“Una giusta causa” di Mimi Leder: Ruth Bader Ginsburg, avvocato e icona di memorabili battaglie in nome della parità di genere

“Mi hanno detto che le donne sono troppo emotive per fare l’avvocato”.

Una giusta causa
Una giusta causa

Ispirato ad una storia vera, Una giusta causa, film biografico dal contenuto importante, è stato realizzato nel 2018 dalla regista Mimi Leder. In italiano, il titolo è Una giusta causa, mentre nell’originale è On the Basis of Sex (In base al genere).

Titolo alquanto manifesto, intorno a cui ruota un concetto che sottolinea la centralità del ruolo della donna in contrapposizione a quello del maschio, preda di un insensato maschilismo, così come voleva la società americana degli anni Cinquanta.

La protagonista reale, a cui si fa riferimento nella narrazione filmica, in seguito al suo operato, è stata considerata un’icona femminile. Tuttora in vita, Ruth Bader Ginsburg ricopre oggi la carica di giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti.

Ed è proprio l’esempio di questa donna, dalle caratteristiche singolari, che ha dato lo spunto alla regista per mettere in luce una problematica scottante: quella della parità di genere.

In questi giorni difficili dove le donne sono ancora vittime della sopraffazione e della violenza maschile, che spesso portano alla morte, La giusta causa è film di completa attualità, in quanto specchio di un presente che non fa onore al sesso maschile.

“La parola donna non appare neppure una volta nella Costituzione degli Stati Uniti…” 

Fra le poche donne ammesse alla facoltà di giurisprudenza di Harvard, Ruth Bader Ginsburg (Felicity Jones) è una brillante studentessa di legge che, spinta da un raro senso del dovere, e dotata di un’eccellente intelligenza, studia per realizzarsi in una professione, all’epoca soprattutto di appannaggio soprattutto maschile.

Ed è proprio intorno agli anni Cinquanta che prende il via un racconto filmico ben strutturato, che si sposta poi in una sequenza temporale fino a raggiungere i giorni nostri; racconto che si alterna fra vicende professionali, a cui Ruth si dedica affannosamente per vedere affermata la parità di genere e i diritti delle donne, ad episodi della sua vita privata.

In un rapporto armonico e paritario Ruth condivide l’esistenza con il giovane marito, anche lui indirizzato verso studi giuridici per diventare avvocato tributarista; ed è con Marty, il marito (Armie Honner) che stabilisce un rapporto di coppia assolutamente simmetrico. Che vede i due sostenersi a vicenda, e scambiarsi i ruoli all’interno del nucleo familiare.

Nulla è facile per Ruth, donna in un mondo di uomini.

Nessuno le regala niente.

Costretta a confrontarsi anche con una malattia che d’improvviso aggredisce il marito, Ruth reagisce con determinazione e risolutezza alle avversità, perché lei è una combattente nata e non accetta di piegarsi agli incidenti che incontra durante il suo percorso.

Affrontando gli ostacoli con fermezza, Ruth si impegna oltremisura nello studio, il suo e anche quello del marito, sospeso temporaneamente in seguito alla malattia.

Una giusta causa
Una giusta causa

Infine, riuscirà a concretizzare una brillante carriera, ma il percorso per veder realizzata la propria professionalità e per conseguire risultati importanti della causa per cui si batte, sarà duro e irto di ostacoli, i quali agiscono spesso per mano di uomini animati da una mentalità maschilista e obsoleta che vuole la donna occuparsi soltanto del focolare domestico.

Ma Ruth, spinta dalla forza delle sue idee, lavora in maniera indefessa perché al genere femminile vengano riconosciuti diritti ritenuti un tempo inimmaginabili.

E, mentre gli anni passano, e il paese sembra orientato verso un’idea di modernismo, grazie ai movimenti femministi che levano alta la loro voce, Ruth prosegue nelle sue battaglie per la parità di genere; non soddisfatta del ruolo secondario che la donna ancora occupa nell’ambito della società.

Mentre la sua vita coniugale, arricchita dalla nascita di due figli, scorre sui tranquilli binari di un’armonia consolidata, l’avvocatessa non rinuncia a dare battaglia a coloro che vogliono frapporsi fra lei e i suoi ideali. Che non sono fine a sé stessi, ma dettati da un impulso di giustizia sollecitato da un desiderio di uguaglianza, uomini e donne indistintamente.

