“Death Note” manga scritto da Tsugumi Ōba ed illustrato da Takeshi Obata: un ennesimo dio sconfitto
Questa è una reazione (forse un tantino piccata, ma scrivendola mi sono sfogato un po’) all’aspra reprimenda ricevuta da mia figlia perché non avevo colto immediatamente il fatto che la regola del tredicesimo giorno non era che un fake.

Traduco per gli umani: in un quaderno, detto “Death Note” qualcuno ha scritto la regola, risultata poi falsa che afferma che, qualora il possessore del libro non vi scriva il nome di un mortale entro 13 giorni, è destinato alla morte improvvisa.
Andiamo con ordine. Light, il protagonista di Death Note, ha ricevuto un dono da una creatura metafisica, detta Shinigami, per cui, scrivendo su quel quaderno il nome del condannato di turno, lo ammazza, per attacco di cuore o per qualche altro accidente, che deve però essere specificato.
Vengono in tal modo eliminati assassini, rapinatori e violentatori, poiché Light ha come scopo ideale di rendere il mondo migliore rispetto a quella fogna che attualmente è.
World is rotten.
Non rotto, ma marcio.
E lui lo vuol purificare. E per fare questo non esita a uccidere anche chiunque, magari onestissimo, si opponga al suo perfetto piano di sterminio.
A pagina 750 (0750 nella traduzione inglese del fumetto originale), Light ha un’idea. E la espone ai Shinigami. Nel manga Light (il cui nome presso l’opinione pubblica è Kira) dice: “I have an idea”, che viene esposta nelle due scenette seguenti, la espone ai Dei-Mostri della Morte, ma non al lettore, a cui l’autore riserva dei miserabili puntini. A tal punto, il lettore, se è attento, lo deduce, sennò si attacca al tram. In mancanza di tram, ho preso l’autobus.
Si tenga presente che, oltretutto, meno di una decina d’anni fa, avevo visto tutte le 38 puntate dell’Anime (da “animēshon”, animazione) che era seguita all’uscita del Manga, ma questo non mi è servito granché.
Ovviamente, come ogni discente che si rispetti, mia figlia ha aguzzato i canini nel mordere il docente (aspirante tale) che commette un errore e l’ha fatto, dice, perché anche lui deve capire che un libro va letto con attenzione assoluta, oppure dev’essere lasciato sullo scaffale.
L’opera consta di quasi 2400 pagine ed è in inglese tradotto dall’originale giapponese. L’ho terminata in 14 giorni, inframmezzandone la lettura con le poesie della Cvetaeva e il romanzo “Figlie sagge” di Angela Carter. Questo mi dà diritto, immagino, alle sole attenuanti generiche, com’anche il tempo gettato via per il lavoro, nel mettere la lavatrice, nello stendere, eccetera… Credevo di aver studiato con attenzione, invece…

Tra l’altro, nel corso della lettura, mi sono accorto di non conoscere o di non ricordare circa 400 parole presenti nel testo, che ho raccolto in un foglio elettronico a futura (mia) memoria. Mi sono sì lasciato prendere dalla storia, ma l’esperienza è risultata pesante.
Amo i fumetti quanto i libri, però solamente tenere in mano un “volume siffattamente voluminoso” è risultato essere un fatto significativo, fatica a cui va aggiunta la necessità della traduzione dall’albionica lingua e il tentativo di comprendere una storia per nulla intuitiva.
Light, l’assassino-giustiziere, è un giovane genio e tali sono i suoi due più formidabili avversari, “L” e “N”. Light sconfigge un forse troppo impaziente “L”, e tale lo definirà poi “N”, ma non quest’ultimo, un frugoletto assolutamente e definitivamente cervellotico.
Si tratta di un formidabile torneo di scacchi, la cui logica risulta alla fine perfetta e inevitabile. Ogni giocatore deve costruire la propria strategia facendo leva sull’ipotesi di quella dell’avversario, di cui dovrà cercare di prevedere ogni mossa. Insomma, non è stata una passeggiata in campagna, magari a cavallo. Anzi, il cavallo c’era, ma s’impennava ad ogni piè sospinto!
Anna, sappi o, meglio, cerca di capire che ci sono cose come a) leggere b) scrivere c) amare che si fanno come dentro di sé si è predisposti a fare. Poi c’è l’esperienza che ti muta e, mentre lo fa, determina dei cambiamenti anche a queste tre azioni, ma è un processo lento e imprevedibile. Se io leggo in un certo modo è perché, oggi, non so farlo in modo diverso.
Ho qualche annetto più di te ed ho letto qualche libro e fumetto in più. Quando sarai al mio livello anagrafico e culturale, o quando mi supererai, e potrai farlo tranquillamente (un po’ soffrendo, però, perché la cultura è sofferenza: “no pain no gain”, diceva Schwarzenegger), quando sarà quel momento, sappi che non sarai come adesso, non dico migliore o peggiore, ma diversa. Sarai un’altra Anna.

