Life After Death: l’intervista a Börte Ujin, la moglie dell’imperatore Gengis Khan
Ed eccoci di nuovi qui, amici per un’altra intervista. Quest’oggi abbiamo sconfinato in territori molto ad est dell’Europa e abbiamo raggiunto la terra di uno dei più grandi conquistatori della storia.
Siamo nell’anno 1230, nelle steppe della Mongolia, terre dell’imperatore… anzi del Gran Khan Temujin, meglio conosciuto come Gengis Khan, l’uomo che ha riunito tutte e tribù dei mongoli sotto un unico vessillo e che ha creato il più grande impero del mondo (rumore di campanelli).
Ora stiamo entrando nella tipica tenda di un accampamento mongolo, la Gher. L’ambiente è decisamente suggestivo. Al centrò c’è il focolare… si sente ancora un leggero odore di fumo che si mischia al cuoio e al tabacco. I due letti, cassapanche, sgabelli e tavoli in legno… ci sono anche delle selle.
E se vedeste che colori… è dominante l’arancione e l’oro. E i tappeti… ma non sono qui per fare un documentario. Tornando a noi, prima di iniziare devo avvisarvi, cari amici, che non siamo qui per il Khan, bensì… (inciampa sullo stipite) Ahi!
Börte Ujin: Tornate indietro!
A.T.: Come dite?
Börte Ujin: Tornate indietro e rientrate! Non sapete che porta male calpestare la soglia di una gher? Tornate indietro!
A.T.: Come preferite (torna indietro) Ecco. Come stavo dicendo amici oggi sono qui per intervistare la moglie di Gengis Khan. (rientra) I miei rispetti imperatrice.
Börte Ujin: Chi siete voi?
A.T.: Sono una… una cronista, mia imperatrice.
Börte Ujin: Una cronista? Non capisco. Avete chiesto udienza. Perché?
A.T.: Mia signora, io sono venuta oggi, per potervi parlare, porvi alcune domande in merito a…
Börte Ujin: Voi vorreste porre domande a me? Io sono l’imperatrice Börte, signora dell’impero dei mongoli sotto il cielo azzurro del dio Tengri. Chi siete voi per porre domande a me? Se di domande si tratterà, sarò io a porle.
A.T.: Perdonatemi. Non era mia intenzione essere sgarbata. Il mio intento non era certo quello d’interrogarvi, bensì d’intervistarvi.
Börte Ujin: Noto che avete uno strano colore della pelle. Bianca. Ho sentito alcune storie secondo cui, superate le nostre steppe infinte ed il grande deserto del Gobi, ci sarebbe un’altra terra popolata da gente con la pelle bianca e gli occhi a palla. Venite da quella terra?
A.T.: Sì vostra maestà. Vengo dall’Europa.
Börte Ujin: Europa? Non conosco questo nome. I pochi mercanti che si avventurano oltre i nostri territori lo chiamano in molti modi. Il vostro immagino sia uno dei tanti. Vi ripeto la domanda. Perché avete chiesto udienza a me?
A.T.: Ecco… mia signora, come dicevo, forse non mi sono spiegata troppo bene. Io sono una cronista. Il mio compito è quello di riportare la storia secondo le testimonianze delle persone che intervisto… a cui pongo domande. Il mio desiderio, se a vostra maestà non crea disagio alcuno, è quello di porvi alcune domande, per far luce sulla vostra persona. Conosciamo ovviamente la grandezza di vostro marito Temujin ma…
Börte Ujin: Come osate! Solo a me e ai suoi figli era concesso il privilegio di chiamarlo per nome! Per tutti i suoi sudditi, mongoli o di altre terre oltre le montagne, le steppe e i deserti lui era Gengis Khan! Primo imperatore e pacificatore delle tribù mongole! Come vi permette di nominare il suo nome con tanta leggerezza in mia presenza!?!
A.T.: Chiedo di nuovo perdono. Sono una straniera in terra straniera, non era mia intenzione mancare di rispetto né a voi né tanto meno a vostro marito.
