Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologo Francesco di Gennaro
“Non togliamo ai fantarcheologi il gusto di giocare e di strillare. Piuttosto cerchiamo (è bello concedersi qualche spazio di idealismo) di educare i politici, prima dei cittadini che rappresentano e amministrano, a privilegiare la ricerca seria: ciò porterebbe alla diminuzione, non certo alla scomparsa, dell’anti-scienza.” ‒ Francesco di Gennaro

Diciottesima intervista della rubrica made in Oubliette “Neon Ghènesis Sandàlion”, una breve inchiesta su alcuni argomenti che animano gli appassionati di archeologia. Si è scelto di dar voce agli archeologi che, da svariati anni, continuano a ricevere ingiustificabili accuse sul loro eccelso e gravoso operato quale il riportare alla luce un passato non scritto ma da scrivere ed, in taluni casi, da riscrivere.
La nota “fantarcheologia” (“fantamania” od “archeomania”) ha prodotto il disagio di intralciare la divulgazione archeologica “teorizzando” con il sensazionalismo, figlio di quest’epoca di neoliberalismo, veri e propri libri di fantasia senza alcun riscontro con le fonti, con la realtà e con l’investigazione della metodologia scientifica. E se è pur vero che, talune volte, un testo di fantascienza è stato precursore di conoscenze future, in questo caso ci troviamo di fronte a “tesi” che si librano nei territori dell’immaginazione con ambizione di storica realtà; tali e quali a quell’Icaro che, con ali di cera, tentò di avvicinarsi al Sole ed in un primo momento sentì la gloria della sua impresa.
“Neon Ghènesis Sandàlion“, da tradursi con “La Sardegna della nuova nascita”, è quell’attimo che viene dopo la caduta di Icaro, è quel padre, il grande architetto Dedalo, che soccorre il figlio dal mare in cui è sprofondato, cura le ferite e perdona ogni suo azzardo.
Perché il peccato è un nostro dovere di figli, ma ancor più il riconoscerlo per un miglioramento personale e sociale. Citando Jean Jacques Rousseau: “Si deve arrossire per il peccato commesso e non per la sua riparazione.”
Lo scorso sabato abbiamo potuto leggere le riflessioni dell’archeologo Giandaniele Castangia, ha preceduto Luisanna Usai, l’archeologo Paolo Gull, l’archeologo Piero Bartoloni, l’archeologa Viviana Pinna, l’archeologo Giuseppe Maisola, l’archeologo Nicola Sanna, l’archeologo Matteo Tatti, l’archeologa Anna Depalmas, l’archeologo Mauro Perra, l’archeologo Nicola Dessì, l’archeologo Roberto Sirigu, l’archeologo Alessandro Usai, l’archeologo Carlo Tronchetti, l’archeologa subacquea Anna Ardu, l’archeologo Alfonso Stiglitz, e l’archeologo Rubens D’Oriano.
Francesco di Gennaro laureato in Protostoria Europea, Specializzato preso la S.N.Archeologia e Dottore di Ricerca in Archeologia Preistorica presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, è autore di un complesso organico di ricerche sulla preistoria dell’Italia centromeridionale, incentrate sullo studio dell’insediamento dell’età del bronzo e della prima età del ferro; è stato direttore archeologo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dal 1982 presso la Soprintendenza Archeologica di Roma, e successivamente Dirigente Archeologo.
Ha pubblicato oltre 350 articoli scientifici e alcune monografie, anche come curatore, ed è stato direttore scientifico di numerose campagne di scavo archeologico dal 1975 al 1985; successivamente, ha diretto le ricerche nei centri protostorici e arcaici e nelle necropoli laziali di Crustumerium e Fidenae, anche in collaborazione con Università estere (Iowa-U.S.A., Lipsia-Germania, Cambridge-UK, Oulu-Finlandia, Groningen-Olanda).
Successivamente è stato Soprintendente del Museo Nazionale di Arte Orientale “G. Tucci”, del Museo Nazionale Preistorico Etnografico “L. Pigorini”, dell’Archeologia della Calabria, dell’Archeologia dell’Abruzzo, dell’Archeologia del Molise (ad interim); dopo la recente riforma è stato Soprintendente per l’Archeologia, belle arti e paesaggio dell’Abruzzo e da marzo 2017 è Soprintendente per l’Archeologia, belle arti e paesaggio delle province di Sassari e Nuoro.
A.M.: Quanto la leggenda e l’astrazione hanno mosso gli esseri umani nel definire e creare la storia?

