“Le origini profonde delle società umane” di Edward O. Wilson: le penultime domande avranno mai una risposta?
Un libro che fin dalla prima pagina ti rischiara la mente. Te la gira e rigira, dal retro della caverna fino all’uscita che conduce all’aperta campagna.
Ho avuto immediatamente la sensazione che l’opera di Wilson aprirebbe gli occhi a un orbo, che continuerebbe a non vedere, ma inizierebbe ad avere almeno l’idea di come sia composta la realtà sociobiologica.
Risulterà, lo sento, utile a capire le domande penultime della vita: chi siamo? donde veniamo? dove andremo?
Sulle ultime (esiste Dio, sopravvivrò a me stesso?, che vanno, sempre prudentemente, protette dalle parentesi) non credo dirà molto, o forse nulla. Del resto, per esse, c’è tutta l’eternità per (non?) rispondere.
L’interesse già nasce dall’introduzione di Telmo Pievani, che inizia col definire le “grandi transizioni”, che si possono definire anche le grandi nascite e rinascite dell’idea della vita (l’espressione è mia):
- il primo essere vivente autoreplicante;
- la prima cellula dotata di nucleo;
- la grande macchina produttrice di diversità (sesso);
- il primo organismo pluricellulare;
- le prime società;
- i primi linguaggi.
Tale divisione appare esemplificata nel Capitolo 2 del saggio di Wilson. Esse hanno un comune denominatore: “sono dovute al fatto che alcuni protagonisti della fase precedente si mettono insieme, si dividono il lavoro, dipendono reciprocamente gli uni dagli altri, perdono una quota della loro autonomia per far parte di un sistema più grande.”
In altre parole, sono: “capolavori di simbiosi e di collaborazioni”.
Darwin fu il primo a suggerire che “gli esseri umani discendono da scimmie antropomorfe africane.” Anch’egli rappresentò una pur piccola e individuale rinascita dell’idea della vita, che spostò in ambito scientifico la nozione marxiana di uguaglianza. Anzi, potrebbe essere più vero il contrario.
“Ogni religione organizzata comunque pubblica e tutte le numerose ideologie simili alla religione definiscono una tribù, cioè un gruppo molto unito di persone che condividono una qualche vicenda particolare.”
La mia tribù quale sarà?
“Gli individui che si incrociano liberamente in condizioni naturali sono considerati parte costituente di una specie.”
La mia specie?
“Europei, africani e asiatici si incrociano liberamente (se non sono separati dalla cultura) pertanto noi esseri umani apparteniamo alla medesima specie.”
Non così, spiega dopo, leoni e tigri, che in libertà si ignorano, mentre in cattività s’incrociano (in mancanza d’altro), producendo una prole sterile.
“Una mutazione può dall’alterazione di un dato gene della sequenza delle basi azotate del DNA (le lettere A,T,C,G); in altri casi può essere frutto di un cambiamento del numero di coppie di geni nei cromosomi. Se i caratteri dei caratteri della mutazione si rivelano relativamente favorevoli nell’ambiente circostante per la sopravvivenza e la riproduzione dell’individuo che li possiede, il gene mutante si diffonderà e moltiplicherà nella popolazione.”
Altrimenti sparirà.
“Le razze sono in definitiva popolazioni e, di conseguenza, risultano quasi sempre arbitrarie. A meno che la popolazione risulta separata e in qualche misura isolata, distinguere le razze ha poco senso.”
Se ne deduce che l’unica razza distinta e non violentata dalla nostra è rimasta, in qualche modo, l’aborigena australiana: tutte le altre si sono variopintamente mischiate da millenni.
“La dimensione può variare da nord a sud, il colore da est a ovest…”, e lo stesso vale per le abitudini (ad esempio dietetiche).
Le evoluzioni possono essere repentine e nell’ambito di una stessa generazione, oppure lentissime, come nel caso di certi coccodrilli.
Si esamina ora la “plasticità fenotipica, l’entità del cambiamento del fenotipo, osservabile nel fenotipo (nel carattere determinato da un gene) come conseguenza delle variazioni ambientali.”
Essa può dipendere da un cambiamento derivato dalla selezione naturale e dalle possibili risposte a problematiche ambientali: la scarsità di certi tipi di cibo o la variazione climatica, ad esempio.
“I geni di una specie possono essere alterati in modo da determinare quello che gli psicologi chiamano prepared learning.
Ad esempio: “una formica apprende l’odore di una colonia in cui è nata.”
Ma “se viene catturata quando è ancora una pupa immatura da una colonia di formiche schiaviste, subisce l’imprinting dell’odore della colonia dei rapitori e attacca le proprie sorelle”: cioè quelle geneticamente uguali.
