Le métier de la critique: Luigi Tenco, un uomo oltre il mito

“La mia più grande ambizione è quella di fare in modo che la gente possa capire chi sono io attraverso le mie canzoni, cosa che non è ancora successa.”

 

Luigi Tenco

La notizia della sua morte arrivò dirompente a scuotere il mondo della musica leggera ma, soprattutto, a scompaginare il Festival di Sanremo, manifestazione canora e trampolino di lancio per molti cantanti.

Era il 1967 quando il cantautore Luigi Tenco, a soli 28 anni, decise di chiudere in modo tragico la sua parabola esistenziale.

Oggi, nel 2018, a 50 anni dalla sua scomparsa, i fatti che riguardano la sua fine, almeno in parte, sono ancora avvolti dal mistero. E, alcuni interrogativi rimangono tuttora aperti.

Che si trattasse di suicidio lo si apprese nell’immediatezza del fatto; ma, con l’andare del tempo, le ipotesi sulla sua tragica fine sono state molteplici. Nonostante sia stato chiarito, anche in epoca recente, che fu lo stesso a darsi la morte.

“Non si vive per riuscire simpatici agli altri. A me, i soldi, il successo, non interessano, li lascio a quelli più furbi di me in questo genere di cose.”

Se la sua scomparsa è rimasta avvolta dal mistero, la medesima cosa si può dire della sua nascita, avvenuta in località Cassine, in provincia di Alessandria.

Lo scenario in cui Luigi Tenco vide la luce è di pascoliana memoria, se non altro perché sull’evento soffiò il vento del mistero.

Giuseppe Tenco, morto in circostanze oscure, non era il padre biologico di Luigi, ma soltanto colui che gli ha dato il nome, in quanto sposato con la madre di Luigi, che lo ha concepito con un giovinetto, impossibilitato a riconoscerlo come figlio proprio.

Quindi, nascita e morte, dicotomia emblematica, quasi presagio di ciò che sarà, nella vita sofferta e travagliata di uno dei cantautori più significativi degli anni sessanta.

Nel 1948 il giovanissimo Tenco si trasferì a Genova dove frequentò il liceo; e, fin da ragazzino, denotò un singolare talento musicale, sottolineato soprattutto dalla sua passione per il jazz.

E, del jazz ne fece uno scopo che riempiva le sue giornate, consumate con un gruppo di amici, gli stessi che in seguito daranno vita alla cosiddetta ‘scuola genovese’.

Ad annoverare fra questi, quali esponenti di spicco, Gino Paoli, Bruno Lauzi, Fabrizio De André e Umberto Bindi. Artisti a cui va riconosciuto il pregio di aver rinnovato la musica leggera italiana.

Sul finire degli anni cinquanta Luigi Tenco prese parte alla stagione del rock’ n ‘roll italiano, che lo portò a essere una presenza costante nei ritrovi, fra Genova e Milano, consacrati a questo genere di musica.

Affiancato spesso a Giorgio Gaber o ad Enzo Jannacci, oltre che a Reverberi, colui che lo introdurrà, con il ruolo di musicista di studio, nella casa discografica Ricordi.

Luigi Tenco

Nel 1959 Tenco incise i suoi primi dischi, dapprima con musiche composte da altri, in seguito, sarà lo stesso l’artefice delle proprie composizioni.

I suoi brani avevano una precisa connotazione: ricchi di uno stile ben definito, a dispetto della scarsa autostima che, fin da allora il giovane manifestava. Ad avvalorare ciò, la sua firma con il solo cognome o con lo pseudonimo Gigi Mai.

Quando si entrò nel vivo degli anni sessanta, nel 1962 per la precisione, sulla scena mondiale faranno la loro comparsa avvenimenti di rilievo politico e sociale, la crisi di Cuba, per esempio, il suicidio di Marilyn e altri eventi che riguardavano la vita di tutti, ma che toccheranno in maniera incisiva l’emotività di Luigi, più di quella di altri.

