FEFF 2018: Sezione Competition – “Wolf Warrior II” di Wu Jing
In qualità di web media partner per il terzo anno consecutivo al Far East Film Festival di Udine, Oubliette Magazine poteva forse lasciarsi sfuggire il film cinese che a soli 12 giorni dal rilascio è divenuto il maggior incasso in patria della storia del cinema?

Non che si ignorasse come i 5,68 miliardi di yen rastrellati (pari a circa 870 milioni di dollari) dovessero fungere da mero pretesto per richiamare il pubblico (soprattutto d’oltreconfine) e celassero al tempo stesso una costruzione drammaturgica attaccabile da molteplici angolazioni. Ma andiamo con ordine…
Il celebre attore e artista marziale Wu Jing ha debuttato alla regia nel 2008 con “Legendary Assassin” (2008) e l’esperienza per anni non brevi è rimasta isolata, fino a quando non è decollato il progetto “Wolf Warrior”, riuscito a incassare nel 2015 l’equivalente di ben 90 milioni di dollari, pur essendo aggredito dal ciclone “Fast & Furious 7”.
Nel sequel “Wolf Warrior II”, sostanzialmente autonomo rispetto all’episodio precedente, le avventure del protagonista Leng Feng (Wu), Lupo Guerriero espulso dal corpo dopo l’uccisione non autorizzata (con un solo calcio ben piazzato) di un viscido criminale al soldo di speculatori edilizi, si spostano dal sud della Cina in Africa, dove il nostro rispettato beniamino si è fatto un nuova vita lontano dalle turbolenze dell’esercito.
La quiete non è destinata a durare, dal momento che un vespaio di ribelli piomba dal nulla disseminando panico, distruzione e morte fra la gente comune; anche un rinomato medico cinese di stanza nei territori contigui si trova in serio pericolo, assieme a molti altri operai sia autoctoni che stranieri, fra cui la madre del bambino cui Leng Feng fa da padrino. Abbandonato dalla Marina che non può intervenire senza il consenso dell’ONU e senza alcuna squadra da portarsi appresso, l’eroe raggiunge la fabbrica in solitaria e ne organizza la difesa ad ogni costo.
Il popolo cinese dunque va pazzo per la sagra della violenza, per una brutalità sbattuta in faccia non senza un certo compiacimento, sia essa perpetrata con l’uso di armi bianche o da fuoco di tutti i generi, le quali diventano strumenti essenziali all’abile orchestrazione di sequenze indiavolate, di un caos che può anche riuscire drammaticamente attendibile (il primo attacco dei rivoltosi è nello specifico davvero frastornante).

La sospensione dell’incredulità, si sa, è un requisito altrettanto fondamentale in questi casi ed è di buon grado accettabile ogniqualvolta riesca a strappare un applauso (come in effetti è successo ad esempio durante la missione subacquea in apertura, biglietto da visita quasi alla 007).
Resta il fatto che il pregio maggiore di questo registro, dato che il pubblico originario richiedeva a gran voce un proprio Rambo dagli occhi a mandorla, un titano indistruttibile che incarnasse un complesso di ideali da non credere di demolire gratuitamente, è altresì un ineludibile limite che di fronte spettatori meno infoiati finisce per mostrare la corda, in particolar modo se non debitamente sostenuto da una controparte significante e metaforica sufficientemente spessa.
In altre parole, lo spettacolo fine a se stesso è garantito e costantemente di gran pregio, benché imbottito di una certa qual dose di cliché triti e ritriti, che riguardano tanto personaggi di contorno (il villain più spietato non si sporca le mani fino a che non è costretto a presentarsi in prima linea per lo scontro finale, così come non mancano all’appello la montagna di muscoli e la femmina), quanto dogmi di soggetto (l’intreccio fra movente pubblico, ossia il controllo di un’intera regione, e ragione privata, ovvero la morte della fidanzata di Feng da vendicare, o piuttosto il bacio con la bella nel pieno della battaglia, o ancora siparietti da spot pubblicitario che ritraggono l’inverosimile serenità fra un attacco e l’altro, mele selvatiche alla mano).
Volendo insistere, neppure la figura principale risulta immune da simili ingenuità: si ammetta pure infatti che un vaccino possa miracolosamente guarire una malattia fino ad allora incurabile in una singola notte… ma davvero una pugnalata al cuore non è letale? Possibile che nessuno sia riuscito a rompergli quantomeno il naso o la schiena?

Al di là di tali scelte, che ossequiano logiche di facile presa fin troppo radicate nella caratterizzazione del genere per potersene sbarazzare, i peccati più gravi sono comunque altri e per individuarli non è certo necessaria un’analisi al microscopio: pur essendo infatti istigato con la dovuta asprezza l’odio verso i sadici mercenari, totalmente insensibili al valore dell’esistenza dei propri simili, “Wolf Warrior II” non regge sotto il profilo umanitario di cui si fa letteralmente bandiera, obiettivo su cui peraltro è chiaro come si sia largamente investito (la Cina si fa latrice di pace anche in Stati che non la riguardano più di quanto non consenta una semplice ambasciata).
Dove comandano i profitti, l’aspetto etico, ancor più di quello artistico, quasi non ha potere e per questa ragione un terzo capitolo è già in lavorazione, annunciato prepotentemente nei titoli di coda a precedere un’ennesima stonatura, vale a dire i goof dei dietro le quinte, i quali non esitano a smascherare la globale finzione di ciò che è stato mostrato.
Voto al film
Written by Raffaele Lazzaroni
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Rubrica Far East Film Festival