Lo stesso sarà capitato inconsapevolmente a qualche misconosciuto, anche a se stesso, ebreo, che da nazista credeva fermamente nel Progetto Lebensborn.
Le transizioni:
“La prima, e la più difficile da immaginare, è l’origine dalla vita stessa.”
Due ipotesi: “le sorgenti vulcaniche dei fondali oceanici.”
La seconda: “l’acqua liquida” che “si trasforma immediatamente in vapore”.
Ipotesi, questa volta più filosofica che scientifica: “la creazione di organismi artificiali e la scoperta di vita extraterrestre nel sistema solare potrebbe avere un impatto talmente stupefacente, e con una ricaduta talmente vasta sul nostro progresso scientifico, da guadagnarsi lo status di settima e ottava grande transizione nell’evoluzione della vita sulla Terra.”
La seconda transizione evolutiva “risale a circa 1,5 miliardi di anni fa e seguì l’origine dei mitocondri, delle membrane nucleari, dei ribosomi e di altri organuli, principalmente dovuti alla cattura di cellule con caratteristica non peculiare da parte di cellule più grandi.”
In tal modo il meccanismo cellulare diveniva più complesso e diversificato e gli organismi potevano crescere in complessità. In modo analogo le formiche di cui sopra catturano i piccirilli di specie nemica, e li schiavizzano. Con buona pace di Karletto Marx.
Con l’invenzione del sesso e lo scambio di DNA fra due esseri eterogenei “l’evoluzione risultò parimenti accelerata.”
“La quarta grande transizione fu l’assemblaggio delle cellule eucariote in organismi pluricellulari”: anche in tal caso, una cooperazione di fattori diversi crearono un potenziamento della complessità e della specializzazione: “non prima di seicento milioni di anni fa.”
La quinta transizione, la nascita dei gruppi di individui di una data specie, la socializzazione: “gruppi eusociali riconoscibili dall’alto livello di cooperazione e di divisione del lavoro, in cui alcuni individui particolari incominciarono a riprodursi meno di altri. In sostanza le specie eusociali sono quelle che praticano l’altruismo”.
Da cui deduco che la nostra civiltà, che non pratica l’altruismo, bensì il profitto, e in cui gli individui più deboli si riproducono di più, non sono abbastanza eusociali. E qui mi rammento l’idealismo del teologo Padre Bergamaschi che augurava all’uomo una società fondata sull’assenza di profitti (mi pare che anche un certo Gesù la pensasse in questi termini).
Varie forme di interazioni: “la selezione parentale, nella quale l’azione di un individuo promuove la sopravvivenza e la riproduzione dei parenti oltre che dei figli.”
Questo, nella nostra civiltà si chiama, ahimè, nepotismo, fenomeno niente affatto eusociale.
“Un secondo fenomeno in grado di promuovere la cooperazione è la reciprocità diretta, lo scambio di favori fra individui.” Questo, nella nostra civiltà si chiama, ahimè, mafia, concussione, corruzione, voto di scambio, altri fenomeni anti-eusociali.
L’illustrazione di pagina 29 descrive l’azione combinata di ghiandaie azzurre, scriccioli e un picchio muratore che circondano minacciosi uno sparviere americano, disegno realizzato dal vivo sul retro di una casa sita in Oklahoma.
“Questa è democrazia!”, esclamerebbe un certo Modesto, oste modenese operante a Bologna, celebre per tale affermazione.
Poi Wilson tratta della nascita del linguaggio fatto di parole, soprattutto di quelle scritte, senza cui non sarebbe stato nemmeno concepito questo libro.
Anche il suo parto è stato graduale. Non vorrei apporre una critica all’eccellente scienziato. Perciò, obtorto collo, lo voglio: manteniamo l’ipotesi, fatta da alcuni, che il linguaggio umano sia nato come imitazione del cinguettio degli uccelli. Magari non è scientifica, ma è bella. Il principio universale della modularità prevede la divisione di un gruppo in vari sottogruppi specializzati, semi-indipendenti ma collaborativi fra di loro. Il gruppo aiuta l’individuo e viceversa.
Nel caso degli storni, “nel numero c’è salvezza”. Il falco ci pensa due volte prima di attaccare un numero di prede che può essere di alcune decine ma anche di centinaia di migliaia di unità (nel libro si parla di “milioni”). Ma il falco è una bestia solitaria.
I delfini hanno analoghi problemi coi banchi di acciughe, che risolvono con un lavoro di squadra. Circondano il banco che ha una forma irregolare, e lo stuzzicano fino a ricomporlo in una forma circolare (come “una mela”). In tal modo beccare un pesciolino alla volta diventa più semplice e meno rischioso.
