“La banalità del bene” di Enrico Deaglio: la straordinaria storia di Giorgio Perlasca
“«Lei, che cosa avrebbe fatto al mio posto?» Una di quelle domande pesanti in cui viene richiesta la complicità dell’interlocutore. Un quesito breve che supplica comprensione, fa balenare la fragilità e la debolezza umana, non solo di chi parla, ma soprattutto di chi ascolta. «Avevo paura sono scappato… Lei che cosa avrebbe fatto al mio posto? Nessuno mi vedeva, l’ho fatto… Lei che cosa avrebbe fatto al mio posto?»”.
È la domanda che pone Giorgio Perlasca al suo intervistatore, il giornalista Enrico Deaglio, un quesito che torna sovente anche nell’immaginario collettivo. Per un semplice commerciante italiano, è stato del tutto “naturale” reagire sfidando il regime nazista e la morte; egli ha pensato che chiunque avrebbe agito allo stesso modo, mentre invece in pochi avrebbero trovato quel coraggio.
La maggior parte delle persone avrebbe pensato solo a salvarsi. Per questo possiamo affermare che l’impresa da lui compiuta abbia dell’incredibile.
Una grandiosa vicenda, quella descritta nel saggio biografico di Deaglio, “La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca” (Feltrinelli, 1991), una storia vera, compendiata in una settantina di pagine, appassionante come un romanzo di avventure.
Giorgio Perlasca (1910- 1992), commerciante di carni padovano, nell’inverno del 1944 si trova a Budapest, durante le ultime fasi della seconda guerra mondiale, dove riesce a salvare dallo sterminio migliaia di ebrei, fingendosi ambasciatore di Spagna.
Con l’aiuto di pochi uomini altrettanto coraggiosi, fra cui il diplomatico e filantropo svedese Raoul Wallenberg, ha strappato ragazzi dai cosiddetti “treni della morte” di Adolf Eichmann, ingannando nazisti e ungheresi. Ha fornito migliaia di documenti falsi e visti per ospitare altrettanti ebrei nelle case protette di pertinenza della legazione spagnola a Budapest, fino all’arrivo dell’Armata Rossa.
Perlasca è stato un fascista entusiasta e ha combattuto come volontario per Franco. L’8 settembre 1943 lo ha colto lontano da casa e ricercato dalle SS. Avrebbe potuto mettersi in salvo, ma ha deciso di rischiare la vita, riuscendo a salvare cinquemila ebrei di Budapest, nei mesi in cui Adolf Eichmann e i nazisti ungheresi deportavano e sterminavano centinaia di migliaia di persone.
“C’era una fila che veniva avanti e in mezzo vidi due gemelli. Io avevo la Buik della legazione con tanto di bandiera spagnola sul parafango. Quei due ragazzi mi colpirono. Erano bruni, con i riccioli. Li presi dalla fila e li sbattei dentro la macchina. Gridavo «Queste due persone sono protette dal governo di Spagna!». Si avvicinò un maggiore tedesco, che li voleva riprendere. Io lo fermai e gli dissi «Lei non può farlo! Questa macchina è territorio spagnolo!». Lui estrasse la pistola e ci fu un parapiglia. Mi agitava la pistola sotto la faccia, e disse: «Mi renda quei due ragazzi, lei sta disturbando il mio lavoro». Io gli dissi: «E lei, questo lo chiama lavoro?». Arrivò un colonnello che con la mano, fece segno al maggiore di desistere. Poi si voltò verso di me e mi disse, con calma: «Li tenga. Verrà il loro momento. Verrà anche per loro». Così li tenemmo. Ce l’avevamo fatta. Quando i tedeschi si allontanarono, Wallenberg, sottovoce, mi fece: «Lei ha capito chi era quello?». «No», dissi io. «Quello è Eichmann»”.
Il suo “Diario”, che costituisce uno dei capitoli del libro, mette in luce l’azione straordinaria di un uomo solo, geniale organizzatore e “magnifico impostore”, così come in un secondo momento hanno amato definirlo.
In seguito, il ritorno a casa e un silenzio durato quasi mezzo secolo, fino alla sua scoperta, merito di un gruppo di donne ebree ungheresi, all’epoca della guerra ragazzine, che gli devono la vita.
I sopravvissuti hanno cercato Perlasca, mettendo a conoscenza il mondo della sua eroica impresa. E così, egli è stato celebrato come eroe e “uomo giusto” in Ungheria, Israele, Stati Uniti e infine, anche in Italia.
Nel 1989 Enrico Deaglio si reca a Padova, a casa di un ottantenne Perlasca che gli racconta la sua vicenda. Egli ricompone così una storia che è stata troppo a lungo ignorata. “La banalità del bene” è una lettura raccomandata ai giovani, in particolare oggi che i fantasmi dell’intolleranza e del razzismo sono più che mai presenti.
È un’opera che cattura l’attenzione del lettore anche come appassionante vicenda d’azione, che vede la volontà buona di un uomo coraggioso vincere difficoltà apparentemente insuperabili. E pensare che nel nostro Paese quasi nessuno ne era a conoscenza: Perlasca non ha ricevuto nessun riconoscimento, nemmeno la pensione.
È proprio vero che il bene fa meno notizia del male. Nel 1992 l’Italia ha perso un vero eroe; una persona umile e coraggiosa, convinta che tutti avrebbero reagito nella sua stessa maniera. Aveva fiducia nel genere umano e confidava nella fratellanza. Un genere che molto probabilmente di lui non è stato degno.
Written by Cristina Biolcati
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