Sarà proprio questa sua rettitudine a incitarla a battersi per riscattare le donne, considerate di livello inferiore rispetto agli uomini.

Da questa sua spinta, che non è solo emotiva ma dettata anche dal raziocinio, Ruth affronta con passione una causa, per lei più significativa di altre.

Sarà un escamotage, la molla del caso in questione, che non riguarda quello di una donna bistrattata, ma di Charlie, un uomo che accudisce l’anziana madre; accusato di frode fiscale, accusa ingiusta e motivata da una legge paradossale e contraddittoria che, in quanto uomo, non gli vengono riconosciuti alcuni diritti.

“La legge prescrive che una badante debba essere una donna. Questa è discriminazione sessuale nei confronti di un uomo”.

Sarà questo il ‘busillis’ che spingerà Ruth a dare il meglio di sé in una vicenda alquanto controversa, dietro cui si nasconde la negazione di diritti fondamentali che fanno parte sia del mondo femminile come di quello maschile.

A dimostrazione che l’ingiustizia è un elemento che va oltre il genere di appartenenza, ma attraversa entrambi trasversalmente e indistintamente.

Caso simbolo questo, ma fondamentale per mettere in luce iniquità e pregiudizi.

Una giusta causa
Una giusta causa

Sfidando vecchi giudici, detentori di un potere vecchio, Ruth avrà la meglio su di loro, contestando un modello giuridico obsoleto e che andrebbe riformato.

Da lì in poi per Ruth e per le sue battaglie, affinché vengano riconosciuti uguali diritti a donne e uomini, raccoglierà risultati importanti fino a raggiungere vertici altissimi, da cui un tempo le donne erano escluse. Porterà così a compimento il suo credo, realizzando infine una brillante carriera di avvocato.

Esempio per sé e per tutte le donne umiliate da una cupa e perversa mentalità maschilista, ma anche per essere modello, soprattutto per la giovane propria figlia che sembra voler seguire le orme della madre.

“Pensano che la parità di genere sia un diritto civile…”

Sebbene parte della critica non sia stata benevola con la regista Mimi Leder, imputandole di aver presentato la protagonista tramite un modello di donna che, seppur interessata a una problematica di non facile discussione e tanto meno di attuazione, non prende una posizione netta. Ma è superficiale, come qualcuno ha definito il film, oltre che colmo di retorica stereotipata.

Valutazione non oggettiva e fin troppo critica, secondo il mio modesto parere.

La mia opinione di spettatrice e attenta osservatrice della società odierna come di quella del passato, mi porta a dire che la pellicola è ben confezionata sia per il contenuto sia per la forma.

La protagonista è disegnata come una persona caparbia che non si scoraggia di fronte alle difficoltà, ma ostinata va avanti grazie alla volontà che anima il lavoro in cui si è sempre impegnata.

La regista ne ha tratteggiato con pennellate morbide e oneste sì le debolezze, come le sue ‘piccole sommosse’ basate sull’uso delle parole utilizzate in tribunale, parole che si intrecciano fra loro in un insieme simmetrico ed efficace. E soprattutto sono animate da un alto senso della giustizia.

Il film ha anche il pregio di sensibilizzare maggiormente gli spettatori su di una tematica importante qual è la parità di genere. Ed è modello per le nuove generazioni non partecipi dei movimenti femministi legati al passato.

Ruth Bader Ginsburg
Ruth Bader Ginsburg

La pellicola è inoltre motivo di ulteriori riflessioni.

Una per tutte è l’esortazione, come si evince dallo sviluppo filmico, affinché le donne agiscano con determinazione e non si lascino sopraffare dagli ostacoli che inevitabilmente si incontrano nel perseguire le proprie passioni.

Infine, un tocco che dà al film una sua originalità è l’apparizione, della reale protagonista: Ruth Bader Ginsburg, nella sequenza finale della pellicola.

Una donna che non si è arresa a un sistema maschilista, ma è andata oltre, oltre a quello che la sua appartenenza al genere femminile le avrebbe consentito nella società americana di anni più evoluti rispetto al passato, quella degli anni ’70, dove la discriminazione di genere era ancora legittimata legalmente.

“Esistono almeno 168 leggi discriminanti sulla base del sesso”.

 

Written by Carolina Colombi

 

 

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