Il Compasso da Navigare #5: la costa dell’Emilia-Romagna nel portolano del Mediterraneo del 1250
“Qualunqua se trovasse de sopre d’Ancona da maestro ne’ XX, ne’ XXX, ne’ L millara, e non avesse vista del porto d’Ancona, vada co lo scandallio per fondo de VII passa, giirà en no dicto porto de Ancona necto senza vista de terra.”
Il Compasso da Navigare è un portolano del Mediterraneo risalente alla metà del 1200, indagato dal medievalista e filologo sardo Bacchisio Raimondo Motzo (Bolotana, 6 marzo 1883 – Napoli, 14 giugno 1970) negli anni ’30 del ‘900.
Non è nota l’identità dell’autore della prima stesura del testo e della grande carta nautica del Mediterraneo. Tuttavia questo anonimo nocchiero e cartografo, il quale era legato ai mercanti pisani, secondo la tesi del professor Motzo si formò alla scuola di Leonardo Fibonacci.
“[…] Solo ulteriori ricerche potranno apportare. Direi che fu un abile nocchiero, il quale aveva appreso, alla scuola di Leonardo Pisano o del suo discepolo Campano da Novara, quanto giovi fare ogni cosa “in numero et in mensura”. – Bacchisio Raimondo Motzo
Questo testo è stato in uso su navi toscane, liguri, venete, fu trascritto e glossato da amanuensi e marinai genovesi, pisani, veneziani, spagnoli e portoghesi e si pone come la più importante opera della scienza nautica del XIII secolo, offrendo una rappresentazione grafica ed una descrizione sistematica e sistematicamente condotta della vasta regione del bacino Mediterraneo a cui si aggiungono il valore storico per la descrizione delle località costiere in quella determinata epoca e quello linguistico e letterario per la conoscenza della lingua sabìr. Fattori che a buon titolo inseriscono il Compasso da Navigare tra le prime opere della prosa scientifica italiana.
“Aesto si è lo Compasso e la starea de la terra, si como se reguarda, en quante millara per estarea. En primamente, da lo capo de San Vicenzo a venire de ver Espagna, ver levante.” – Anonimo
La descrizione del Mar Mediterraneo del ‘200 fatta ne Il Compasso da Navigare è ricca di dati e ancora oggi è fonte di curiosità e di riflessioni per il lettore. Numerose le domande che sorgono scorrendo le pagine del portolano: i luoghi descritti sono ancora identificabili? Le linee di costa si son modificate?
Dopo aver visto la nascita dei portolani e come si sono evoluti, ed aver analizzato i tratti di costa della Sardegna, e la traversata sino alla Sicilia, l’arcipelago delle Isole Egadi, le coste della Sicilia, le Isole Pelagie, le Isole Eolie, e l’Isola di Malta, le coste della Calabria e della Campania, la costa del Lazio e le Isole Pontine, la costa della Toscana e le isole dell’Arcipelago Toscano, la costa della Liguria, e l’Isola di Corsica, gli arcipelaghi delle Columbretes e delle Isole Baleari, rispettiva traversata sino alla Sardegna, il Molise, l’Abruzzo e dopo aver presentato “Il Compasso da Navigare” con l’esplorazione della Basilicata, della Puglia e delle isole Tremiti, la costa delle Marche in questo articolo prenderemo in particolare esame per i lettori di Oubliette la costa dell’Emilia-Romagna per confrontare i dati de “Il Compasso da Navigare” con la mia esperienza di navigazione su queste rotte, attraverso l’analisi comparata con le moderne carte nautiche e coi moderni portolani.
“De la Fugara a Cervia XXXV millara per maestro.”
