Selfie & Told: la cantautrice Augustine racconta l’album “Grief And Desire”
“[…] I wisely kept/ Shaking my shameless body/ Like the priestess/ Of his cult// Until I reached/ The state of glory/ That infallible eye/ Was greedy for// […]” ‒ “Augustine”

Sono Augustine (Sara Baggini nella vita) e sono una cantautrice. Sono nata in Valtellina e lì ho vissuto fino all’età di 19 anni, quando mi sono trasferita in Umbria, per frequentare il Corso di Pittura del Prof. Sauro Cardinali all’Accademia di Belle Arti di Perugia, dove mi sono poi laureata. L’espressione artistica – sotto varie forme – è sempre stata per me una necessità totalizzante.
Ciò che cerco nella musica e nell’arte in generale è un senso di solennità ed elevazione, una forma di rapimento totale. Sono sempre in attesa di rimanere folgorata, abbagliata, accecata.
L’innamoramento forse più folgorante è stato quello per i Cocteau Twins, la musica che avevo sempre sognato.
Amo tutta la scena britannica post-punk, Dream-pop e dark degli anni ’80, ma anche molte cantautrici, tra cui Kate Bush, Sinead O’Connor, PJ Harvey, Agnes Obel, Enya, Julianna Barwick.
Tutto ciò che faccio si alimenta costantemente – oltre che di musica – di letteratura (Virginia Woolf e Sylvia Plath, per fare due nomi) e di pittura (ho sempre amato i Preraffaelliti e Dante Gabriel Rossetti soprattutto).
Il nome “Augustine”, che ho scelto come pseudonimo, è il nome di un’isterica, personaggio chiave del saggio L’invenzione dell’isteria, scritto dal filosofo dell’arte Georges Didi-Huberman.
Grief And Desire è l’album che ho appena pubblicato, una sorta di diario o romanzo autobiografico, dove i 15 brani sono i capitoli, racconti di ipocondria, perdita, lutto, assenza, distanza, amore nascente e abbandono, colpa, biasimo, estasi e caduta…
Ed ora beccatevi questa Selfie & Told!
A.: (Cercherò ora di mettermi in difficoltà, un esercizio che mi diverte sempre molto.) Ho studiato all’Accademia di Belle Arti e ora faccio la cantautrice. Pittura, musica, letteratura… Sono un’indecisa? Una pittrice fallita, una musicista dilettante? Ho sbagliato indirizzo di studi?
Augustine: Non ho mai voluto o forse potuto scegliere in maniera univoca e definitiva un linguaggio preferenziale per esprimere in forma d’arte certi contenuti. Negli anni trascorsi in Accademia ho certamente privilegiato l’arte visiva, ma tutto ciò che ho costruito allora, lo ritrovo ora nella musica, da qualche anno al centro della mia vita. La letteratura è una presenza costante; senza il nutrimento della lettura avvizzirei. Adoro scrivere e scrivo molto, soprattutto in forma di diario; ciò che scrivo diventa spesso il contenuto o lo spunto per una canzone. In futuro, vorrei finalmente portare a compimento un lavoro che riesca a comprendere tutti questi aspetti contemporaneamente. Intanto, il video della mia canzone Augustine è sulla buona strada, grazie anche al contributo del regista Francesco Biccheri e di Antonio Rossi, che mi ha aiutato a costruire il set.
A.: A proposito di Augustine: sono un’isterica?
Augustine: Parlare di “isteria” oggi per definire una patologia sarebbe fuori luogo, certamente gli studi in campo psichiatrico hanno fatto passi avanti dall’Ottocento. Mi interessa è un’altra cosa invece, esattamente ciò che Didi-Huberman definisce «sintomo di sentirsi donna». Da questa sensibilità femminile, vissuta spesso come complessità, problematicità, difficoltà, non posso infatti prescindere qualsiasi cosa faccia, soprattutto in campo artistico.
A.: Tutto sempre e solo al femminile… Avrò pure anch’io il mio “lato maschile”, come si dice!