Börte Ujin: Ed è l’unico motivo per cui avete ancora la testa sul collo. I miei figli certo non avrebbero lasciato correre. Ma io sono una donna, e come tutte le donne mongole ho più autocontrollo di un uomo preso dall’ira. Ma badate bene… la mia ira può essere feroce quanto quella di qualsiasi guerriero. Quindi usate più rispetto!
A.T.: Come desiderate mia signora.
Börte Ujin: Per farvi perdonare, perché non mi parlate ancora di questa terra oltre i nostri confini. È davvero tanto vasta quanto ho sentito?
A.T.: Molto vasta mia signora. Anche noi europei abbiamo avuto le nostre gradi conquiste. Molti anni fa il popolo dei romani, potenti guerrieri avevano conquistato l’allora mondo conosciuto.
Börte Ujin: E che fine hanno fatto?
A.T.: Bè il loro retaggio esiste ancora ma… il loro impero ormai è caduto.
Börte Ujin: E quanto hanno regnato questi… romani, avete detto?
A.T.: Per moltissimo tempo mia signora. Erano un popolo forte, fiero, nato proprio nella terra di cui ho i natali e sono fiera di portarne il retaggio.
Börte Ujin: Dunque oltre che “cronista” sareste una guerriera?
A.T.: Ehm… no mia imperatrice. Io non ho mai impugnato un’arma.
Börte Ujin: Allora di che cianciate? Portare un retaggio significa prendersi sulle spalle il passato che i nostri antenati ci hanno tramandato, di padre in figlio e di madre in figlia. Voi non siete una guerriera eppure vi vantate di avere un simile passato illustre? Che sciocchezza! Mio marito era un guerriero, il padre di mio marito era un guerriero e suo padre prima di lui. Questo è un retaggio! Ci si può vantare dei propri antenati… non del passato di qualcun’altro!
A.T.: Avete ragione imperatrice. Diciamo che il mio è, quello che noi definiamo “orgoglio nazionale” ma non ho legami con un così lontano passato. O se li ho, ammetto di non conoscerli.
Börte Ujin: E ora?
A.T.: E ora cosa, vostra maestà?
Börte Ujin: Mi avete riferito del passato della terra da cui venite. Ora, nel presente invece, com’è? Descrivetemela.
A.T.: Dunque vediamo… siamo nel 1230 quindi l’Europa è in Basso Medioevo. Si sono formate da poco tempo i primi veri stati Nazionali come il Portogallo, la Francia, l’Inghilterra…
Börte Ujin: Insomma la vostra Europa ora è divisa?
A.T.: Per il momento sì… diciamo che la Grande Europa non è ancora nata. È ancora divisa in molte terre grandi e piccole. Ci sono già Stati grandi come Francia ed Inghilterra, ma in luoghi come l’Italia del Nord e l’attuale Germania i popoli sono ancora divisi e separati.
Börte Ujin: Insomma ci sono tante tribù. E quante?
A.T.: Bè non sono esattamente tribù. Ecco una differenza sostanziale tra il popolo mongolo ed il mio è che noi, almeno la maggior parte di noi, ha abbandonato il nomadismo da tempo. Ora costruiamo e abitiamo in grandi città. Siamo stabili.
Börte Ujin: Siete statici, vorrete dire! Una cosa che noi mongoli non saremmo mai in grado di fare. Non viviamo bene in palazzi e stanze chiuse come i cinesi. Noi siamo nati per vivere nelle pianure, cavalcare nelle steppe, nei deserti e sulle montagne. Come diceva mio marito, i mongoli come i cavalli selvaggi. Hanno bisogno di correre per vivere. L’immobilità rende l’uomo mongolo pigro e apatico, un pessimo guerriero e un marito peggiore.
A.T.: Come dire “chi si ferma è perduto”.
Börte Ujin: Sì. Potremmo dire così. Ma torniamo ai vostri… come li avete chiamati? Comuni?
A.T.: Sì imperatrice. Ecco, per farvela breve, sono grandi città che estendono il loro dominio sulle terre circostanti e accolgono moltissime persone. Non sono quindi delle tribù.
Börte Ujin: Insomma alti popoli sedentari. Se è così allora non m’interessano. Il nostro impero si sta espandendo ben oltre le previsioni di mio marito. Se raggiungeremo questa… Europa… potevo consigliare a mio figlio Ogotai di stringere un’alleanza con loro ma…
A.T.: Pensavate ad alleanze militari con i Comuni?