Dall’antico porto di Focara (odierna Vallugola nelle Marche) sino a Cervia si naviga verso nordovest per 25 miglia nautiche. La città di Cervia era nota sin dall’età romana per l’attività di estrazione del sale come testimoniato dai rinvenimenti archeologici del 2015, quando durante i lavori per la costruzione di una rotonda fra la SS16 e la SP71 emersero delle arginature e palizzate di età romana interpretati come impianti produttivi per il sale o per una peschiera. La città conobbe nel medioevo un nuovo sviluppo a causa delle variazioni del delta del Po, le quali favorirono particolarmente questo tipo di attività in seguito al declino delle saline di Comacchio.
Dal libro Principi di storia civile della Repubblica di Venezia dalla sua fondazione sino all’anno 1700 (stampato nel 1756) del veneziano Vettor Sandi apprendiamo come Cervia fosse da lungo tempo sotto il dominio ravennate. Per l’areale, l’autore del libro non riuscì a reperire documenti anteriori al 1200, anno in cui la città passò sotto il dominio di Forlì sino al 1233, quando il Vescovo Orsarola si ribellò all’Arcivescovo di Ravenna sollevando i cittadini dal pagamento dei tributi. Per tutta risposta i ravennati invasero Cervia e occuparono il palazzo vescovile, da cui fu sottratto l’intero archivio che fu tradotto a Ravenna, riportando la città sotto il controllo ravennate.
Dopo soli otto anni, nel 1240, Cervia tornò sotto il controllo di Forlì e i Cerviensi chiamarono in aiuto la Repubblica di Venezia, il cui esercito pose sotto assedio la città conquistandola e mantenendola sino al 1253, anno in cui fu presa da Bologna e poi nuovamente da Forlì dopo un secondo assedio.
Questo continuo alternarsi di domini si concluse nel 1274, quando sotto il Doge Lorenzo Tiepolo la città di Cervia si sottrasse al dominio di Forlì con una dichiarazione di dedizione a Venezia che vi inviò il Capitano Giovanni Morosini in qualità di pretore sino al 1316.
Il nucleo originario della città sorgeva su isole artificiali poste al centro delle saline e solo alla fine del XVII secolo, a causa delle frequenti epidemie di peste il centro abitato fu spostato sulla costa. Il porto con la darsena per i magazzini del sale venne realizzato nel Canale di Cervia che collega le saline col mare.
Dopo la Seconda guerra mondiale Cervia diventò una delle mete più note del turismo di massa con l’edificazione delle terme e con la crescita e promozione di due diverse idee di sviluppo turistico: un turismo di villeggiatura per famiglie fu sviluppato a Cervia ed uno più improntato al divertimento venne sviluppato a Milano Marittima. Anche le terme, sorte negli anni Cinquanta nell’area delle saline, nel 1961 vennero trasferite a Milano Marittima.
Nello sbocco a mare del Canale delle Saline è stato realizzato un porticciolo turistico. L’imboccatura del porto canale è soggetta a continui insabbiamenti dovuti sia alle correnti di marea che alle mareggiate invernali le quali costringono il Comune di Cervia a una continua opera di dragaggio per riportare il fondale a circa 3 metri di profondità.
Volendo approcciare il porto canale, tutte le unità con pescaggio superiore a 1,5 metri sono tenute a richiedere tramite Vhf sul canale 16 il nulla osta all’entrata in porto alla Guardia Costiera.
“De Cervia a Ravenna XXX millara entre maestro e tramontana e de Ravenna a Primaro XV millara per tramontana.”
Seguendo il calcolo in miglia geometriche indicato dal portolano e considerando l’abbandono di Civitas Classis avvenuto nell’870 d.C., il porto ravennate indicato dal nocchiero che ha composto Il Compasso da Navigare non può che essere identificato con l’attuale località di Porto Fuori, che prende il nome dalla parrocchia di Sancta Maria in portu extra moenia (Santa Maria in porto fuori le mura), le cui prime notizie risalgono a documenti del 1103 i quali attestano alcuni restauri di un edificio preesistente. La chiesa era retta dai canonici regolari di Santa Maria in Porto (o portuensi), i quali costituivano un’antica congregazione di canonici di Sant’Agostino e traevano il titolo dalla chiesa fondata da Pietro degli Onesti a Ravenna agli inizi del XII secolo.