“Mediante la comunicazione chimica i batteri sono in grado di comprendere lo stato di salute e la densità della popolazione a cui appartengono. Basandosi su questa informazione un singolo batterio ‘decide’ con quale velocità muoversi, con quale frequenza riprodursi e, nel caso di specie patogene, perfino con quanta virulenza colpire l’ospite dentro cui vive. In alcune occasioni i batteri scelgono di vivere in gruppi stabili avvolgendosi con membrane e involucri protettivi e formando strutture chiamate biofilm o pellicole organiche.”
Diavoli di batteri! Né bestie né piante! Batteri uber alles!
Purtroppo anche i virus.
“I mammiferi sociali imparano a riconoscere gli altri membri del gruppo singolarmente, possono pertanto pianificare le proprie azioni tenendo conto sia del gruppo nel suo complesso sia degli individui che ne fanno parte.”
Qui nascono i conflitti, specialmente quelli familiari…
“Ogni membro del gruppo impara quando collaborare o competere e quando guidare o seguire.”
Si tratta del gioco della sopravvivenza: “che cos’è meglio per me? Che cos’è meglio per il mio gruppo e quindi anche per me?”
Le regole di gruppo delle scimmie antropomorfe, valide anche per gli scrittori inglesi dell’epoca vittoriana (e attuale), o dei dipendenti parastatali sono le seguenti:
- se non siete all’altezza abbiate la grazia e la furbizia di aspettare;
- coltivate i favori dei capi (“dei mentori di status superiore” dice il libro);
- se vi avvedete di un ruolo scoperto, accalappiatelo subito;
- cercate di dominare i maschi e accoppiatevi con le femmine che stanno al centro (oppure una sola se è in periferia, ammucciandovi però: quest’ultima non l’ho capita del tutto).
L’eusocialità è la divisione in caste della società: una reale, dove ci sia coppia; una proletaria, dove si fatica.
Al detto “si lavora e si fatica per il pane e per la f…” va aggiunto un rassegnato altrui.
Gli insetti! Questi fin troppo conosciuti! Ma, in realtà, misteriosi e affascinanti, per la loro complessità sociale!
Vari gradini evolutivi:
- la loro origine (sulla terraferma, dove rimasero);
- la comparsa delle ali e il conseguente volo;
- la capacità di ripiegare le ali sul dorso, per sfuggire meglio ad ogni specie di predatore;
- la metamorfosi completa, per cui la larva, a volte, come nel caso della libellula, passa da un elemento (stagno) all’altro (aria);
- le colonie eusociali (soprattutto termiti, formiche, api, vespe): condizione tardiva e tuttora rara.
L’eusocialità reca enormi vantaggi organizzativi. Ed anche, come conseguenza, la divisione delle mansioni, per cui spesso la riproduzione è ristretta a pochi esemplari. Wilson ipotizza un carattere sia genetico che eusociale dell’omosessualità e del monachesimo (di tutte le religioni): alcuni individui rinunciano alla riproduzione, anche al fine di condurre socialmente diverse mansioni.
L’origine genetica dell’omosessualità non basta a spiegare la sua diffusione: quindi potrebbe essere eugenetica.
“Tale propensione è favorita dall’evoluzione naturale. Il livello, in altre parole, è troppo elevato per essere spiegato esclusivamente facendo riferimento a cambiamenti casuali nei geni che influenzano il comportamento sessuale.”
Qui, Wilson pare dimenticare la psicologia umana che, più di ogni altro animale, è volta all’edonismo. La gran parte delle specie animali, e penso che dovrei dire tutte, sono orientate cattolicamente alla sessualità ai soli fini riproduttivi.
L’uomo e la donna no, poiché nel sesso essi scorgono altre cose: comunicazione con l’altro, trasmissione e ricezione di gesti affettuosi, soddisfacimento delle proprie ansie e negatività, bisogno patogeno di sfogare la propria aggressività e vari altri aspetti, sia positivi che negativi.
Il caso di Charlus, soprannominato dall’autore la nonna, celebre personaggio de “La ricerca del tempo perduto”, gran tombeur de femmes da giovane, che, da anziano diventa délicatement tapette, ne è un esempio lampante.
Ognuno di noi vede nel sesso una trasfigurazione della propria psiche ed emotività. Tutti quanti: da Bukowski al succitato marchese de Sade, da Henry Miller a George B. Shaw (che potrebbe essere scambiato per un socio-biologo per via del nome) e della sua sposa, da lui definita Miss Dignity, per la scarsa propensione all’effusione erotica (probabilmente reciproca): anche la negazione del sesso è un atto di chiara origine sessuale (che poi sarà sublimato diversamente).
A pagina 64 del capitolo 5, Wilson parla dei suoi studi delle formiche, senza specificare se astratti teorici o sperimentali sul campo (in senso reale). Questo amerei sapere: se anche in biologia esiste la differenziazione che c’è nella fisica fra sperimentali e teorici.
