FEFF 2018: Sezione Classici Restaurati – “Himala” di Ishmael Bernal

Lo stesso anno in cui Lino Brocka dirige 5 lungometraggi fra cui “Cain at Abel”, altro titolo prodotto nelle Filippine e presentato in versione restaurata allo scorso Far East Film Festival di Udine, il connazionale Ishmael Bernal ne realizza altrettanti, compresa l’opera che probabilmente costituisce l’apice della sua carriera.

Himala di Ishmael Bernal

Himala” entra nella selezione ufficiale a Berlino (1983) e conquista il Metro Manila Film Festival (9 premi su 9): il titolo non fa misteri sul soggetto che regge l’intera vicenda, i miracoli. Artefice di una lunga ed inattesa serie di guarigioni è una giovane donna, Elsa (Nora Aunor), che durante un’eclissi solare crede di vedere la Vergine su una collina poco distante dall’isolato villaggio in cui risiede, la stessa in cima alla quale era stata decenni addietro trovata in fasce.

Da quel momento, svelate inesplicabili doti taumaturgiche e forte del quasi immediato sostegno di amici fedeli, si prodiga per aiutare chiunque venga a supplicare la sua intercessione; le voci corrono e in breve le strade del paesino si affollano di pellegrini di ogni età, indigenti e benestanti, in gran numero storpi e afflitti da gravi deformazioni e mutilazioni, che si orientano alzando gli occhi verso i numerosi striscioni dedicati alla benefattrice.

L’influenza che ella esercita è tale da indurre da un lato alla chiusura di un capanno adibito a cabaret situato nelle vicinanze, luogo di ritrovo di uomini violenti e ubriaconi, dall’altro alla germinazione di un mercato non autorizzato a lei ispirato, in cui si spacciano tanto articoli sacri (svariati oggetti di culto, in particolare bottiglie di acqua santa), quanto profani (specialmente t-shirt).

La maledizione che si vocifera abbia colpito il centro abitato per via dei troppi peccati commessi sembra ormai sconfitta, quando il verificarsi di alcuni gravi lutti e l’avvento di un’epidemia di colera, accanto all’insistenza dei soprusi, praticati a parole se non quando fisicamente da un pugno di denigratori, iniziano a minare la robustezza di Elsa, non più convinta che le proprie capacità possano indicare alla gente unicamente la retta via.

Il dramma messo in piedi da Bernal su soggetto e sceneggiatura di Ricardo Lee (cui si deve l’ideazione anche di “Moral”, altro classico restaurato di quest’edizione, nonché del già citato “Cain at Abel”) dimostra abilità nell’evidenziare gli effetti collaterali suscitati da un simile sovvertimento dell’ordine costituito presso un popolo di devoti la cui irruenza raggiunge il parossismo.

Masse incontrollabili sono costituite da centinaia di individui egoisti, ossessionati dal corpo stesso della guaritrice anche quando non dimostrano sintomatologie gravi: fra di essi una fanatica dalla crespa chioma, non appena la sorte le volta le spalle, augura l’inferno a chiunque deluda le sue deliranti aspettative.

Himala di Ishmael Bernal

Venditori e ciarlatani speculano con fastidioso accanimento sulla neonata “fede” dei forestieri, ospitati dagli abitanti in catapecchie di fortuna mentre s’attende la costruzione di un albergo appositamente adibito, magari con il nullaosta del sindaco in cerca di voti per la prossima campagna elettorale.

Chi non muta credo cede ugualmente al proprio tornaconto, o deliberatamente procurando danni, anche irreversibili, a prede saporite sfruttandone la sventatezza, come due conoscenti di Elsa che arrivano a derubare ed uccidere un ricco signore venuto direttamente dalla capitale, o limitandosi ad osservare criticamente gli eventi nella prospettiva di ricavarne comunque fama e guadagno, come nel caso di un regista di documentari pronto a filmare anche uno stupro qualora costituisca materiale utile alla propria ricerca.

Se quello che s’è voluto riconoscere come l’intento degli autori pare globalmente raggiunto, la sconfitta più rilevante che gli stessi devono incassare (almeno a 35 anni di distanza dal loro cimento) è la disaffezione ai personaggi di cui si trova a soffrire il pubblico, posto di fronte a una cronaca dettagliata e impietosa, ma al contempo eccessivamente secca e squadrata nella trattazione dei differenti aspetti critici, responsabile di aver lasciato spazio insufficiente all’esposizione dei traumi interiori, che godendo di una voce più squillante sarebbero di conseguenza riusciti più appassionanti.

 

Voto al film

 

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

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Rubrica Far East Film Festival

Recensione “Cain at Abel”

 

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