“Augustus” di John Williams: l’immagine inedita dell’imperatore di Roma

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Gaio Ottaviano si trova ad Apollonia quando riceve la notizia dell’uccisione di Giulio Cesare in Senato, a Roma. Una notizia sconvolgente, perché il ragazzo è nipote del condottiero, verso il quale nutre un affetto filiale, ricambiato al punto che lo zio lo ha adottato.

Augustus

Molte emozioni si affollano nel cuore del giovane; dolore per la perdita del caro congiunto, certo, ma anche preoccupazione per il peso che sta per ricadere sulle sue spalle e che potrebbe schiacciarlo, inesperto com’è. L’eredità che Cesare gli lascia, oltre al proprio nome, è infatti una situazione politica incerta, una Roma divisa in fazioni e lacerata da lotte intestine che egli non è riuscito a stroncare.

Augustus (Fazi Editore, 2017, pp. 409, trad. di Stefano Tummolini), il romanzo che valse a John Williams il National Book Award nel 1973, muove dalle Idi di marzo del 44 a.C., quando Ottaviano è un ragazzo di diciotto anni, gracile e cagionevole di salute. Ciononostante egli è assai determinato a vendicare la morte dello zio e a proseguire la sua opera per pacificare Roma e riportarvi la prosperità.

Augustus è un romanzo storico in parte epistolare, in parte strutturato sull’intreccio di frammenti di diari, memorie e atti pubblici. Williams avverte che ha compiuto errori deliberati e che quasi tutti i documenti sono frutto di invenzione letteraria. È per questo che l’immagine di Ottaviano che emerge da quel concerto di voci ‒ quelle dei personaggi a lui più vicini, amici e nemici ‒ ricorda non poco Stoner, altra creatura di Williams. Stoner è un ‘eroe’ normale, un uomo che non cerca di nascondere le proprie debolezze e non se ne vergogna. Così Ottaviano non è l’Augusto Imperatore ma un giovane che diventa marito, padre e servitore di Roma. Proprio come in Stoner, rispetto all’azione Williams privilegia la dimensione psicologica del suo protagonista, sceglie di metterne in luce i dissidi interiori come se fosse un uomo qualsiasi.

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Alcuni di quelli che crede amici non esitano a tradirlo, e perfino l’amata figlia Giulia sembra coinvolta in una cospirazione contro di lui. L’Imperatore ne decreterebbe la condanna a morte ma il padre no, il padre perdona. E allora Ottaviano si fa guidare dal cuore e salva la vita della figlia esiliandola senza mai più rivederla, ma sempre pensando a lei, alla sua “piccola Roma”, con nostalgico amore.

La figura di Ottaviano emana quella “nobile semplicità e quieta grandezza” di cui parla Winckelmann; prudente, cauto, saggio, tutte le sue decisioni sono ispirate dalla volontà di fare il bene di Roma.

“Cesare Ottaviano è Roma; ed è questa, forse, la sua più grande tragedia”

La ragion di Stato richiede spesso un sacrificio; quello dei giovani chiamati a versare sangue sul campo di battaglia, quello degli uomini di governo, costretti a tradire affetti e amicizie nel gioco delle parti che la politica impone. Anche le donne devono sacrificare la vita a Roma piegandosi a matrimoni invisi ma necessari per siglare alleanze vantaggiose. E Giulia, costretta a sposare l’odiato Tiberio, non si sottrae al volere paterno.

“Devo dare la vita?”

“Sì […]. Devi. Se dipendesse da me, non te lo chiederei. Non ti permetterei di sposare un uomo simile. Ma non esisto solo io […]”

John Williams

Giulia è una donna inquieta ed elegiaca, ingabbiata in matrimoni imposti: la “piccola Roma” viene fagocitata da quella grande e allora trova una via di fuga dalla realtà abbandonandosi alla lussuria fino a quando trova l’amore.

La prosa di Williams è limpida come sempre. Delicata, la sua penna tratteggia personaggi perfettamente caratterizzati ‒ l’odioso Cicerone, il perfido Tiberio, la stratega Livia ‒ che vibrano di emozioni e traccia un affresco dell’età augustea con le sue luci e ombre. Il tono è pacato, come pacato è Ottaviano.

Quest’ultimo è stato baciato dagli dèi, ma il prezzo che deve pagare è altissimo; ha donato a Roma la libertà ma è l’unico a non essere libero, ama ma non può farsi guidare solo dall’amore, dà grande valore all’amicizia ma non ha amici, è l’Augusto, ʻaltissimoʼ, ma proprio perché così in alto, egli è solo.

“Padre, gli domandai, ne è valsa la pena?”

È una domanda secca quella che Giulia rivolge al padre. Essa richiama l’interrogativo che Stoner si pone quando sente avvicinarsi la fine: “Cosa ti aspettavi?”. Sono domande che non permettono di barare ma richiedono onestà, prima di tutto con se stessi.

Vale la pena essere l’uomo più potente al mondo ma non avere accanto nessuno di cui fidarsi?

Vale la pena rinunciare alla felicità in nome della sopravvivenza dell’Impero?

O forse è preferibile la condizione della serva Irzia che ha condotto una vita modesta ma felice e attende serena la fine confortata dall’affetto dei figli?

Con Augustus Williams dimostra che si può scrivere un capolavoro senza narrare le imprese roboanti di un Imperatore ma conservando la sua umanità. Williams presenta un Augusto inedito, che non si trova nei libri di Storia e lo fa dando voce ai tormenti di un adolescente che si trova catapultato in un mondo spietato, ai dubbi di un padre, alle angustie di un uomo per cui Roma era molto più che una città. Era la sua seconda figlia.

 

Written by Tiziana Topa

Photo Augustus by Tiziana Topa

 

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