Il 1962 fu anche un anno importante per la carriera artistica di Tenco, un momento in cui gli si aprirono le porte verso quella notorietà a cui si era avvicinato sì con una certa ritrosia, ma anche con il curioso desiderio di esserne partecipe. E, fu ancora nel 1962 che avvenne il suo debutto nel mondo del cinema.

E lo fece con il film di Luciano Salce ‘La cuccagna’, nel quale il cantautore interpretava un ruolo da definirsi ‘autobiografico’.

Inoltre, insieme a Ennio Morricone, partecipò a comporre la colonna sonora del film, considerata una delle sue migliori composizioni.

Tacciato di essere un personaggio sui generis, perchè voce al di fuori del coro, nel 1965 il cantautore interrompe il contratto con la Ricordi. Ma, al contempo, il 1965 fu anche l’anno che segnò un momento importante della sua vita professionale.

Nel frattempo, il mondo veniva attraversato da vari movimenti di protesta, sollecitati anche dal protrarsi della guerra del Vietnam. Moti di ribellione che toccavano l’universo giovanile e, a cascata, il mondo della musica.

A cui aggiungere simboli quali Carnaby Street, il mondo delle discoteche, con il Piper in testa, la trasmissione radiofonica Bandiera gialla che, accanto alla prima apparizione dei Beatles in tv, diedero l’input per la nascita di gruppi musicali eterogenei. I Nomadi, L’equipe ’84 e altri, fra questi.

Tenco si avvicinò a queste realtà con l’ambizione di raggiungere una sua più marcata espressività, un mezzo per coniugare politica e musica e, insieme, saldare le canzoni leggere a quelle di protesta.

Nel 1966 Tenco cambiò casa discografica entrando a far parte del gruppo della RCA, con cui avrà un rapporto difficile e irregolare, sia per l’insuccesso delle sue ultime canzoni sia per l’indifferenza che dimostra l’industria discografica verso la musica di tipo ‘alternativo’.

Luigi Tenco

Intanto, il suo percorso di musicista e di uomo si manifestava sempre più travagliato, un senso di precarietà e frustrazione, triste dualità che faceva parte del suo presente, che si rifletteva nelle sue composizioni.

La causa era dovuta probabilmente a una direzione artistica non in grado di dare la giusta valenza ai temi delle sue canzoni, tanto che, le due anime presenti in Tenco, quella decadente e quella socialmente impegnata convivono a fatica in lui.

“Viviamo in una società industriale e dobbiamo usare i mezzi anche per comunicare. La figura del cantautore di strada è pur suggestiva, ma riesce a trasmettere qualcosa solo a quelle poche persone che la degnano.”

Che aggiungere della sua prosa, pungente ed essenziale, dai versi poco convenzionali rispetto alle sperimentazioni dell’epoca?

Appariva quasi un soliloquio, che andava a declinarsi in una forma di intimismo scarno ed esistenziale, tanto da ricordare le liriche crepuscolari, così simili al carattere scontroso e poco socievole del cantautore. Motivo questo da farne un precursore degli eroi tormentati e ‘maledetti’ del rock alternativo, prima degli esempi musicali degli anni ’70.

Con il suo modo di cantare, specchio del proprio universo emotivo, Tenco fu un cantante che ebbe la forza di interpretare le ombrosità giovanili degli anni sessanta, facendo a pezzi, con la sua voce tormentata, seppur umana, la tradizione del bel canto. Fu, inoltre, rappresentante d’eccellenza del decennio che andò dagli  anni del boom economico alle prime avvisaglie della contestazione studentesca; dai moti di piazza del 1960, per far cadere il governo Tambroni, cui Tenco partecipò in prima persona, alle occupazioni universitarie che annunciavano il 1968, fino alle tematiche sociali raccontate dal primo folk italiano.

Dal jazz delle cantine al rock’ n’ roll dei festival giovanili, dalla scuola francese a quella genovese, Luigi Tenco attraversò la società italiana di quegli anni e il mondo della canzone popolare, oscillando fra un esistenzialismo ‘decadente’, il jazz popolare e il folk impegnato, sempre in conflitto fra una malinconica accettazione e una voglia di ribellione e di innovazione. E, interpretando, fino alle estreme conseguenze, le profonde contraddizioni del nascente fermento dell’epoca.

