Pier Paolo Pasolini: non abbiamo il diritto di usare l’immagine della violenza come bandiera della perdita
“Uno straccetto rosso, come quello/ arrotolato al collo ai partigiani/ e, presso l’urna, sul terreno cereo,// diversamente rossi, due gerani./ Lì tu stai, bandito e con dura eleganza/ non cattolica, elencato tra estranei// morti: Le ceneri di Gramsci… Tra / speranza/ e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato/ per caso in questa magra serra, innanzi// alla tua tomba, al tuo spirito restato/ quaggiù tra questi liberi.” – Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci
Ieri, 2 novembre 2018, sulle bacheche di molti sono comparse le foto del suo viso tumefatto, del corpo straziato.
Come il segno tardivo di un pentimento, di una partecipazione che adesso si fa largo, forse fomentata dalla solitudine e dalla disperazione di questo nostro tempo di violenza e di incertezza.
Però, proprio in questi nostri tempi confusi, il volto e il corpo assassinati compaiono come i segni di un lutto che solo adesso piomba sugli italiani, che solo adesso gli italiani comprendono in tutta la sua tragicità, perché sono rimasti soli ad urlare, a violentare e a farsi violentare.
Pare che solo oggi, quando gli intellettuali non sanno inseguire le lucciole e i sedicenti tali le calpestano con i test e i giochetti da settimana enigmistica maldestri e inconcludenti, pare che solo oggi il lutto sia diventato finalmente insopportabile.
Ma il lutto non si addice a Pier Paolo Pasolini, gli italiani che ieri postavano il suo corpo coperto dal lenzuolo sulla sabbia ostiense sporca di sangue sono arrivati in ritardo. Lo strazio è in ritardo: ieri come oggi e come domani.
Perché Pasolini è l’intelligenza luminosa, piena di grazia. Tutto in un sorriso che pensa, apre e decompone, accoglie e raccoglie e poi ripone, ricostruisce, conserva.
No, non credo sia giusto lasciare i Poeti nella commiserazione.
Non è la Morte a negare il ritorno, non è la Morte a fare del corpo scempio. Ma poi tutto questo, davvero, non riguarda i Poeti.
Capire, indagare, fare giustizia sta ai vivi.
I Poeti non smettono mai di sorridere e di andare, non smettono mai di accompagnare, di restare e di tornare e di splendere come una stella, come un rammendo sull’abito di un ragazzino felice.
Non abbiamo più il diritto di usare l’immagine della violenza come bandiera della perdita, abbiamo il dovere di recuperare radicalmente una eredità intellettuale fino alla sua più intima essenza.
Abbiamo il dovere di studiarla e di penetrarla.
Abbiamo il dovere di andare oltre le banalità, la comodità di assoluzioni da lettino freudiano e di giustificazioni blasfeme che vogliono distrarre dal nitore di un talento multiforme, di una capacità di analisi e astrazione spaventosa perché non addomesticabile come erano quelle di Pasolini.
Ecco perché non può essere un corpo sbranato epitaffio di un uomo libero.
Written by Irene Gianeselli