Io paragono un libro a una montagna da scalare. Si può farlo con mazzetta e chiodi, oppure free climbing. L’importante è giungere in vetta. Ognuno ha scelto il suo versante. Questa è una delle decisioni principali da pigliare prima di iniziare, forse la più importante.
Una diatriba ricorre fra noi. A me interessa più la forma del contenuto, quello che io chiamo stile. Non è tanto, già ti dissi, la qualità della scrittura, cioè quella che ti fa avere otto o quattro nei temi, ma riguarda il modo in cui l’anima dello scrittore si riversa in quella dei suoi personaggi.
Tot i cuioun ag’an la so pasioun! – Tutti i coglioni hanno la loro passione. Questa è la mia.
La vita è sacrificio. Cioè ti spinge a sacrificare qualcosa per mantenerne un’altra. Quando facevo judo, questa fu la prima lezione che m’impartì il maestro. Per far perdere l’equilibrio all’avversario, devi rinunciare a parte del tuo. Se lui spinge, tu fatti spingere, ma d’un tratto girati e proiettalo. Se invece tira, fatti tirare, ma devi indurlo a inciampare su di sé. Devi far sì che sia lui a far cadere se stesso, specie se è più grosso di te. E se vuoi riuscire nel tuo intento, prima abbassati tu, ma con consapevolezza, facendogli così perdere definitivamente l’equilibrio (sutemi-waza, tecnica del sacrificio).
Per ottenere un bel voto in un’interrogazione, devi rinunciare allo svago. Ma tu immagini quante ore Light-Kira, L e N hanno passato a studiare il meccanismo mentale altrui, quante intuizioni sono andate a male, fino a che non è in loro finalmente brillata l’idea che pareva giusta?
Questo vale per ogni aspetto dell’esistenza, anche nel a) leggere b) scrivere c) amare. Devi scegliere. “Aut Aut!”, diceva il mio amico Soren (Kierkegaard). Nella vita occorre farlo sempre. Io l’ho fatto e continuo a farlo giornalmente. A volte, errando.
Kira ha tentato di migliorare il mondo, finendo per peggiorare se stesso. Questo è stato il suo dramma, il suo sacrificio. Assiste alla morte del padre, l’onesto e virtuoso ispettore Soichiro Yagami, ma il dolore della perdita, in quegli ultimi istanti di vita del genitore, gli fa male soltanto allorché è evidente che questi non riesce ad assolvere il compito affidatogli, cioè assassinare “M”, un altro suo pericoloso avversario. In quel momento ho personalmente provato un immenso rancore nei confronti di Light.
Quando N, mettendolo alle strette, costringe Light a confessare di essere Kira, questi, ad un tratto, ride come un folle, convinto com’è che ormai il mondo è dalla sua. Grazie ai suoi micidiali interventi, le guerre sono cessate e i crimini si sono ridotti del 70%. Kira è ormai l’idolo delle folle. Light ha perso una partita a scacchi, ma il torneo è suo.
Ma non è così. Qualcuno dei suoi ex alleati, preso dalla delusione e dall’ira, gli spara. Ryuk, il suo servo, né eccessivamente fedele né docile, scrive il suo nome sul Death Note, condannandolo a morte.
Questa è la differenza che tu, Anna, hai colto fra Anime e Manga: qui Light si dispera e vilmente grida che non vuole morire!

La morte gli è apparsa come la più infamante delle sconfitte. Lui l’ha procurata in modo seriale, per conseguire la felicità collettiva, ma ora non vuole rinunciare alla sua smisurata individualità. Lui voleva principalmente vincere una competizione. Ed ora è ridotto ad essere il sinonimo della sconfitta. E non ci vuole stare! Ma ormai non ha più scelta. Ci deve stare e basta. Ora, come tutti quanti gli altri, riposi pure in pace.
“Death is equal” e conduce non all’inferno o al paradiso, come si augurano gli implumi bipedi, ma “the place they go is MU”. What’s MU, my god?!
La storia scritta da Tsugumi Ōba, sublimemente disegnata da Takeshi Obata, è ricchissima di insegnamenti morali.
Light/Kira strilla alla fine di essere sempre stato nel giusto. N, gelido come non mai, dice di no, non è proprio così, “you are just a murderer”, “a crazy mass murderer”, un killer seriale… Però, poi aggiunge che ognuno ha il diritto di pensarla come vuole.
“I’m not different from you, i believe in what I think is right, and believe that to be righteous.” Ma, sappilo: “You are not god…”.
Qualche tempo dopo appare un nuovo Kira, che elimina soltanto anziani ammalati e morituri. N rifiuta l’incarico, dicendo che nemmeno L l’avrebbe accettato. Anche di questo è possibile discutere. Ma non ora.
Il messaggio più alto di “Death Note” è questo. Non che sia giusto oppure no togliere di mezzo, “sacrificandola”, la vita dei “cattivi”, per rendere migliore quella dei “buoni”, ma che qualcuno decida irrevocabilmente del destino altrui. Ricordati che noi italiani siamo fratelli del Manzoni, nel senso che siamo tutti nipoti di Cesare Beccaria e del suo “Dei delitti e delle pene”.
Uccidere un assassino, a quanto ci hanno insegnato, è sempre un omicidio. Ma non è questo il messaggio finale del Manga.
I fan di Kira, come tutti gli esaltati cultori dei dittatori, prospettano addirittura a Kira l’idea di estendere lo sterminio ai lazzaroni e agli scansafatiche. Poi forse toccherà ai mentecatti, agli schizofrenici, ai malati, ai diversi in genere…

Questa ridicolaggine dà compiutamente l’idea dell’abuso che si finisce per compiere, se si affida uno strumento oppressivo nelle mani dei pazzi, degli incapaci e dei criminali. E dell’uomo onesto, che però tenderà, prima o poi, a credersi l’Unico. E il potere spesso è gestito da questo genere di persone. Chi vuole emergere sul prossimo è frequentemente spinto dalla falsa consapevolezza di essere diverso dagli altri, quindi migliore, al di là del bene e del male, come l’Übermensch di Nietzsche.
Light-Kira è caduto in questa trappola micidiale. Appena ha colto la portata del carisma ricevuto dallo Shinigami, ha cessato di amare il suo prossimo. Si è autodefinito l’Unico, Perfetto e Invincibile Dio. E la folla l’ha così acclamato. Ma anche nel suo caso, purtroppo, Dio non ce l’ha fatta, ed è finalmente morto!
RIP!
Written by Stefano Pioli