Le métier de la critique: Auguste Comte versus Carmelo Bene
Scorrendo il quinto volume della Storia della Filosofia di François Châtelet, un singolare avvenimento, quasi un miracolo, sia pure negativo, turba la mia morigerata esistenza di bevitore di parole estremamente facile all’entusiasmo.

Per la prima volta, dopo la lettura di un capitolo dedicato a un filosofo, non solo io non m’identifico in alcun modo con lui, ma insorge in me una terribile nausea, causata da una istintiva avversione che mi forza alla ricerca affannosa di una specie qualsiasi di antidoto.
Il veleno ha un nome: Auguste, e una qualità: l’Ottimismo del Positivismo.
Il rimedio, senz’altro più tossico ancora, ha un altro nome: Carmelo, e un’altra qualità: l’Insufficienza dell’Inadeguatezza.
Io so che il mio cuore segue il Bene, ma sono a conoscenza anche di ciò che “compta” nella vita. La frattura tra ciò che so e ciò di cui sono fatalmente a conoscenza mi provoca quella forma di vomito bulimico che si chiama scrittura dell’Io…
Auguste è figlio della propria crisi. La Rivoluzione francese rappresenta una specie di fuga dalla società costituita, di scioglimento dai legacci della normalità dell’esistenza intesa nel suo significato sociale. La religione è, per l’Auguste post-rivoluzionario, il collante ideale per riattaccare l’uomo all’idea di essere una parte del tutto, in un ordine sociale intriso della soggettività gravitazionale del filosofo (del suo impellente desiderio, della sua necessità psicologica), cui corrisponde una gerarchia intesa come sistema di collegamento del particolare col totale.
Come la società è scomponibile (e ricomponibile) in classi sociali, così i vari individui sono sistemabili in una successione di tipi psicologici, anch’essa di tipo gerarchico, secondo criteri astratti, in una ciclicità complessa e definitiva.
Occorre neutralizzare gli effetti dell’instabilità congenita alle scienze, regolandole in un unico, rigido e arbitrario schema di ordinamento, che eviti sconfinamenti intellettuali o mutazioni pericolose del pensiero. Le scienze devono formare un tutto diviso (e unito) da scompartimenti chiusi e invalicabili dallo stesso ricercatore scientifico, la cui figura viene ridotta a quella di burocrate autorevole, e la cui azione si iscrive in un movimento inane e necessario, del tutto avulso dalla natura.
Il passato storico viene preservato religiosamente dal presente, e dai suoi effimeri rischi. La storia è un circolo ermetico, che imprigiona l’uomo da cui è, a sua volta, reclusa. La natura umana è l’invariabile fondamentale.
La sociologia, intesa come fisica sociale, religiosamente compie il girotondo della società in una teoria finitamente infinita, i cui punti focali sono individuati dalla proprietà, dalla famiglia, dal lavoro, dalla patria e dalla religione, e il cui verso è determinato dalla morale che conduce ogni segmento a interiorizzarsi col tutto.

Ad ognuno la sua funzione: l’operaio deve funzionare da operaio, la donna da donna, e possibilmente da moglie. Quest’ultima ha il compito di difendere l’unione monogamica, di cui è, al contempo, sacerdotessa e prima fedele. La morale è la scienza suprema che condurrà l’uomo ad affidare il suo specifico d’individuo alla società.
Lo spirito positivo, legato religiosamente alla vita sociale, casca dall’alto come una benedizione papale e avvolge la comunità come un lenzuolo tiepido e illusoriamente leggero.
L’individuo, privato della sua soggettività, appartiene alla società, come un osso al proprio scheletro, in una filosofia organicista, secondo cui ad ogni ente spetta un unico ruolo. Nulla possiede un valore soggettivo, ma ogni ente è riformato dal suo proprio valore.
La coscienza sociale trasferisce la soggettività dell’individuo nella personalità del Grande Essere dell’Umanità.
Il filosofo diventa l’essere più inutile del mondo, pur essendo il suo quasi onnipotente educatore e sacerdote. La sua funzione è quella di rendere inutile la propria presenza: è il bellicoso tiranno che impedirà ogni guerra (di religione) futura. La sua scienza si converte in religione di tutti e in inutile ma basilare rito sociale, a cui occorre sottomettersi.
L’uomo, e la sua Storia, e tutto quanto gli compete, è cristallizzato, congelato, mineralizzato, una tantum. La scienza perde l’antico vizio speculativo e la religione acquista il nuovo carattere di scienza pratica che si occupa di soli fatti positivamente certi e della socialità dell’individuo…
Questa è la realtà del sinedrio.
Il tempo passa, lo spazio puzza.
Compio ora il tradimento dell’amatissimo e inerme profeta.
Con la bocca ancora impastata dal fiele augustiano, mi inerpico fino all’ultimo gradino della biblioteca, ove giace, silente dal 19 Novembre 1983, il libretto negativista “La voce di Narciso” della persona Carmelo. Lo rileggo con avidità, una riga sì e due no.
Ecco i brandelli che riesco a brancicare, ancora sanguinanti:
“… Il teatrino dell’io frantuma, e il soggetto s’innamora a giocare…”
“l’impunità, recidiva immunità dei morti…”
“Tutto il resto è teatro…”
La frantumazione materiale della parola (come nei romanzi della Marguerite, ma di più, tanto di più!), del grido e del gesto produce il massimo grado di espressività (cioè di energia, secondo la famosa equazione albertiana, per cui essa è direttamente proporzionale alla quantità di materia per il quadrato della velocità della luce) nel Macbeth di Carmelo apparso in televisione.