Francesco di Gennaro: Leggenda e astrazione sono due motori distinti e non è che un verbo usato al singolare possa unificarli. E poi: ci si riferisce agli uomini che nel passato, vivendo “hanno fatto la storia” o agli storici che la ricostruiscono a posteriori? In ogni caso come archeologo preistorico tendo a una ricostruzione storica basata in primo luogo sulle fonti materiali dirette (ovvero i ritrovamenti). Infatti per la preistoria non ci sono le fonti scritte, né per aiutarci, né per deformare soggettivamente i fatti; la ricostruzione che prende le mosse dai ritrovamenti archeologici è comunque particolarmente vocata a svelare la storia della gente comune e i processi strutturali della società piuttosto che la storia delle élite e i fenomeni sovrastrutturali. Un aspetto delle leggende che trovo interessante, e anche utile per capire alcuni aspetti del mondo antico, è la convergenza culturale, ovvero quel fenomeno per il quale davanti a stimoli uguali o analoghi, comunità molto distanti nello spazio o nel tempo, elaborano idee o reazioni uguali o simili: un esempio è il mito delle gallerie e dei cunicoli che uniscono sottoterra i punti percepiti come rilevanti del territorio vissuto, che nell’immaginazione della Sardegna partirebbero prevalentemente dai nuraghi, altrove dai monumenti principali, da cui i cunicoli stessi raggiungerebbero gli altri punti salienti del territorio, comprese le città, o altri monumenti, oppure il mare; o un altura, se ci troviamo in pianura, o una pianura se ci troviamo tra le alture.
A.M.: I nuraghi. Questi nostri sconosciuti. Quali altre culture presenti nel mondo mostrano le stesse caratteristiche delle nostre antiche costruzioni?
Francesco di Gennaro: È una diffusa ingenuità nei confronti della preistoria trattare classi di monumenti come sconosciute solo perché non abbiamo la cronaca diretta del loro uso, che comunque per i nuraghi era certamente di ambito insediativo. I nuraghi si propongono invece come libri che ci offrono ogni volta istruttive pagine sull’organizzazione e la vita dei gruppi sociali dell’età del bronzo e della prima età del ferro. Tralasciando la somiglianza per perlopiù apparente con i talayot delle Baleari o con le cinte murarie delle cittadelle micenee, alcuni paesaggi di trulli o di dammusi sono quelli che più possono darci, sia pure riduttivamente, un’idea del “paesaggio nuragicizzato”. Per quanto riguarda invece gli ambienti circolari coperti a falsa volta, pur se è possibile una ispirazione ad altre manifestazioni dell’architettura mediterranea che ha dato vita alle tholos, non va dimenticato che la copertura a lastre o blocchi progressivamente aggettanti rappresenta uno stadio di sviluppo che precede in molte aree l’introduzione dell’arco e della volta.
A.M.: Quale potrebbe essere la risposta più accreditata per questi ritrovamenti? Che queste culture siano dipendenti da una cosiddetta madre, che la prima rispetto alla seconda sia stata presa come superiore, oppure una risposta che sia piuttosto di convergenza così che culture diverse e distanti fra loro abbiamo avuto lo stesso bisogno ed abbiamo aderito alla stessa soluzione?
Francesco di Gennaro: Premesso quanto sopra, ossia che non vedo collegamenti che possano favorire interpretazioni nella chiave qui proposta tra i nuraghi e altre manifestazioni monumentali architettoniche dell’antichità, se non con il Torreano della Corsica meridionale che però rientra direttamente nell’area stessa di sviluppo dei nuraghi, non saprei cosa si intenda per “sia stata presa come superiore”. Ferma restando la circolazione di persone e di idee ben nota nel Mediterraneo e in tutto il mondo antico, va tuttavia rilevato che la già citata convergenza culturale è un fenomeno con cui gli antichisti e gli antropologi si trovano spesso a fare i conti: si pensi alle similitudini non trasmesse rilevabili in regioni unite dal pastoralismo o a come si sia riproposto, in tempi e in continenti diversi, il fenomeno dell’insorgenza urbana.
A.M.: Addentrandoci nell’etimologia, e leggendo molte opinioni, si è concordi che la radice di nuraghe sia “nur” ma non si è concordi con il significato di questa radice. Due sono le ipotesi madre: una che provenga dai fenici e che vede “nur” con il significato di “luce/fuoco” (e precedentemente dai sumeri “ur/uruk), un’altra invece di sostrato mediterraneo vede la definizione “cumulo di pietre/cavità”. Per quale scuola di pensiero patteggi o hai una strada alternativa da mostrarci?

Francesco di Gennaro: Con la lingua non si può giocare, anche se qualcuno tra i meno avveduti cultori della materia qualche volta lo fa. Fermiamoci dunque alle progressive certezze regalateci da linguisti e glottologi seri. Probabilmente il nome dei nuraghi (quale che sia stato nell’antichità) ove originato nella fase di uso avrà attinenza con il concetto di casa o di dimora, ove nella fase della fossilizzazione culturale, esso ricadrà nella sfera semantica del “turrito castello sacro”. La possibile denominazione di età romana nurac si riferisce preferibilmente alla seconda delle due fasi semantiche, mentre la prima e più antica potrebbe risultare solo da documenti risalenti alla piena età del bronzo.