Börte Ujin: Naturalmente. Perché fate quella faccia? Vi sorprende? Io sono stata al fianco di mio marito in molte delle sue battaglie. Ero solita dargli molti consigli e a volte era lui stesso a chiederli. Noi donne dobbiamo sostenere i nostri uomini in ogni aspetto.
A.T.: Anche in Europa c’è questo concetto… solo non è proprio paritario.
Börte Ujin: Che intendete dire?
A.T.: Bè in Europa la figura della donna, non è molto rispettata. È considerata più che altro per fare figli. Non può possedere nulla, la sua vita è decisa da altri… è solo l’uomo a decidere nella vita di tutti i giorni. Nel matrimonio poi…
Börte Ujin: La donna soggiogata sino a questo punto dall’uomo? Ma che razza di terra è mai questa Europa? Sanno almeno cavalcare, usare un’arma… sono almeno istruite come donne?
A.T.: Quel poco che basta per farle leggere e scrivere, quanto andare a cavallo e impugnare armi? No, nella società europea una donna che impugna un’arma non è concepibile.
Börte Ujin: Una terra in cui la donna non sa cavalcare, combattere e che non ha libertà di nessun tipo? Francamente non so che pensare.
A.T.: Ma a me risulta comunque che anche tra le tribù mongole la donna non sia così libera. Nella società dei nomadi una donna, come in Europa ha l’obbligo di fare figli, di essere madre e custode del focolare. Dipende completamente dalla volontà del padre, dei fratelli maggiori e, in seguito, di un marito che non può scegliersi. Non vedo queste grandi differenze.
Börte Ujin: Nella nostra cultura la donna ha anche i medesimi diritti e doveri di un uomo! La legge è uguale per tutti! L’uomo inoltre rispetta la moglie e l’amante come rispetta suo fratello ed è tenuto a trattarle con ogni riguardo possibile! La differenza è il rispetto reciproco!
A.T.: Rispetto?… vogliate perdonarmi imperatrice ma… il rispetto non implica anche la fedeltà?
Börte Ujin: Certamente… e allora?
A.T.: Allora… perché gli uomini mongoli hanno più mogli? Nella nostra cultura il talamo nuziale può essere condiviso con una sola donna, ovvero con la moglie.
Börte Ujin: Ed è quello che facciamo.
A.T.: Sì ma… più di una moglie? Nella nostra società vede, è sconveniente, oltre che proibito, avere più di una moglie. Nella nostra religione, oltre che cultura, negli sponsali si giura eterna fedeltà l’uno all’altro, nel corpo e nell’anima, finché solo la morte non ci separi. Non è concepibile per noi offrire la propria fedeltà a più di una donna contemporaneamente.
Börte Ujin: Se è per questo mio marito ha avuto anche parecchie amanti, oltre ad altre mogli. Ma non mi sono mai sentita minacciata da nessuna di queste donne.
A.T.: Perché mai?
Börte Ujin: Perché mio marito amava me. Che condividesse il letto con altre, lo faceva per un unico motivo. Continuare la sua stirpe e dare al mondo nuovi guerrieri che portassero il suo sangue. Ma solo a me e ai figli che io ho dato alla luce concedeva il suo amore incondizionato.
A.T.: Forse sarà perché europea e sono cresciuta con determinate dottrine ma… comunque non riesco a concepire questa faccenda.
Börte Ujin: Così come io non concepisco la donna schiava dell’uomo e il basare le proprie tradizioni sulla religione di Stato e non sulle capacità degli uomini. Queste cose io le trovo assurde. Noi non abbiamo l’abitudine di attribuire al dio Tengri tali incombenze. Il vostro dio ha un nome?
A.T.: A seconda delle culture sì ma… noi lo chiamiamo semplicemente Dio.
Börte Ujin: Un dio senza un nome? Si parlava di cose inconcepibili.
A.T.: Per voi invece è Tengri il vostro dio più importante vero? Lei stessa lo ha nominato.
