Selfie & Told: Gustavo racconta l’album Dischi volanti per il gran finale

“Fallo tu col tuo mantello, coprimi il viso e col coltello, fingi di colpirmi al collo, così sorrido alla miseria di questo gesto incomprensibile. Cosa scelgo, pace o guerra? Odio, amore, indifferenza? Cosa faccio, vado o resto? Va bene, te lo dico, sono come Dio, non esisto. E resto!” Carente di note puntuali”

Gustavo

Ciao, mi chiamo Gustavo e sono nato nel 1797 sul Pianeta Terra, non so perché mi trovo qui.

Francesco Tedesco ha, di fatto, gran parte della responsabilità, perché ho avuto l’impressione che si sia servito di me per soddisfare i propri egoismi.

Devo dire però che non mi trovo male in questo periodo storico, devo solo abituarmi alla vostra velocità: qui sono tutti di fretta, mangiano male, lavorano troppo e dormono poco.

Per me è tutto nuovo, ma ce la metto tutta.

Ed ora beccatevi la mia Selfie & Told!

 

G.: Perché Gustavo?

Gustavo: È un “progetto ludico-esistenziale in memoria della fantasia” – descrissi così una pagina social che creai 6 anni fa a nome Gustavo. Fin da piccolo ho sempre avuto la passione per la scrittura e nonostante avessi scritto per circa 20 anni canzoni per i Danamaste, mi sono avvicinato pian piano al mondo della poesia, degli aforismi e dei racconti brevi. Gustavo è un personaggio della fantasia, il cui volto è stato creato utilizzando un software per gli identikit, di quelli utilizzati dalla polizia per i testimoni oculari, ma è anche un verbo: gustare, al passato.

 

G.: Cosa hai pubblicato in quella pagina?

Dischi volanti per il gran finale

Gustavo: Una serie di poesie dal sapore amaro – da qui il legame col gusto – che ho scritto per puro piacere, quasi sempre a letto, sdraiato e a tarda notte. Sembrano storie di fantasia, ma se faccio bene i conti con me stesso, sono quasi tutti racconti legati alla mia vita: gli amori, le passioni, la musica (che se da un lato mi ha salvato la vita e l’ha resa molto emozionante, mi ha anche imprigionato in un microcosmo con le sue “regole”, alcune delle quali senza alcuna logica, che fatico molto a capire e a vivere con serenità).

 

G.: Perché è nato un disco, non era una pagina di poesie?

Gustavo: Non doveva nascere un disco, non ho mai pensato a questo quando ho scritto quelle cose. Non erano canzoni, non sono nate per convivere con la musica. Anzi, erano forse la cosa più lontana da essa, tecnicamente parlando. Lo erano solo nell’obiettivo: comunicare (a chi poi, non lo sai mai, anche perché dovesse andar male, ti accontenti di aver almeno detto qualcosa a te stesso). È nato per caso, e forse perché la musica assorbe impunemente gran parte della mia vita fin da quando ero bambino. Non sono riuscito a trattenermi dal provare a musicarne una su alcune musiche che avevo scritto. È nato tutto all’improvviso da una considerazione: le canzoni non sono altro che versi che si servono della melodia e si “siedono” sull’armonia. Ho pensato, quindi, quale migliore occasione di provare a cantarle quelle poesie? La scrittura in versi ti aiuta, perché ha già un ritmo preciso e definito, la sfida è individuare la musica che possa dargli giustizia.

 

G.: Qual è stato dunque l’immaginario sonoro che hai pensato per questo disco, considerando anche questo personaggio, attraverso il quale quella poesia si rivela?

Gustavo: Sono molto legato al rock, al progressive e alla canzone d’autore. All’inizio ho pensato a soli 3 strumenti: una chitarra, una voce e una batteria. Anche per capire se ci fosse stato un futuro per quelle canzoni. Ne abbiamo provata qualcuna in questa formazione e ho capito che si poteva realizzare un disco, ma non avevo tutte le musiche per quei racconti. Soprattutto perché mi ero imposto di non modificare neanche una virgola di quegli scritti, ma scrivere la musica giusta per dar loro una nuova veste. C’è stato poi uno stop di quasi 5 anni. Ho fatto altro, ho prodotto artisti, ho fatto un nuovo disco con i Danamaste, ho suonato in altre formazioni e mi sono goduto la famiglia. Ma il pensiero tornava spesso lì, a quel personaggio, a quella cosa nuova che avevo riposto nel cassetto. Ho ripreso tutto in mano un anno fa, con più determinazione, e coinvolto altri due musicisti. Nel frattempo sono un po’ cambiato e ho immaginato un disco come una colonna sonora, poco urlata, seduta, riposata. Ho pensato che ci volessero dei fiati, tipo una tromba, un sax. Ho cercato un po’ in giro, e non è stato neanche facile, ma ho trovato delle belle persone, dei musicisti fantastici. Siamo arrivati ad essere in quattro: io alla chitarra baritona e alla voce, batteria, tromba e sax tenore. Gustavo sarebbe stato il membro nascosto della band e noi a suonare il suo mondo in bianco e nero.

 

G.: Come definiresti ciò che è uscito fuori musicalmente e quale è stata la direzione musicale data al disco?

Gustavo: Sono partito da una regola precisa: non doveva essere un disco tosto. Avevo bisogno di aria, in tutti i sensi. E di abbassare la velocità senza penalizzare il ritmo, lo swing. L’idea è stata di creare principalmente una struttura che venisse dominata dalla forma canzone, e in mezzo a questa metterci tutto: il jazz, il blues, il prog, le colonne sonore morriconiane, ma a piccole dosi e servendo sempre le parole, senza disturbarle gratuitamente.

 

G.: Cosa farai in futuro?

Gustavo

Gustavo: L’idea è di continuare per questa strada, i primi live mi hanno insegnato già molto. Ho avuto delle conferme e ho capito anche su cosa lavorare in futuro e su una possibile linea che dia un seguito a questa bella avventura. Ci sarà un secondo disco con tutta probabilità, ma non voglio fare programmi. Come al solito mi farò guidare dallo spirito del momento, come ho sempre fatto. Dopotutto ci sono ancora molte poesie – già pubblicate sulla pagina e non – a cui potrei lavorare. L’impegno sarà nel trovare le musiche che possano vestirle e poi, chissà, si potrebbe anche tentare una strada diversa, musicalmente parlando. Ho molte idee e non vedo l’ora di poterle lavorare, avendo ora anche il vantaggio di conoscere le persone con cui suono, il loro stile e la loro inclinazione.

 

A volte sono anche un fiume in piena, che poi va a mare, senza danni. Dal dolce al salato senza piagnistei. Dagli argini al mare aperto. Dai detriti ai pruriti del sale, fino alla costa. A volte so già il finale, e per cambiarlo, mi devo rovinare. “Sanbenitos e berretti da somaro”

 

Written by Gustavo

 

 

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