A.M.: Considerando che il problema maggiore che porta alle diverse vie di interpretazione è la mancanza di dati certi ed il cannibalismo di edifici, come possiamo prospettare la ricostruzione della storia se non con il ritrovamento di nuovi dati? Dunque, quanto è importante ricevere finanziamenti per continuare la ricerca?
Francesco di Gennaro: I dati archeologici sono i mattoni per costruire l’edificio articolato della storia. L’idea di una mancanza di dati utili (più che “certi”) umilia ingiustamente la comunità scientifica degli archeologi, ma d’altra parte è nella natura delle scienze la fame di nuovi dati, che si acquisiscono con la ricerca. I finanziamenti per la ricerca sono dunque fondamentali ma purtroppo da una parte sono scarsi e dall’altra la comunità scientifica spesso non si dimostra in grado di gestirli nel modo migliore.
A.M.: Nella stele di Nora ritroviamo in “fenicio” il nome della nostra isola. È il più antico ritrovamento in cui si parla di Sardegna oppure ci sono altre iscrizioni più antiche? E soprattutto sappiamo se i paleosardi (o sardi nuragici o come preferisci) si identificavano con questa denominazione?
Francesco di Gennaro: A prescindere dall’attestazione del nome fenicio della Sardegna, ogni popolazione insulare, e ancor di più chi dall’esterno ha rapporti con un’isola, tende a tributarle un nome che la identifichi. Da tenere tuttavia presente il caso di terre chiamate in modo differente, magari con disomogeneo riferimento a risorse o aspetti locali, da diverse popolazioni esterne.
A.M.: La scrittura nuragica. Che il popolo sardo vivesse il presente e non sentisse la necessità di scrivere la sua storia come invece han fatto altri popoli?
Francesco di Gennaro: I popoli antichi hanno iniziato a scrivere per fare i conteggi amministrativi o per dedicare oggetti, poi, in genere, della scrittura si giova la redazione di testi sacri e cultuali. La cronaca storica viene molto dopo. Per quanto riguarda la Sardegna, la domanda va rivoltata perché così come è posta sembra una premessa ai ragionamenti del nazionalismo retrospettivo, che ha come deleterio corollario il senso di inferiorità di una società senza epigrafi. Bisogna invece chiedersi: poiché in Sardegna non ci sono tracce di comunicazione scritta, quali aspetti della società locale possono essere evidenziati dalla mancanza del bisogno di registrazioni scritte?
A.M.: Chi sono gli Shardana?
Francesco di Gennaro: Un nome tramandato (per la precisione ShRDN) su cui possiamo fare delle ipotesi… e dei libri di successo.
A.M.: Il problema della divulgazione e la fantarcheologia. Come fermare questo fenomeno e come entrare nelle case dei sardi per sfatare queste “pseudo teorie”?

Francesco di Gennaro: Non togliamo ai fantarcheologi il gusto di giocare e di strillare. Piuttosto cerchiamo (è bello concedersi qualche spazio di idealismo) di educare i politici, prima dei cittadini che rappresentano e amministrano, a privilegiare la ricerca seria: ciò porterebbe alla diminuzione, non certo alla scomparsa, dell’anti-scienza.
A.M.: Quali sono le logiche di mercato che portano a ridicolizzare la Sardegna come Atlantide, e perché non si guarda soprattutto a ciò che abbiamo e cioè l’unica isola che presenta un numero così elevato di costruzioni chiamate nuraghi?
Francesco di Gennaro: Non solo di nuraghi. Si pensi al macroscopico fenomeno delle tombe ipogee a camera, … anzi a casa!, della Sardegna risalenti al Neolitico. E poi, per l’età del bronzo, la mappatura dei nuraghi è significativamente integrata con quella delle tombe di giganti e dei luoghi di culto: impianti santuariali, fonti e pozzi sacri. Oh, se i Sardi, distinguendosi dalle tante altre regioni di saccheggiatori, avessero capito il potenziale, anche economico, di questo palinsesto fossile e non avessero distrutto e trafugato le pagine mai lette della loro storia!
A.M.: Salutaci con una citazione…
Francesco di Gennaro: “La ciencia ha eliminado las distancias” ‒ Gabbo
A.M.: Colgo l’occasione per esprimere le mie più sincere condoglianze alla famiglia per la scomparsa dell’archeologo Ercole Contu, avvenuta il 7 gennaio 2018.
Chiudo con le parole di Karl Popper: “La scienza è ricerca della verità. Ma la verità non è verità certa.”
Written by Alessia Mocci
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