L’illustrazione alla pagina seguente descrive bene l’evoluzione sociale delle mamme insetto:
- depone le uova e ci lascia un animale ucciso perché serva da nutrimento a chi nascerà;
- uccide un animale e lo trascina nel nido;
- uccide vari animali e li trascina nel nido;
- uccide animali e li mangia con i suoi piccoli, la madre è la regina riproduttive, le figlie sono operaie sterili.
Wilson descrive un fatto importante: “la propensione delle api solitarie a comportarsi come api eusociali quando in condizioni sperimentali sono obbligate dagli scienziati a vivere insieme”.
Non so quanto i fuchi Fromm e Marcuse sarebbero d’accordo. Ma tant’è!
La teoria scientifica che ne deriva è che “la variazione, qualche volta di origine genetica e qualche volta dovuta all’apprendimento, si osserva nella soglia di riposta associata ai vari compiti. Secondo tale ipotesi, quando due o più individui interagiscono, quelli con la soglia più bassa sono i primi a svolgere il compito.”
Gli altri si occuperanno di compiti diversi, cessando i precedenti.
“Sembrerebbe bastare il cambiamento di un singolo gene flessibile, che inibisce l’allontanamento dei membri dal nido in cui sono nati, per indurre specie preadattate a superare la soglia oltre la quale istintivamente acquisiscono un ordine sociale avanzato.”
Una frase terribile, che avrebbe inquietato Asimov:
“Al grado più estremo del superorganismo, il livello di selezione corrisponde al genoma della sola regina mentre le operaie vengono più precisamente considerate come estensione robotica del fenotipo di lei.”
“She”: chi non ricorda l’immortale Ayesha nel capolavoro di Rider Haggard, attorniata da una miriade di ancelle? O l’altrettanto divinamente bella e venefica Antinea, regina di Atlantide in “Totò Sceicco”?
Il Capitolo 6 è meraviglioso.
E contiene varie rivelazioni, fra cui:
- Wilson è un socio-biologo sperimentale;
- fra i socio-biologi esiste una netta contrapposizione fra biologi sperimentali e teorici.
In due occasioni Wilson rivela di aver lavorato per anni in equipe con altri sperimentali presso alcuni formicai. Probabilmente sarà diventato un Ant-man, celebre personaggio marveliano.
Ma andiamo con ordine.
Due quesiti distinti, che sintetizzo:
- come si sono evolute tante specie eusociali, quando la maggior parte dei loro esemplari sono sterili?
- Se, come pare, tali società sono proficue per la conservazione della specie, come mai ci sono così poche specie eusociali?
Alla prima risponde Darwin: in alcune specie la morte anticipata di alcuni individuali non riproduttivi reca a vantaggi alla specie: perché muoiono solo se li recano. Anche se parla di gruppi, uno contrapposto all’altro. Come le nazioni umane.
“Spesso la stretta parentela non precede ma segue la diffusione dell’altruismo.”
Si muore per il familiare perché a suo tempo qualcuno è morto per il gruppo. Non viceversa. Per rispondere, ci si può anche ricondurre a una faccenda antica e predeterminante: “nel processo per cui una madre, o un piccolo gruppo, progressivamente incomincia a costruire un nido resistente in cui allevare la prole.”
“La rete genetica che influenza lo sviluppo fino allo stadio adulto si conserva nella regina alata ma risulta interrotta nella casta di operai senza ali. L’operaia, in poche parole, perde il potenziale genetico di cui è provvista.”
Capita a volte anche alle regine umane, specie a quelle britanniche.
“Con la comparsa di un’organizzazione sociale avanzata per avere le sottocaste aggiuntive non bastano uno o due momenti decisivi nello sviluppo larvale, ma occorre una regolazione della comparsa dei diversi membri in funzione dei vari stadi di crescita della colonia. Questa organizzazione è l’equivalente della divisione del lavoro negli esseri umani e tiene conto delle occupazioni differenti a cui si aggiungono le norme culturali da cui dipende il numero di individui addestrato a svolgere ognuno dei compiti.”
Tutto ciò avviene grazie alla “selezione di gruppo”. Grazie a essa: “è possibile che evolvano l’altruismo con base genetica, la divisione del lavoro e la cooperazione tra i membri del gruppo.”
“Il conflitto può emergere in seguito a contatto fisico diretto che si traduce nella ritirata oppure nella distruzione completa (potremmo coniare il neologismo ‘mirmicidio’ nel caso delle formiche) della colonia perdente.”