Börte Ujin: Sì. Il dio del cielo blu eterno e signore dei tuoni. Si racconta che, il cielo in tempesta è un segno che il dio è in collera. Per questo tutti i mongoli temono i tuoni. Tutti tranne mio marito.
A.T.: Vi andrebbe di parlarmi un po’ di lui? Come vi siete conosciuti? Come è stata la vostra vita insieme? Sapete… nella nostra terra non si conoscono questi racconti. Mi piacerebbe saperli da voi.
Börte Ujin: Ci sono già abbastanza canti in merito. I nostri cantori e i guerrieri si divertono ad inventare storie epiche e romantiche sul nostro incontro, e ogni volta che li sento son sempre diversi.
A.T.: Forse dipenderà dal fatto che sono solo racconti orali e non scritti.
Börte Ujin: Credo anch’io. Comunque il nostro fu quasi un incontro fortuito. Yesugei, il padre di mio marito lo stava portando in viaggio tra le tribù per scegliere una sposa adatta a lui. È tradizione mongola che già a dieci anni i ragazzi scelgano la loro futura sposa.
A.T.: Molto piccoli insomma.
Börte Ujin: No affatto. A dieci anni i nostri bambini sanno già cavalcare e alcuni sanno usare coltelli e archi. per noi l’infanzia dura molto poco. Non appena si ha l’età per rendersi utili alla comunità ci si assume i primi incarichi. Ricordo, che ero appena tornata alla gher di mia madre quando seppi che avevamo un ospite e mi sarei dovuta preparare al meglio. Mio padre, capo della mia tribù aveva accolto Yesugei e suo figlio Temujin nella sua gher. Avevo appena finito di vestirmi col mio abito migliore. Poi andai fuori… nella fretta non avevo ancora legato il cavallo. È stato allora che incontrai per la prima volta Temujin. Stava osservano il cavallo e non mi aveva colpito all’inizio. Ma quando poi ha puntato i suoi occhi su di me…
A.T.: Amore a prima vista?
Börte Ujin: Non lo definirei amore. Ma ci fu un momento in cui… capii che quel ragazzino poco più basso di me aveva qualcosa di diverso. Non seppi spiegarmelo allora. Quando scoprii che mio padre, in accordo col padre di Temujin mi aveva promesso a lui, ne fui felice. Sentivo che era giusto… che era il mio destino. Non mi costò neppure aspettarlo per tanti anni.
A.T.: Per via della sua cattura giusto? Ad opera del guerriero Targutai e delle sue orde.
Börte Ujin: Sì. Dopo l’assassinio del padre, Temujin fu tenuto prigioniero per anni. Solo dopo aver riconquistato parte del suo potere come capo tribù ritornò da me. E io l’avevo aspettato pazientemente. Sapevo che sarebbe tornato a prendermi. L’ho sempre saputo ogni volta che si allontanava da me per andare in battaglia. Così come sapevo che sarebbe venuto a salvarmi quando fui presa in ostaggio come bottino di guerra e donata in sposa al fratello del capo tribù dei Merkit, rimanendo prigioniera per poco meno di un anno.
A.T.: Quando lei restò incinta giusto? Del suo primo figlio Zuci.
Börte Ujin: Il mio primogenito.
A.T.: Che suo marito ha sempre trattato come suo, nonostante…
Börte Ujin: Nonostante cosa?
A.T.: Bè… nonostante si pensasse che in realtà fosse figlio dell’uomo che l’ha tenuta prigioniera proprio nel medesimo periodo.
Börte Ujin: Zuci era figlio in tutto e per tutto di mio marito! Temujin lo ha sempre trattato come tale perciò era suo figlio! Ha pianto lacrime quando è morto tre anni fa, esattamente come i suoi fratelli. Quindi non osi mai più mettere in dubbio questo! Mio figlio ha sofferto abbastanza in vita… sempre circondato dalle malelingue. Che almeno nella morte riposi in pace e cavalchi insieme a suo padre nelle steppe del grande Tengri come un qualsiasi guerriero!
A.T.: Suo marito infatti, è morto pochi mesi dopo vero?