La critica dell’opera è impresa impossibile: chi ci provasse dimostrerebbe unicamente la propria ignoranza.
Mi sembra ier l’altro, ma è verso la fine degli anni Settanta che mi reco al Teatro Municipale di Reggio Emilia per assistere al “Riccardo III”… La voce fuori campo di Carmelo avverte con calma nervosa che l’opera di Willy è semplice, ma, non per ciò, facile.
Il sipario si leva e appare l’Attore, appoggiato in modo instabile a un baldacchino. L’attenzione del pubblico è rivolta unicamente a Lui, null’altro essendo in scena. Egli vacilla per un attimo, come se perdesse l’equilibrio. I Reggiani cadono nel tranello e ridono, idiotamente (il “riso orrendo dell’idiota”). L’Attore si volta verso di loro e li fulmina con lo sguardo. L’errore, volontario o meno, ora pare a tutti necessario…
Io patisco grandemente fino a che il sipario non si chiude…
Carmelo, felice, uscirà più volte a ringraziare e a indicare, generosamente, le altre Maschere…
Torna a Reggio, il folle, 2 o 3 anni dopo, col “Manfred”. Io giungo a teatro con l’animo del discepolo che vuol essere iniziato e corrotto dal Maestro. Il ragazzino, che ha le mani callose dell’apprendista manovale, non capirà nulla della lezione, ma ne sarà grato ugualmente. Cosa prova realmente? Pietà, compassione, pena: in altre parole un’ammirazione infinita… Teme, soprattutto che a Carmelo succeda qualcosa, che incespichi, o balbetti, o si scordi una battuta, o che entri tardi col respiro, e che si faccia… del male: Pietas, passio, cioè sofferenza, poena, intesa come castigo catartico. E poi se ne torna a casa, fiero di aver assistito ad un’avventura che, pur terribile, lo ha fatto progredire lungo il cammino dell’…?
La teoria della relatività ha invero rivelato che non ha più senso, in fisica, il parlare di corpi, bensì si deve ragionar di eventi: il tempo è una variabile soggettiva non di un effettivo corpo, dunque, ma di un certo e probabile evento. L’interazione fra due o più corpi crea un evento, apparentemente e soggettivamente disgiunto da ogni altro… Ogni evento, però, ne racchiude infiniti altri, e da altri, infiniti, ne è racchiuso…
Ecco, ogni rappresentazione di Carmelo è un Evento… un Accadimento in cui è compreso l’Attore e alcune persone del Pubblico…
Dunque, assisto, insieme a mio figlio (di tre anni), all’evento “Macbeth”… Michelangelo è rapito (noto la fissità del suo sguardo) dai gesti e dai suoni dell’Attore. Egli non capisce, ma è capito… Il capio latino è prendere ed essere preso.
Le barriere che pongono dei limiti alla comprensione (voglio dire all’incomprensione) sono sospese, poiché il fardello della cultura non facilita ma rende problematica l’accettazione del vuoto… Il cuore di Michelangelo, ancora vergine, è catturato…
Il suo interesse, che mai sarebbe sbocciato per un’opera teatrale di tipo tradizionale, testimonia l’universalità del linguaggio privato di cultura di Carmelo. La cultura pervade ogni parola del testo, ma è svuotata del suo senso, della sua fisicità…

Lo svuotamento, però, accade durante l’evento, e non mai prima. La massa gravitazionale viene esercitata dall’evento Benefico su quelli ad esso esterni, e forma quell’Evento unico di cui si è detto… La materia contenuta nei versi, nei gesti, nelle scene, si sublima in un’energia che viene liberata in quel presente proprio e assoluto, che è proprio del rito religioso che accade nel Tempio-Tempo: l’Evento mistico…
Chi è presente (nell’assenza altrui, di chi invece si distrae, fissando magari, un po’ sfinito, l’orologio) è raggiunto da un’energia centrifuga (E = mc2) che ne muta per sempre la cifra esistenziale… L’energia racchiusa in un singolo avverbio può distruggere una città intera oppure illuminarla!
Il valore (non il ruolo) del CatalizzAttore è quindi di fornire al giovane la fonte energetica necessaria all’azione: ora, domani (e mai più).
Egli è lo spirito-guida, il mio lama!
Ed è in quel fuoco che forgerò l’anima!
Written by Stefano Pioli