Simpatico il Wilson quando dice: “Mettiamoci un po’ di enfasi: per i caratteri a livello di gruppo così come per quelli a livello di individuo, l’unità della selezione è il gene che prescrive il carattere. I bersagli della selezione naturale, che determinano se i geni hanno un effetto più o meno marcato, sono i caratteri determinati dai geni stessi.”
La specie con una società dotata di gerarchie e leadership, che generi cooperazione, assoggetta la selezione a livello del gruppo, e non più a quello individuale.
Quante società umane sono così: non certo la Russia di Stalin per tacere degli altri despoti sovietici. E quella di Putin? E la Cina maoista? O quella odierna?
Poi Edward O. Wilson parla di David Sloan Wilson e precisa: “con cui non ho legami di parentela”; ma di gruppo, caro Eddie. David Solan dice che (e qui riscopre genialmente l’acqua socio-biologicamente calda): “all’interno dei gruppi gli individui egoisti vincono sugli altruisti, ma tra i gruppi, quelli che contengono altruisti vincono su quelli formati da egoisti.”
Ne va da sé che un egoista astuto debba fingersi altruista e poi fare carriera nei gruppi di tale indirizzo. Così accadde nella Russia post-leninista.
“I caratteri favoriti dalla selezione naturale sono quelli che promuovono l’interazione fra individui all’interno dei gruppi, a partire dalla formazione dei gruppi stessi.”
Ecco la risposta al secondo quesito.
Tra le formiche di fuoco c’è una specie di concorso per diventare regina: le operaie le ammazzano tutte, infilzando brutalmente alla bisogna, senza esitazione, anche le proprie madri, sorelle e zie), tranne una. La discendenza sarà solo di quella Miss “che si riconosce dai suoi feromoni, è la più feconda”, quindi la più utile alla specie.
Tre domande ora:
“… chi o che cosa controlla il numero delle operaie nella colonia. Come è stata raggiunta indipendentemente l’eusocialità? Quali forze della selezione naturale ne sono responsabili?”
Le operaie che hanno un “monitoraggio (o policing) della covata,” giungono a far fuori le colleghe coi colletti blu che osano produrre proprie uova.
Una frase mi ricorda ancora Marcuse: “… quest’ultima produceva molti individui che sceglievano di riprodursi e non lavorare”.
Sexual ants Kaputt!
Gli esemplari femmine di vespe della specie Ropalidia marginata possono riprodursi, ma non lo fanno: sono monache!
Nel caso che il perfido biologo rapisca una regina, una delle operaie, quella che tene cchiu cazzimma, s’incavola come una iena e diventa regina: una volta eletta, rinsavisce e produce uova vivendo in una grande pace interiore e soprattutto sociale.
Di solito le varie regine che si susseguono sono, ogni volta, la più anziana. Si auto-elegge non Senatrice, ma Sovrana a vita.
“Questa successione riduce la possibilità che emerga l‘anarchia internamente e anche che si verifichi un’invasione da parte di usurpatori provenienti da altre colonie.”
Mai ebbe tanta ragione Pier Paolo Pasolini quando disse che “nulla è più anarchico del potere”: “… diventano teoricamente immortali anche se”… spesso l’ambiente finisce però per estinguerle presto.
In altre specie, se manca temporaneamente la regina, le operaie si sacrificano e si fanno fecondare o allevano le figlie altrui come se fossero le proprie.
Interessanti le vicende le ragno Anelosimus studiosus: le femmine sono divise in due caste: le amazzoni addette alla difesa delle uova e le baby sitter. Il maschio? Non pervenuto. Ma qualcosa farà anche lui.
Curiosa descrizione: “Sia gli scarafaggi del genere Cryptocercus sia le termiti inoltre allevano i propri piccoli indifesi nutrendoli in parte con materiale legnoso semidigerito che espellono dall’ano.” Culo di mamma!
Ahia! Qui comincia la tenzone fra sperimentali (tipo i due Wilson) e teorici (tipo J.B.S. Aldane e William D. Hamilton; da cui deduco che, geneticamente, per essere socio-biologi occorrono almeno due/tre nomi/cognomi). Purtroppo anche ai massimi livelli intellettuali non manca mai un –ismo che rende la vita difficile, specie se si è alla ricerca della felicità umana.
Sintetizzo Aldane: se vedi un uomo che annega, se ti è caro ti butti a salvare, mettendo in rischio la tua vita; diversamente chiami la guardia costiera.
Perché se, per salvare il figlio, rischi 10/100, puoi arrivare anche a conservare 20/100 della tua genìa; diversamente finirai per salvare un 10/100 altrui.
Questo “esperimento mentale” non dispiace al nostro autore. Ha però da dire dell’equazione di Hamilton: “BR –C >0”. dove “R” è “il grado di parentela”“B” è “il beneficio per gli altri membri del gruppo”, che non deve superare “il costo (C) individuale”.