Börte Ujin: Rimase ferito in battaglia, ha continuato però a cavalcare come un qualsiasi mongolo. Nell’istante in cui poi lo portarono da me e mi dissero che era caduto da cavallo… lì capii che era giunto il suo momento. Un mongolo per quanto vecchio non rinuncerebbe mai ad ergersi su un cavallo. Se mio marito, il gran Khan dei mongoli non poteva più farlo… poteva voler dire solo una cosa. Ma anche in punto di morte mio marito non abbandonò la sua ultima battaglia. Dettò dal letto di morte a Tolui, nostro figlio più giovane tutte le istruzioni per completare la distruzione dell’impero Chin.
A.T.: Ed ora suo figlio Ogotai è il Khan dei Khan.
Börte Ujin: Sì infatti. Decisione che sorprese anche me in realtà. Mio figlio Tolui è sempre stato il miglior guerriero e condottiero. Tutti, compresa me, pensavano che sarebbe stato il successore più adatto, una volta morto Zuci. Lo sapevano tutti che le caratteristiche di combattente le ereditano i figli più giovani. Invece in punto di morte mio marito preferì Ogotai.
A.T.: Secondo lei perché? Forse Ogotai si era distinto in battaglia?
Börte Ujin: No. Mio figlio Ogotai è un uomo che sa usare il cervello, è scaltro e dotato di maggiori qualità… “politiche” per così dire, ma non è un grande condottiero. Non per nulla, ancora oggi sono io quella con cui si confida per tattica e strategia. Si fida più di me che dei suoi stessi generali.
A.T.: E Tolui? Non restò amareggiato?
Börte Ujin: In principio ammise di sì, ma amava suo padre e ne rispettò le ultime volontà.
A.T.: Ha parlato dei suoi figli ma… posso chiedere… com’era il Gran Khan? Dico, come uomo, come marito, non come guerriero.
Börte Ujin: Era un uomo, come tutti gli uomini mongoli. Rispettava me e le mie opinioni e mi ha sempre permesso di essere me stessa. E non si è mai posto sopra gli altri. Si è sempre ritenuto un mongolo prima di un capo mongolo. Non era raro che rientrasse ubriaco dopo aver trascorso la sera coi suoi generali e amici. Ma se succedeva… sapeva benissimo che non doveva entrare nel mio letto. Ho sposato un mongolo, non un ubriacone. Una volta ci provò… le assicuro che gliene ho fatto pentire.
A.T.: Insomma… era un uomo.
Börte Ujin: E amava tutti i suoi figli, sia i maschi che le femmine e con tutti ha cercato di essere presente. Ovviamente più nella vita dei ragazzi. Anche se… ricordo che insegnò personalmente a tirare con l’arco alla nostra quarta figlia Altalun. Un giorno eravamo seduti tranquilli, uno dei pochi giorni in cui Temujin non era impegnato in battaglia. Eravamo tutti insieme quando Altalun entrò nella tenda e prese l’arco di suo padre. Una cosa che nessuno dei miei figli maschi si sarebbe mai sognato di fare.
A.T.: Perché?
Börte Ujin: Per i mongoli, l’arco è un oggetto molto personale e mio marito aveva proibito a chiunque di toccarlo. Si immagini l’espressione di tutti quando Altalun, che non aveva più di otto anni, uscì con l’arco di Temujin in mano e sicura gli disse “adesso mi insegni a tirare le frecce”. Credevo che Temujin…
A.T.: L’avrebbe sgridata? O magari… peggio?
Börte Ujin: Assolutamente no! se c’era una cosa che Temujin non ha mai fatto è stato levare le mani contro i suoi figli. E mi creda con i maschi ne avrebbe avuto più che diritto visti i guai che combinavano. Una volta Zuci per scherzo fece uscire dal recinto la nostra mandria. Non le dico suo padre come lo guardò. Ah quando faceva quello sguardo era segno che era davvero arrabbiato. Ma mai… mai ha levato le mani su di loro. Quella era una cosa che Temujin lasciava più volentieri a me.
A.T.: E con sua figlia Altalun? Com’è finita?
