roberto Vecchioni mi ricordo di averti sentito cantare gratis in Piazza Vallisneri, alcune decine d’annetti fa, non ricordo se fosse il primo maggio o che. Ero con il mio amico Onorio, erano le venti o circa di sera. Non esistono le venti di mattina, sai? Ho sempre amato far incrociare gli amici tra di loro, presentandoli l’un l’altro, per poi magari farmi in disparte. L’amicizia è una specie di three-four-five.etc-some.
Sto pensando ad Amico è di Mario Baldan Bembo, al testo di Sergio Bardotti, ma anche alla melodia, alla voce di Mario e di Caterina Caselli: È, l’amico è/qualcosa che più ce n’ è meglio è…
Tenendo pur presente che odiavo andare a scuola, per un sacco e una sporta di motivi, sento che non mi sarebbe spiaciuto averti come prof. Non siamo neanche troppo distanti come età.
L’unica cosa che non mi piace di te, o meglio: la cosa che meno mi piace di te è che sei, come Onorio, interista. Di solito voi nerazzurri, amate narrare di storielle dove siete vincitori. A me ciò non gusta troppo. A me basta essermi comportato in modo eroico. Una volta ti darò un saggio esplicativo di tutto ciò. Anche altri due miei amici sono interisti: Tonino e Silvano. Come vedi non sono razzista. Del resto non è colpa vostra se siete tifosi della squadra più vincente di Milano.
La squadra che ha più vinto in Italia è la Juve. La squadra che ha vinto di più in Europa è il Real Madrid. Se dai un occhio ai vari palmares, la squadra che ha vinto di più nel mondo è la seconda squadra di Milano. Tutto il resto è doxa. Anna Oxa, la maggiore cantante italiana con cittadinanza albanese.
Sto pensando all’avvertenza che Silverio Scognamiglio ha posto quale esergo del suo romanzo Storia del mio nome: “Le persone descritte in questo romanzo sono tutte esistenti o esistite e i fatti narrati sono tutti realmente accaduti, tranne quelli che ho inventato.”
L’avvertenza che leggo nelle prime pagine de La casa degli sguardi di Daniele Mencarelli così recita: “Questo romanzo è frutto dell’immaginazione gli eventi di cronaca e i personaggi realmente esistenti o esistiti sono trasfigurati dallo sguardo del narratore. Per il resto, ogni riferimento a persone e fatti reali è da ritenersi causale.”
Ora, caro Roberto Vecchioni, ti devo lasciare, ché devo commentare il tuo libro Tra il silenzio e il tuono. Ma prima ti do la mia prima e ultima lezione di vita, nel senso che è la principale e pressoché unica: È, l’amico è/ qualcosa che più ce n’ è meglio è/ è un silenzio che vuol diventare musica/da cantare in coro io con te.
Come quella che c’è fra te e quell’Andrea, tifoso del Milan e di Buffon, come tu lo sei di Giorgio Ghezzi. Pensa però a quel fatto irrefutabile: entrambi i portieri hanno giocato sia nel Milan che nell’Inter (anche nel Genoa). Come vedi tutto il mondo è la medesima squadra d’umani (umani umani, come direbbe il narratore-filosofo Björn Larsson).
Ho appena finito di leggere il tuo libro Tra il silenzio e il tuono, “che non è un romanzo epistolare come gli altri…” – come avverte nella fascetta il curatore.
E che è?
Tra il silenzio e il tuono è un romanzo epistolare atipico, è un romanzo epistolare, è un romanzo. È un. Come quella poesia di Thomas S. Eliot che finisce così: “Dio è un” I punti finali in inglese sono detti pieni: full stop! Meglio rimandare la consegna del tema, che ne dici?
In soldoni (non in bitcoin, per carità!): il primo io scrivente si rivolge sempre al nonno, le sue lettere sono datate e circostanziate al momento che sta vivendo, crescendo.
Il nonno scrive a personaggi famosi, che forse (da fors-fortis) conosce (trattandoli da familiari, o da solidali, o da antagonisti), ma non al pur celebre nipote. Il suo tono varia a seconda dell’interlocutore. A seconda dei casi è presuntuoso, confidenziale, scondito, amabile. Più dispari che pari, però.