Allo sperimentale Wilson la cosa non garba.
“La regola generale di Hamilton “HRG” non placet, perché “non è logicamente in grado di compiere alcuna previsione” perché né B, né C “si possono conoscere in anticipo”.
Inoltre, “tutti tre i termini, B, R, C, sono funzioni della struttura della popolazione, mentre il valore complessivo di BR-C dipende funzionalmente della struttura della popolazione. Una qualunque informazione su chi interagisce perde significato quando si calcola il valore di BR-C.”
Sic transit gloria mundi.
Così si evolve il pensiero umano, una congerie di colpi di genio, baggianate, logiche serrate e succosi ragionamenti.
Fin qui il sottoscritto è d’accordo, perché il discorso è logico.
Però… la terza obiezione non lo è.
“Non esiste alcun esperimento concepibile in grado di verificare e confermare (o invalidare) questa regola.”
Non si mette in dubbio che HRG non funzioni, ma si dice che al momento essa non è verificabile. Quindi? Non scientifica?
Karl Popper storcerebbe il naso: essa è una teoria scientifica perché ipoteticamente verificabile. Non ora, né forse per millenni, ma essa potrà essere verificata.
Lo ammette anche il nostro autore: “Riconosco che i critici, come me, della teoria della fitness inclusiva e delle sue applicazioni potrebbero sbagliarsi e che un giorno verranno compiute misurazioni o perlomeno…” e bla bla bla…
Ricordo a entrambi i Mr. Wilson che la teoria delle stringhe in fisica, oltre quarant’anni dopo la sua formulazione, non è stata ancora verificata; lo stesso dicasi la reale presenza del gravitone; stesso dicasi per quello che succede o non succede all’interno dello spazio di Planck; e che Stephen Hawking se n’è andato chissà dove convinto che prima o poi ci sarà una Teoria del Tutto, che sia in grado di spiegare ogni cosa, compreso quello che chissà se accade all’interno di un black hole: che è un ente pochissimo sperimentato.
Di tutti i suddetti argomenti non si occupano né i preti di campagna, né il Papa, bensì i fisici teorici e quelli sperimentali, la cui rispettiva assenza renderebbe inutile l’attività gli uni degli altri.
Anche la socio-biologia seguirà l’andazzo della fisica, in maniera inevitabile. Nonostante che entrambe le genìe di fisici ne siano consapevoli, esiste tuttora un certo antagonismo fra le due schiere. Come anche fra fisici e chimici.
Speriamo che il carattere eusociale della scienza alla fine prevalga.
Alla fine di questo strepitoso capitolo sorge dentro di me una considerazione che vorrei comunicare a Vito Mancuso, autore di “La forza di essere migliori”, in cui egli accosta i due concetti di etica ed estetica.
Niente da ridire. I bei gesti sono in genere buoni. Ma non sono necessariamente naturali. L’etica o morale a dir si voglia non sono concetti né naturali né innaturali, ma utilizzabili ad hoc da parte di una determinata società, secondo un suo fine che, essendo contingente, non è mai assoluto nel fenomeno spazio-temporale. In altre parole, relativisticamente, non è composta da fotoni né è assimilabile ad alcun tipo di Luce.
Tali idee possono essere inserite naturalmente, nella versione di ottica del sacrificio o dell’eroismo (nelle versioni divergenti di Enrico Toti e di Salvo D’acquisto), ma non possono mai ergersi in modo assoluto al di là dei vari fenomeni relativistici.
Nulla è assoluto nella natura, ma è ogni volta mirato alla conservazione genetica. In tal ragionamento non si colgono differenze di naturalità fra il ghandismo, il nazismo, fra Anelosimus studiosus e Cryptocercus.
Il 17 maggio del 1978, l’Italia fu chiamata alle urne per decidere se fosse consentita (politicamente, dove per politica s’intende etica collettiva giuridicamente ufficiale) l’uccisione di embrioni che vivevano la loro placida vita nel grembo materno.
Il 22 maggio, cinque giorni dopo il referendum, fu promulgata una legge che sancì che si poteva abortire entro i primi 90 giorni dal presunto concepimento, cioè fino al terzo mese, e con eccezioni di tipo terapeutico fino al quinto.
Gli animali che votarono tale legge erano della stessa specie (Homo sapiens sapiens) di quelli, che un battito d’ala geologico precedente, gettavano i neonati e alcune tipologie di rei condannati a morte dal Saxum Tarpeium.
L’etica, nelle sue evolute forme, è stata sempre inserita in relazione alla struttura sociale vigente.