Per concludere, nel 1967 spiazzò tutti con la sua partecipazione al Festival di Sanremo, in coppia con Dalida, con cui si dice avesse una storia sentimentale.

“Canterò finché avrò qualcosa da dire e quando nessuno vorrà più ascoltami canterò solo in bagno facendomi la barba, ma potrò continuare a guadarmi allo specchio senza avvertire disprezzo per quello che vedo.”

Inquieto, scomodo, disadattato, dopo essersi esibito malvolentieri sul palco di Sanremo pose fine alla sua giovane esistenza, decretando, con la sua tragica morte, la fine di un sogno: quello sulla levità abbracciata dal mondo della canzone.

Per il suo desiderio di rottura con la musica tradizionale, si potrebbe definire Tenco come un rivoluzionario dell’universo musicale italiano; avvertì infatti la necessità di trattare tematiche d’avanguardia, quali, per esempio, il sentimento umano nei suoi aspetti più crudi e dolorosi, una critica alla politica e alla guerra, con un occhio sempre attento alle ideologie e al fenomeno dell’emarginazione.

Facendo sue queste argomentazioni, traslate in musica, con i toni tipici dell’esistenzialismo francese.

Infine, per completare un quadro, il più circostanziato possibile, della figura di Luigi Tenco, cosa si è nascosto dietro alla sua morte, di cui si è discusso a lungo?

Luigi Tenco

È certo che alcuni errori siano stati commessi nell’indagine seguita al suicidio.

E, forse in conseguenza di ciò, si sono alimentate ipotesi complottiste.

Si è molto discusso sul biglietto d’addio che Luigi Tenco ha lasciato. Da più parti si è affermato che fosse autentico solo nelle prime righe, e nelle successive che fosse di una mano contraffatta.

Si è detto, inoltre, che il cantante non fosse l’unica presenza nella stanza dell’albergo Savoy al momento dello sparo; si parlò anche dell’ipotesi della roulette russa, macabro rito, fino al coinvolgimento dei sevizi segreti per azioni di spionaggio in cui Tenco, suo malgrado, sarebbe stato implicato.

Indubbiamente, a quanto è stato reso noto nel corso degli anni, anomalie, legate alla sua drammatica fine, ce ne sono state, quale ad esempio il fatto che nessuno abbia sentito il colpo di pistola.

È vero, inoltre, come ribadito da più fonti, che Tenco fosse contrariato per la sua eliminazione al Festival, la cui commissione artistica gli preferì una canzone più commerciale e meno impegnata della sua ma, come hanno affermato coloro che ben lo conoscevano, Tenco non era un depresso.

Da ricordare anche, che lacrime di coccodrillo, dopo la sua morte, ne sono state versate in abbondanza.

Lacrime di coccodrillo, perché il suo funerale è andato pressoché deserto, una delle poche presenze amiche è stata quella di Fabrizio De André, che in più di un’occasione ha dichiarato:

“Senza Tenco, io non ci sarei mai stato.”

Nonostante le ombre che la morte di Tenco ha gettato su una delle pagine della canzone, il cantautore rimane un pezzo importante di storia tutta italiana; la sua presenza sul palcoscenico, e della vita come su quello del Festival, non si può depennare con un rapido tratto di lapis.

Sebbene il riconoscimento delle sue qualità siano state postume, Tenco rimane un’intramontabile icona del mondo musicale del Novecento. Perché la sua sconfitta è soltanto apparente, in quanto la morte gli ha conferito una statura degna del suo potenziale artistico.

Quindi, doveroso, è intervenuto il tempo, che ha permesso di sospendere ogni giudizio su di lui. Un tempo che si è fermato a quel tragico 27 gennaio 1967, giorno in cui, per il pubblico che lo ha amato, Luigi Tenco avrà per sempre 28 anni.

“Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perchè sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io, tu e le rose” in finale e una commissione che seleziona “La rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”.

 

Written by Carolina Colombi

 

 

 

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