Il porto sorgeva probabilmente nel punto di confluenza dei “fiumi uniti” i quali formavano il Canale Panfilio. Verso il 1260 il fiume Ronco e dal 1320 il vicino fiume Montone si strinsero intorno alle mura della città di Ravenna, circondandola rispettivamente a sud e a nord-ovest per poi riunirsi verso il mare Adriatico. I due corsi d’acqua esposero più volte Ravenna a rovinose esondazioni. Oggi la via denominata “Circonvallazione San Gaetanino” ripercorre fedelmente il percorso del fiume Montone nel XIII secolo.
Questo aspetto idrogeologico del territorio ravennate può essere in parte ricostruito dallo studio della Mappa di sintesi dei progetti di regolazione dei fiumi di Ravenna, a cura di Bernardino Zendrini ed Eustachio Manfredi ed edita nel 1731.
A conferma della localizzazione di Porto di Fuori, il secondo dato fornito dal duecentesco cartografo ci indica il Porto di Primaro distante 15 miglia geometriche a settentrione. Esattamente a 10,23 miglia nautiche odierne, troviamo l’attuale località di Primaro, sul corso del Fiume Reno e sulle rive sudorientali delle grandi Valli di Comacchio.
Questi due porti unitamente a Porto Corsini (il cui sviluppo è di poco successivo) servivano la città di Ravenna. Nel corso del XIII secolo Ravenna ebbe un ordinamento comunale, dapprima sotto il controllo degli arcivescovi e successivamente da parte delle famiglie nobiliari che ambivano alla signoria. La prima di queste famiglie fu quella dei Traversari i quali governarono Ravenna fino al 1275 e a cui subentrò la famiglia dei Da Polenta.
Fu in questi anni che Dante Alighieri trovò asilo in città e qui morì per la malaria contratta durante un’ambasceria a Venezia per conto proprio della famiglia Da Polenta.
All’epoca la Serenissima Repubblica era in attrito con il podestà ravennate Guido Novello da Polenta (1275 – 1333) a causa di una serie di attacchi ai mercantili veneziani da parte delle galee ravennati. Il doge Giovanni Soranzi, infuriato, si alleò col comune di Forlì per muovere guerra a Guido Novello da Polenta; questi, ben sapendo di non disporre dei mezzi necessari per fronteggiare tale invasione, incaricò Dante di intercedere per lui davanti al Senato veneziano.
L’ambasceria di Dante sortì un buon effetto per la sicurezza di Ravenna, forse anche grazie alla sua amicizia con gli Ordelaffi di Forlì ma fu fatale al poeta che sulla via del ritorno da Venezia a Ravenna contrasse la malaria, forse mentre attraversava le Valli di Comacchio. Le febbri portarono velocemente il poeta alla morte, che avvenne a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. I funerali furono celebrati in pompa magna nella chiesa di San Pier Maggiore (oggi San Francesco) alla presenza delle massime autorità cittadine e dei figli Pietro e Jacopo.
La morte improvvisa di Dante suscitò ampio rammarico nel mondo letterario, come dimostrato da Cino da Pistoia nella sua canzone Su per la costa, Amor, de l’alto monte.
Le spoglie di Dante riposano in un sepolcro eretto nel 1731 presso la basilica di San Francesco nel centro di Ravenna.
Oggi il porto di Ravenna è rappresentato da Porto Corsini, un ampio porto canale commerciale oggi in grado di ospitare mercantili, pescherecci e imbarcazioni da diporto. Il porto canale venne costruito nel 1748 in sostituzione dello scalo di Porto Fuori per volere del cardinal Lorenzo Corsini (poi Papa Clemente XII) escavando un nuovo canale artificiale che prese il nome di Canale Corsini, realizzato allargando il canale della Bajona. L’area banchinata originaria fu edificata alla foce del canale di scolo Fossina, in corrispondenza del quale in origine sorgeva un approdo di pescatori.