L’illustrazione con cui esordisce il settimo e ultimo (temo terribile) capitolo “La storia umana” viene così commentata dall’autore: “Nella savana africana un gruppo di primati africani osservano un branco di ominini loro rivali intenti a cacciare e che finiranno per dominare il mondo.”
Fra la sottotribù degli hominini ci sono gli scimpanzé (Pan troglodytes) del circo e della savana, i bonobo (Pan paniscus)e gli antenati di Leonardo, di Hitler, di San Pio, del sottoscritto (Stefano Pioli), di Omero e di Donatien-Alphonse-François de Sade, signore di Saumane, di La Coste e di Mazan, marchese e conte de Sade, nonché di Vito Mancuso, Edward O. Wilson e i suoi cugini eventuali, Marco Aurelio e Adolf Hitler.
L’etica non è mai, dicevo, naturale, o innaturale, ma è la traduzione naturale della lingua prevista dalla selezione del gruppo attuale: quindi naturalmente destinata a una sua evoluzione/estinzione.
Sic transit moralis mundi!
Il capitolo, in effetti, è pur breve, ma distruttivo e, al contempo, (ri)costruttivo. Shiva e Visnù.
“Le australopitecine sembrano essere state il prodotto di un processo che i biologi professionisti chiamano radiazione adattiva.”
Comincio a capire da dove deriva il mio grande naso.
“Le gambe si allungarono e si raddrizzarono mentre i piedi crebbero per consentire durante il passo il movimento di rullata, cioè lo spsotamentod ell’appogio del tallone alla punta, più efficienti in termini energetici.”
Analoghe variazioni di mascelli, denti e di altre parti fisiche rispondevano a esigenze sempre nuove.
“Di norma i processi di radiazione adattiva che producono specie strettamente imparentate riducono la competizione e permettono a più specie di coesistere nelle stesse località geografiche.”
La differenza fisica non sempre emargina, spesso salva la vita.
“Questa cosiddetta dislocazione dei caratteri sembra che possa aver svolto un ruolo importante nel corso dell’intera evoluzione umana.”
Si tratta dell’“Evoluzione a mosaico”: “Quando si trovano, i cosiddetti ‘anelli mancanti’ tra le specie più primitive e quelle più avanzate tendono a essere un mosaico: alcune parti della loro anatomia cioè sono di solito più progredite di altre. Il motivo è che caratteri diversi si evolvono spesso con velocità diversa.”
Un napoletano in genere s’incunea più velocemente di un norvegese.
“Un forte sviluppo all’evoluzione sociale fu la competizione tra gruppi, spesso violenta.”
Inoltre la “scoperta del fuoco” rappresentò un passo avanti essenziale per la socialità, permettendo il bivaccamento sociale: al stêêr in barâca, as dis a Rês. Che poi le prime baracche fossero all’aperto e accanto a un tizzone acceso ricavato da un fulmine e portato con sé (sicuramente da qualche squaw) qua e là nel territorio, cambia pochissimo.
“Il ruolo della selezione di gruppo nell’origine e nell’evoluzione delle società umane fu davvero rilevante anche se sempre interconnessa con la selezione a livello individuale.”
I maschi degli hominini (e questo vale per i bonomi, gli scimpanzé e per noiatri) “sono di solito i principali aggressori”.
“Il loro scopo è quello di guadagnare una posizione scoiale di dominanza per se stessi e per la banda di cui fanno parte.
I giovani maschi all’interno delle comunità sovente formano delle vere e proprie gang che si dedicano a incursioni lungo i confini con lo scopo evidente di scacciare e uccidere membri di un’altra comunità e acquisire nuovi territori.”
Accidenti, e Gesù?
Dove sta Gesù?
Lo spiegherò alla fine.
“L’intera campagna viene condotta in un modo stranamente umano. A distanza di dieci-quattordici giorni, periodicamente pattuglie che comprendevano fino a venti maschi penetravano nel territorio nemico, spostandosi silenziosamente in fila indiana, perlustrando continuamente il terreno dal suolo alla sommità degli alberi fermandosi improvvisamente in presenza di un qualche rumore nelle vicinanze…”
Dal che deduco che anche gli attuali israeliti appartengono agli hominini.
E forse anche i testimoni di Geova.
“Tra una comunità e l’altra è stato osservato un livello piuttosto diverso di aggressività che tuttavia non era correlato alle attività umana che avvenivano intorno alle popolazioni di scimpanzé. L’osservazione diretta permetteva inoltre di stabilire che tra i vincitori nei conflitti lungo i confini aumentavano sia la possibilità di sopravvivere sia il successo riproduttivo all’intero della loro comunità.
In altre parole la guerra fra scimpanzé influenzava la selezione di gruppo.
I conflitti violenti e con esiti letali sono talmente comuni nelle società umane da suggerire che rappresentino un istinto adattativo nella nostra specie.”