Tiro fuori subito la mia geniale intuizione (non so come mi vengano): si tratta della stessa persona che, a un certo punto della sua vita, s’è scordato di avere avuto un nonno e di datare e circostanziare la sua esperienza umana. Tiremm innanz!
Il primo lo chiamerò R., il secondo sarà, per la fiction della mia reazione, V.
Una fiction su una fiction rischia a volte di diventare realtà concreta e oggettiva. Uno schermo, una tastiera, un paio di dita (non di più) che si agitano freneticamente su quella tastiera: sono tutte amene realtà, come reale (e attestato scientificamente) è il doppio dentone di uno smilodonte. R. scrive, a pagina 11 de Tra il silenzio e il tuono: “Io, però, lo sai, sono interista.” – non c’è niente di male nel non apparire migliore di quel che realisticamente sei, tranquillo.
A pagina 16, scrivi: “In latino e in italiano vado molto bene, ma il latino è facile, perché già so il greco…” – come dire, il judo è semplice, perché già conosco il kung fu.
Ti senti legato a quell’Andrea, un tipetto che “teneva ai valori e ci teneva di brutto”: entrambi siete portieri, leggermente anarchici, protettori della vostra porta e di poc’altro. Alla vostra età, o poco dopo forse, mi definii anarchico familiare. Non credevo nello Stato, nella Potenza socio-politico-economico-militare. Per me contavano i miei familiari. Qualcosa di simile a una rete da difendere. Ergo: ti capisco. Ma in campo io amavo essere colui che trafiggeva il nemico: contraddicendomi! La differenza principale fra me milanista e te interista, è che tu parli soprattutto delle vittorie, io delle sconfitte: ti ricordi quel 6 a 5 nel derby del ‘49? Io sì, anche se non ero ancora nato. Mi brucia ancora quel 3 a 2 con cui il Bologna in casa piegò il Milan, con Rivera azzoppato a metà del primo tempo. Dopo la qual giornata di campionato voi nerazzurri vinceste lo scudetto.
Avevo 13 anni, tu qualcuno di più. Il mio amore mi riarse come nemmeno il fuoco con qualche santo e filosofo poté mai.
A volte ex-agero nelle similitudini, lo ammetto.
In una lettera scritta All’esimio professor Pierfranco Cavallotti, leggo “chiedo arimortis” – lo si dice anche da te, caro V.? Arimortis. Arivivis!
Una cosa noto (non mi esce l’ernia a farlo). Tu, R. cresci lettera dopo lettera. Tu, V. no. Sei il solito supponente, a volte assai geniale. A volte, non spesso. Poco vari. Sei stabile. Non immoto, però.
Tralascio di commentare il tuo tema-poemetto allegorico che inizia a pagina 53. In privato ti dirò il perché.
No, non t’invidio. Ho attestato quanto noi due siamo diversi, non solo per la squadra del cuore. O per la scuadra del quore, che mi suona meglio.
Caro il mio V., sei molto teorico quando spari ‘sta mezza verità, a pagina 71: “Il primo a cannare fu proprio Euclide…” – il quale ha avuto la disgrazia di vedersi attribuire dei teoremi che poi dovetti gioco forza imparare a memoria al liceo, senza capirli troppo. E poi: “Il pastrocchio di Euclide e soci è voler trasferire l’ideale nel reale.” – cos’era, una cooperativa sociale? Le idee dove caspita stanno, se non nel realissimo cervello.
Sono soltanto illusioni? E allora?
Prova a chiedere all’ilare Putnam se ha risolto il suo sempiterno busillis: davvero esistiamo o si è tutti dei meri cervelli immersi in una vasca da bagno, tipo Matrix?
“La matematica è meravigliosa, io ce l’ho con Lei, insulso, limitato, spocchioso, infelice promotore di un mondo dove…” – okay, passiamo oltre.
Povero Annibale Scannavino. A me già quel suo cognome non mi dispiace. Ma esiste sul serio?
Nel Febbraio 1967, a te, R., scappa la prima vecchionata: “… nebbia ovunque, come avessero messo dei materassi alle finestre…” – che non sarebbe spiaciuta a Lucio Dalla. Vi conoscevate, immagino…
Intanto, tu, V., ne spari una delle tue: “… perché Dio è onnipresente, onnipotente, onnisciente. Ma è anche sordo.” – epicureo? O miracolosamente ipoacusico, stante la vecchiaia?