“De Primaro a Volana XX millara per maestro.”
Ci si addentra ora in un’area del territorio ferrarese per la quale dobbiamo affidarci ad un attento confronto tra la documentazione storica, l’evidenza archeologica e lo studio geomorfologico del delta del Po. Seguendo l’indicazione in miglia geometriche indicate dal portolano, si giunge con buona precisione nell’areale dell’Insula Pomponiana e nella foce del Po di Volano.
Il toponimo si ritrova già intorno al 150 a.C. in Polibio, quando il corso d’acqua era localizzabile circa lungo la linea Copparo-Massenzatica-Codigoro e venne indicato dallo storico latino con il nome di Olana, mentre Plinio il Vecchio nel I secolo d.C. chiamerà Volana questo ramo del delta. la foce del Po di Volano era di notevole rilevanza e da lì si poteva risalire il fiume per 2000 stadi, circa 375 km. Al tempo di Polibio il ramo del Po di Spina, che sfociava nell’areale di Comacchio era decaduto e aveva preso il sopravvento il ramo del Volano dove si trovava il porto più sicuro di tutto l’Adriatico settentrionale. L’areale indicato nel portolano è identificabile a questo punto nel triangolo compreso tra Codigoro, l’Abbazia di Pomposa e Vaccolino.
A riguardo, per l’età altomedievale il professor Sauro Gelichi scrive:
“In un’area di cerniera tra i grandi porti marittimi dell’alto Adriatico, i siti dell’area comacchiese sembrano assolvere la funzione di scali intermedi nei percorsi endolagunari tra Ravenna e Aquileia. Le rotte fluviali e i tragitti terrestri necessitavano di stationes con ponti, sistemi di traghetti, e luoghi d’approdo. Non è un caso, dunque, che all’inizio del VI secolo, Cassiodoro menzioni gli abitanti del delta del Po come abili costruttori di navi. A loro l’imperatore Teodorico nel 526 avrebbe richiesto manodopera qualificata per la costruzione di natanti “ut per domum nostram navigandi qaererentur artifices”. Un cambiamento del sistema insediativo si registra nell’area comacchiese tra VI e VII secolo d.C. Appaiono nuclei accentrati – quasi dei villaggi – raggruppati attorno a edifici religiosi e relazionati ad aree agricole strutturate.”[1]
L’abbazia di Pomposa venne consacrata nel 1026 dall’abate Guido su un preesistente centro monastico la cui frequentazione risaliva al VI secolo. Fino al XIV secolo l’abbazia godette di una certa prosperità, grazie al possesso dei terreni circostanti compresa una salina a Comacchio, per poi subire un lento declino, dovuto a fattori geografici e ambientali, quali la malaria e l’impaludamento della zona causato dalla deviazione dell’alveo del Po a seguito della Rotta di Ficarolo. Nel 1152 infatti, a seguito di forti e frequenti precipitazioni il Po ruppe gli argini in più punti presso l’attuale centro abitato di Ficarolo ed allagò le valli del Polesine. Il fiume rimase poi disalveato per circa una ventina d’anni. Il territorio è stato negli ultimi venti anni indagato a più riprese sotto l’aspetto geologico e idrografico; studiosi delle Università di Ferrara, Modena e Bologna, hanno elaborato studi di carattere generale e settoriale, mentre l’aspetto archeologico è stato indagato più volte dall’Università Ca’ Foscari di Venezia.
“De Volana a l’altro capo XV millara per greco.”
L’intensa evoluzione del sistema deltizio del Po di Volano e del Po di Goro, fanno supporre l’esistenza di un accumulo detriticolo che dall’insula pomposiana si spingeva per una decina di miglia verso est-nordest, nell’attuale areale della foce del Po di Goro, da cui oggi, per mezzo di canali deltizi è possibile risalire il corso del fiume.
“De lo dicto capo a Goro XX millara per maestro.”