Augustine: Mai avuto.
A.: In pittura, ho sempre lavorato sull’autoritratto e ora definisco il mio album «diario o romanzo autobiografico»: sono narcisista, un’inguaribile egocentrica? Perché penso che qualcuno sia veramente interessato ai fatti miei?
Augustine: L’auto-ritratto esiste da quando l’essere umano ha sentito la necessità di esprimersi artisticamente. C’è chi, per temperamento, è più portato a rivolgersi esternamente, alla natura, agli altri; e c’è chi invece, come me, è più portato all’introspezione o all’auto-analisi. Ad ogni modo, “auto-ritrarsi” significa perdersi, prima ancora che cercarsi o trovarsi. È qualcosa che ha molto più a che fare con l’apparizione, piuttosto che con l’apparenza. Le pagine dei diari di Virginia Woolf o Sylvia Plath sono tra le più avvincenti che io abbia mai letto; questo perché scatta una forma profonda di identificazione. Parare di sé, inoltre, ci porta spesso – anche nostro malgrado – a delineare paesaggi, oppure altri volti… Insomma, a parlare di molto altro.
A.: “Grief And Desire”, un titolo che suona così romanzesco…
Augustine: Ho pensato per la prima volta all’accostamento di questi due termini, quasi un ossimoro, mentre scrivevo la mia tesi su Dante Gabriel Rossetti. Nei suoi quadri, trovo che le figure femminili facciano la loro apparizione in un punto esatto, sul confine tra lutto e desiderio. Credo siano i due poli dell’esistenza, oltre che dell’immagine. Fare un autoritratto significa anche mettersi precisamente su quella linea sottile, un filo sospeso tra due abissi che si aprono in senso opposto.
A.: È il mio terzo album, ma il primo che pubblico come Augustine. 15 tracce non saranno un’esagerazione, l’ennesima eccentricità?
Augustine: Grief And Desire è nato contestualmente alla condizione di domesticità che mi sono costruita nella casa di campagna dove vivo, in una dimensione di convivenza totale, quotidiana, di lavoro ed esistenza: per questo parlo di “diario”. Ho affidato ciascuna traccia all’home-recording – registrando tutti gli strumenti e le voci – subito dopo averla scritta, in rapida successione. Quando mi sono resa conto di aver chiuso un ciclo, ho capito che il lavoro era finito. Apportare a questo punto delle modifiche o effettuare delle scelte, sarebbe stato come mentire, falsare un materiale non concepito per essere “revisionato”, come correggere un diario in vista di una pubblicazione, inizialmente non prevista. Inoltre i brani hanno un ordine ben preciso, dove ognuno è necessario a quello che lo precede e a quello che lo segue; e, come è evidente, non possiedo affatto il dono della sintesi.
A.: Quindi mi sono chiusa in casa e ho scritto, suonato, cantato, registrato tutto da sola… Amo così tanto la solitudine?

Augustine: Quando lavoro, la solitudine mi è davvero cara, preziosa. Non è una condizione di mancanza, è, al contrario, una benedizione, un momento di ricchezza. A patto però che la fase di raccoglimento finisca, per lasciare spazio all’apertura e al confronto con gli altri; e questo è ciò che è successo quando ho consegnato il demo finito nelle mani del produttore, musicista e compositore Daniele “Boda” Rotella, che ha realizzato il missaggio professionale delle tracce, cosa che da sola non avrei potuto fare. Ora questo lavoro è nelle mani di chi lo ascolta.
A.: Mi ostino a scrivere in inglese. È una posa o ho delle valide ragioni?
Augustine: Gran parte della musica che ascolto e con cui sono cresciuta ha testi in inglese, quindi mi è sempre venuto spontaneo scrivere in questa lingua, che è – tra l’altro – con le sue brevi parole, quella che meglio si adatta alle ritmiche da me prescelte. Aver spesso letto narrativa e poesia inglese ha certamente aiutato. Inoltre, quando scrivo ho bisogno di utilizzare un filtro, come un velo, che ripari la mia sovra-esposizione e, allo stesso tempo, mi svincoli dai fini comunicativi del parlato e mi porti su un piano diverso del linguaggio, che è quello della poesia. Non essendo madrelingua, le parole inglesi conservano ancora per me tutto il loro mistero, anche quando ne conosco il significato.
A.: Mi basta acconciarmi i capelli con degli aculei di istrice, per diventare Augustine?
Augustine: Quando salgo sul palco o mi esibisco, ho l’esigenza di palesare – a me stessa e agli altri – una forma di “alterazione”, di sovra-esposizione (di nuovo). Colleziono, da sempre, alcuni oggetti che raccolgo da terra: tra questi, le penne d’uccello e gli aculei dell’istrice sono i miei preferiti. Sono così belli che me li metterei tutti addosso, seguendo chissà quale istinto ancestrale. Così acconciata, assumo chiaramente un aspetto che non è quello della normalità e vuole piuttosto connotarsi come “rituale”; ma è ovvio che non basta: il rito deve avere poi luogo, bisogna diventare, allo stesso tempo, oggetto e soggetto della musica, per trovare finalmente attraverso essa un’identità nuova, alterata, che però è la più profonda, la più autentica.
A.: Dico sempre che – oltre agli affetti – i dischi e i libri mi hanno salvato la vita. A che dischi e a che libri penso?
Augustine: Dischi: Disintegration dei The Cure, Treasure dei Cocteau Twins e White Chalk di PJ Harvey. Libri: The Waves di Virginia Woolf, The Bell Jar di Sylvia Plath e Malina di Ingeborg Bachmann. Per dirne alcuni dei tanti…
“I am lost/ Dragged for miles/ Through the night/ Cast very, very deep/ In the dark/ Like a trunk/ Some heavy, heavy// Odd force drives me/ Along the unknown road/ Something weighty/ Obscure and eerie// […]” ‒ “A Dream”
Written by Augustine
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