Tu. R., cominci a prendere coscienza dei tuoi mezzi (e dei tuoi limiti): “Ho scoperto di essere un fingitore nato: non butto giù quel che sento, ma quello che può sentire chi mi ascolta…” – ma forse anche per te è come per i veri autori: butti quel che senti e poi lo adatti al fruitore (termine che fa schifo, lo ammetto).
“… è puro disimpegno, se anche fallisco un testo non fallisco io.” – no, ci rimani solo di feci.
Ora tu, V., a pagina 87 parli “di Goethe e compagni…” – non pensavo fossero bolscevichi.
All’inizio di pagina 101 de Tra il silenzio e il tuono caro il mio R, scrivi che “le parole erano canto” – secondo molti furono i fringuelli e compagnia cantando a ispirare il primo homo non afarensis.
Alla fine di pagina 102, mi costruisco una teoria decisamente falsificabile: da te, V., imparo di più; da te, R., imparo meglio: ascoltandovi sempre con attenzione.
Scrivi, R., che “… Il futuro è poi pura illazione…” – mentre “… Il presente non lascia tracce…” – per cui non ti rimane che da esaminare il passato. Se ne avessi voglia, ti parlerei della teoria che Frank. J. Tipler azzardò in La fisica dell’immortalità o del concetto del filo con su stesi gli stati del Kósmos, facendo riferimento stavolta a Julian Barbour (leggi, se vuoi, il suo The end of time).
Ma stamattina sono indolente, oppure vado di fretta, che è quasi la stessa cosa.
Parli dell’amore, e della sua “finzione”: io mi trovavo lì per caso, che poi divenne un casino.
Quel che tu, V., scrivi All’ingegner Francesco Dolcino (chissà se ha del buon vino in cantina) mi fa venire in mente L’amore e l’occidente di Denis de Rougemont. La passione nasce dall’assenza, dalla mancanza, che pare colmarsi per una sorta di miracolo. Ogni portento ha il suo limite, agendo in questa fisica volatile: sparisce dopo un po’. Più è grande e più rischia, prima si smorzano i suoi gradi di libertà: così è per le particelle maggiormente massive, si dice.
Molto bella, intrigante, la descrizione che fai, R., della genesi di Samarcanda! Te la sentii cantare in quella piazza, nella mia Reggio.
“Ogni volta che salgo sul palco, nonno, ma proprio ogni volta, che saranno più di quarant’anni, ho paura…” – e te lo sussurri, mi sa, ogni qual volta ti trovi davanti allo specchio. Secondo te questo capita anche a Bob (Dylan)?
“Lui è uno che mi assomiglia, siamo due gocce d’acqua…” – due gemelli separati alla nascita: quarant’anni che ne partorisci uno quasi ogni sera. Chissà quante prestazioni previdenziali ti sei beccato…
Questa si chiama piolata, ma il termine originale, per noi arşân, è masêda, mazzata con la mazza.
“Di canzoni non so niente, salvo che a volte mi saltano in testa e non so che farmene.” – chiaro.
L’ultima tua lettera, R., è ovviamente priva di data. Probabilmente la scrivi ogni dì: un ready-made duchiampiano. Complimenti!
È stata la mia reazione letteraria più facile degli ultimi sei anni. Praticamente me l’hai scritta tu.
Non so se e quanto ringraziarti d’aver soltanto accennato alla tua sofferenza più acuta, che per sempre ti farà una tenera e dolente compagnia. Ne hai parlato col tono giusto, ammesso che ve ne sia uno.
Il valore di ogni dolore, non solo quello che reca la morte, non solo la propria, lo si sconta vivendo.
Una cosa simile ce lo disse il nostro comune amico Giuseppe. Ricordi?
E del titolo? Che ne famo?
Lo spazio-tempo è discontinuo, oppure no? Cosa c’è al di sotto dello spazio di Planck? Un certo dì ne parleremo insieme, se vuoi. Di questo e di tutt’altro, okay?
Ma ci dobbiamo essere tutti e quattro: io, P., R. e V. Poi anche un quinto, se vuole. Purché sia un tipo che ami offrire da bere. A qualcosa dovrà pur servire anche lui… Ehilà! Prendiamo il mondo come viene! Dai!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Roberto Vecchioni, Tra il silenzio e il tuono, Einaudi, 2024