Secondo il Dizionario di toponomastica, Storia e significato dei nomi geografici italiani la fondazione del centro abitato di Goro risale alla metà del XVIII secolo sulla sponda destra del Po di Goro (Gaurus). Questo la esclude sia geograficamente, sia storicamente dalla georeferenziazione sulla base della corrispondenza dei toponimi.
Seguendo le indicazioni del portolano e risalendo i canali deltizi verso nordovest per circa 16 miglia, si giunge a tre possibili soluzioni. La prima, traguardando in linea retta, conduce nell’attuale corso del fiume Po, esattamente presso l’attuale centro di Contarina. La seconda possibilità, sempre misurando in linea retta poco più a meridione, conduce, passando per Mesola, ad Ariano nel Polesine. Entrambe le località si trovano sul corso del Po di Goro. La terza possibilità prevede, seguendo per 16 miglia il corso del Po di Goro il raggiungimento dell’abitato di Mesola.
Il territorio di Mesola, compreso grosso modo tra la via Romea, il fiume Goro e il mare, è di origine e formazione recente. Nessun documento infatti, prima o immediatamente dopo il 1000, ne parla. Era anticamente un agglomerato di molte isolette boschive che, a poco a poco per depositi fluviali e marini, si unirono tra loro. Man mano che alcune miglia più a nord le isole veneziane si andavano popolando, i fagiani, i cervi e i caprioli che vi stanziavano fuggivano nel Mesolano e la loro popolazione crebbe al punto tale che nel XIV secolo questi luoghi costituivano una delle riserve di caccia più ricche del territorio ferrarese.
Da questi elementi sembra delinearsi con una certa precisione un dato abbastanza chiaro, e cioè che il Po sino alla Rotta di Ficarolo abbia mantenuto costante il suo corso nel tratto da Sermide a Bondeno e da qui a Vigarano Pieve, Ferrara, Copparo, infine a Mesola e quindi al mare. È probabile che le continue evoluzioni del delta abbiano portato alla formazione di un approdo intermedio che dalle idrovie interne consentiva l’accesso al mare ed il carico/scarico dalle navi.
Per chi volesse cimentarsi nella ricostruzione del paesaggio costiero dell’area esaminata, o per esigenze di navigazione, si consigliano la Carta nautica n. 923 – Da Porto San Giorgio a Porto Corsini e Zara , edita dall’Istituto Idrografico della Marina, la Carta nautica n. 37, Da Pesaro a Po di Goro, edita dall’Istituto Idrografico della Marina, la Carta nautica n. 38, Da Po di Goro a Punta Tagliamento, edita dall’Istituto Idrografico della Marina la Carta 111 dei Simboli, abbreviazioni, termini in uso nelle carte nautiche edita dall’Istituto Idrografico della Marina, l’Elenco di Fari e Segnali da Nebbia, edito dall’Istituto Idrografico Militare, il portolano scritto da Mauro Mancini, Navigare Lungo Costa N.6, da Santa Maria di Leuca al delta del Po, edito da Class Editori nella collana Tagliamare, il Portolano P7, da Capo Santa Maria di Leuca a Senigallia, edito dall’Istituto Idrografico Militare, il Portolano P7, da Marotta al confine italo-sloveno, edito dall’Istituto Idrografico Militare.
Written by Claudio Fadda
Note
[1] Sauro Gelichi, Diego Calaon, Claudio Negrelli, Elena Grandi – Dal delta del Po alle lagune veneziane: territorio, commerci e insediamento. Ricerche sull’emporio altomedievale di Comacchio.
Info
Rubrica Il Compasso da Navigare
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Bibliografia
Bacchisio Raimondo Motzo, Il Compasso da Navigare, opera italiana del secolo XIII, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Cagliari, Cagliari, 1947
Gerolamo Azurri, Carta di Navigare, Civico Istituto Colombiano, Genova, 1985
Un pensiero su “Il Compasso da Navigare #5: la costa dell’Emilia-Romagna nel portolano del Mediterraneo del 1250”