Börte Ujin: Ovviamente i suoi fratelli si offrirono di insegnarle ma lei ripose “No! voglio imparare solo dal migliore!” Temujin si alzò in piedi, osservò serio sua figlia… e scoppiò a ridere di gusto. Prese Altalun e la portò dove si allevano i guerrieri e le insegnò a tirare col suo stesso arco.
A.T.: Insomma il gran Khan non era solo un grande guerriero, ma anche un buon marito e un buon padre.
Börte Ujin: Non per niente Altalun è una delle più brave tiratrici con l’arco. Temujin mi disse che gli ricordava sua madre Hoelun, conosciuta come “Mergen”, che nella nostra lingua significa “buon arciere”. E amava molto ridere. E cantare. Cantava spesso per più piccoli quando restava per la notte. Ed era un grande guerriero. Anche se… a volte suggerivo io qualche strategia politica come a mio figlio suggerisco tattiche militari. In guerra bisogna valutare entrambe per vincere. Non ci si può battere solo per ardore. Una cosa che il fratello di Temujin, Jamukha, non ha mai compreso.
A.T.: Jamukha era fratello del gran Khan?
Börte Ujin: Fratello sì… ma di giuramento di sangue. Non c’era alcun legame di parentela tra loro. Si è rivelato un amico, ma anche un grande nemico. Anche lui volle diventare Khan dei Khan ma i suoi metodi… erano troppo violenti. Non mi piaceva molto come uomo, né come guerriero, ma Temujin lo ha sempre rispettato, persino nel momento di doverlo giustiziare, non lo trattò come un traditore, ma come un amico che si accomiata.
A.T.: (si sente rumore di folla) Sembra che ci sia parecchia gente qui fuori.
Börte Ujin: Sì. Stiamo iniziando le celebrazioni del Naandam.
A.T.: Il Naandam?
Börte Ujin: È la nostra celebrazione più importante. Vi possono partecipare tutti gli uomini di ogni tribù. Si praticano la lotta libera, la corsa a cavallo e il tiro con l’arco, sia a piedi che a cavallo. Mio figlio Ogotai parteciperà per rendere onore a suo padre. Anche se credo gli renderebbe più onore Altalun. Non ha mai sbagliato un colpo.
A.T.: E perché non lo fa?
Börte Ujin: Purtroppo le donne sono escluse da questi giochi. Personalmente non sono d’accordo, ma solo il Khan po’ cambiare le regole. E Ogotai non cambierà mai nulla che suo padre non ha cambiato in vita.
A.T.: Prima di lasciarci imperatrice, potrei farle un’ultima domanda?
Börte Ujin: Purché facciate in fretta. Non posso mancare ai festeggiamenti.
A.T.: Ecco… si dice che nessuno sappia dove sia stato sepolto il gran Khan Gengis Khan. Non potrebbe… dare qualche indizio…
Börte Ujin: Assolutamente no! Solo io e i miei figli maschi conosciamo l’esatta ubicazione della tomba. Nessun’altro la conosce. Abbiamo ucciso chiunque abbia partecipato alla sua costruzione.
A.T.: Ma perché? Insomma, un grande uomo come suo marito avrebbe potuto avere una tomba che il popolo mongolo avrebbe potuto rendere omaggio. È stato il primo mongolo ad unificare tutte le tribù!
Börte Ujin: Mio marito era un grande uomo. Ma era solo questo! Non era un dio era solo un uomo. Lui voleva il rispetto ed il benessere per il suo popolo, non preghiere idolatranti o suppliche. Per tale motivo non abbiamo mai rivelato il luogo dove si trova la sua tomba. Essa è come tutte le altre tombe dei mongoli. Unita alla grande steppa, alla madre terra e al grande cielo azzurro. Cercatela pure se volete. Ma non potrete mai trovarla. Solo chi possiede il suo sangue sarà in grado di ritrovare il cammino giusto che porta alla sua stessa grandezza. E quando questo avverrà… il popolo mongolo, sorgerà sopra tutti gli altri. Ed io, Börte e tutti i miei futuri discendenti continueremo a portare questo suo sogno. Il sogno di un conquistatore… il sogno di un uomo… il sogno, di Gengis Khan.
Written by Alister Tinker
Voce Intervistatrice: Alessandra Agostini
Voce Börte Ujin: Alister Tinker
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