Vito, dov’è finito Cristo?
E nun te preoccupa’, tengo a risposta in da sacca!
L’analisi sociale compiuta sugli aborigeni australiani “dimostra inequivocabilmente che la violenza umana letale – comprendente anche i conflitti tra gruppi – esisteva a tutti i livelli della società, con popolazioni di qualsiasi densità, nella più semplice delle organizzazioni sociali e in ogni tipo di ambiente.”
Lo studio del popolo amazzonico degli yanomamö dimostra che “l’aggressione violenta è di origine territoriale, nel senso che i villaggi sono spesso in conflitto l’uno con l’altro e, come conseguenza, quelli con un numero di individui inferiore a quaranta non possono sopravvivere a lungo. Con l’aumentare della complessità delle relazioni individuali la struttura di individui imparentati diventa meno netta. Le coalizzazioni spesso appaiono formate da individui con ascendenza diversa e che provengono da villaggi distinti. Questi gruppi comprendono maschi di età simile e che sono sovente cugini da parte di madre.”
Mater semper certa est! (da intendersi DNA ex parte)
L’aumentare però della diversa origine, spiega perché taluni giapetingi si siano congiunti coi semiti dell’ISIS a combattere gli yankee (che sono una miscellanea di razze).
Da notare l’affermazione seguente:
“Quando i maschi del gruppo uccidono insieme il loro prestigio cresce ed entrano a far parte di una casta speciale di individui, gli unokai, che di solito si trasferiscono a vivere nello stesso villaggio.”
In ogni forma di gesto aggressivo e bellico si cela una volontà di potenza. L’eroismo è raramente e forse mai un act gratuite.
Vito, te lo giuro, io so dov’è Cristo.
Si cita l’antropologa Polly W. Wiessner (ancora tre pezzi!), tra i sud-africani ju/’hoansi, altrimenti detti! Kung, dove il punto esclamativo indica la consonante clic, che ha un suono che ricorda il tappo tirato:
“… le storie avevano due vantaggi insieme: chi nel complesso riusciva a coinvolgere di più gli altri aveva maggiori possibilità di acquisire riconoscimenti via via che le sue storie viaggiavano, diffondendosi. Chi ascoltava apprezzava l’intrattenimento e, insieme, faceva sue le esperienze degli altri senza alcun rischio personale. Narrare storie è talmente essenziale al fine di ricordare e conoscere le persone al di fuori del proprio accampamento che probabilmente si è verificata una forte selezione sociale a favore della capacità di controllare il linguaggio per raccontare emozioni e trasmettere emozioni.”
George Gissing, da New Grub Street, ascolta tutto questo forse un po’ perplesso, ma interessato.
Vedi, caro Edward, quel che Polly definisce probabile è scientifico. Essa era sperimentale ma anche teorica, a quanto pare. Anche tu, del resto.
Prima di leggere la bibliografia, che culmina ogni volta come un atto religioso simile alla preghiera che le nostre vecchine recitavano in latino senza comprendere più di tanto, commento il tuo libro, caro amico.
È una delle opere che più ricorderò e che mi permettono di comprendere e falsificare (in senso popperiano) alcune opere precedenti, come quelle di Marx, Fromm e Marcuse.
Ora rivedrò le loro tesi alla luce della tua.
Scrivi in maniera illuminante, tanto che suggerirò la tua lettura ai miei figli (uno ventiseienne e l’altra diciassettenne). Sei complesso, ma non complicato, facile anche se non semplice per chiunque abbia un minimo di cultura e la buona volontà di arricchirsi nella sua consapevolezza umana, cioè quella relativa ai tre quesiti con cui iniziai la mia reazione, e tutto questo grazie a te.
Raccomando la tua opera a Paolo De Nardis, autore de “Il crepuscolo del funzionalismo”, ismo che è tramontato più in sociologia che in società.
Le mie frequenti citazioni riportano l’essenziale, ma ogni rigo del tuo libro si rivela un inclito gioiello.
Grazie, pertanto!
E ora a noi due, Vito.
E Gesù?!, mi domandi.
Parli dell’inventore oscuro, bistrattato e mai riconosciuto del villaggio globale?
Egli rappresenta il futuro, purtroppo ancora un po’ distante, dell’umanità.
La sua altissima figura quasi non si scorge all’orizzonte, ma essa rappresenta un punto di riferimento irrinunciabile.
Credi a me.
Anche a Lui.
Sempre, o almeno per i prossimi due o tre mila anni.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Edward O. Wilson, Le origini profonde delle società umane, Raffaello Cortina Editore, 2020
Un pensiero su ““Le origini profonde delle società umane” di Edward O. Wilson: le penultime domande avranno mai una risposta?”