Sardegna ed i misteri del Sinis: i geroglifici di Tharros, il pozzo di Mistras e la sfinge di Is Arutas
“La Sardegna è un’altra cosa: più ampia, molto più consueta, nient’affatto irregolare, ma che svanisce in lontananza. Creste di colline come brughiera, irrilevanti, che si vanno perdendo, forse, verso un gruppetto di cime… Incantevole spazio intorno e distanza da viaggiare, nulla di finito, nulla di definitivo. È come la libertà stessa.” – David Herbert Lawrence
La Sardegna intera è piena di meraviglie e misteri ed una delle zone più ricche in tal senso è senz’altro la penisola del Sinis, resa famosa di recente dalla scoperta, o meglio, dalla valorizzazione delle statue di Mont’e Prama.
Statue, nuraghe, tombe e antiche città, un prezioso dipinto con una cornice composta da misteri o presunti tali, segni sconosciuti e interpretati con chiavi diverse, epigrafi di civiltà lontane o ancora la famigerata pareidolia.
I geroglifici di Tharros
Tharros non ha bisogno certo di presentazioni, città prima punica, poi romana, ma recenti scoperte dimostrano la frequentazione della zona già nel periodo nuragico. Tutta quella zona, da Capo San Marco alla laguna di Mistras nasconde ancora molto, sia sotto la terra che sotto l’acqua.
Ma vi arrivò forse qualcun altro? Recentemente qualcuno ha segnalato quella che potrebbe essere una “bomba”, ovvero la presenza di presunti cartigli egizi incisi sulle rocce affioranti nella spiaggia di Tharros, ad ovest della strada che da San Giovanni del Sinis porta agli scavi dell’antica città.
Posto che sono incisi su roccia arenaria, quindi altamente friabile e facile da lavorare, e al tempo stesso assai sensibile all’erosione eolica e marina, attorno ad essi non esiste nulla che possa far pensare alla presenza di un tempio o di una qualsiasi struttura eretta dall’uomo, un po’ come accade per le famose anomalie marziane. Sulla superficie del pianeta rosso si è visto di tutto, teschi, madonne, piramidi, ziqqurat e statue o presunti tali, ma isolati in un mare di sabbia.
Per tali semplici deduzioni logiche appare più probabile l’opera di un moderno buontempone che di un artista di 3000 anni fa.
Shar’ar ha B’aal
Un nome esotico, un richiamo a rituali antichi eseguiti in una location da cartolina. Una vecchia cava di arenaria in uso dall’età antica, oggi presso l’abitato di San Giovanni del Sinis, composta da gradoni, tagli perpendicolari lambiti dalla risacca e decine, innumerevoli graffiti che decorano ancora quelle pareti, mute testimoni della baldoria che fu, danze sfrenate, alcol a fiumi e atti impuri. Accade così che tra nomi, date e dichiarazioni d’eterno amore campeggino segni d’altri tempi, volti e occhi egittizzanti. Sempre su tenera roccia arenaria, così facile da incidere ma insensibile al tempo, all’acqua e al vento (satira).
Di volti incisi su roccia la vecchia Ichnussa è satura ma non solo lei, basta pensare al famoso “volto” della piana di Cydonia visibile su Google Mars alle coordinate 40°44’70” N, 9°27’05” E, tipico esempio di cosa possano fare la pareidolia ed un po’ di suggestione.
E il resto dei segni? Opera di qualche amante annoiato dei tempi recenti, poco probabile che un antico scriba abbia lasciato una dedica alla sua divinità su roccia così tenera e con la perizia di uno scolaretto.
Il pozzo di Mistras
La laguna di Mistras è un luogo affascinante, acque placide e depositi di sedimenti che secondo le ultime ricerche nascondono il porto di Tharros, ma ulteriori testimonianze sarebbero lì in attesa, appena celate da giunchi spinosi. Così non è per un pozzo dall’aspetto inedito, profondità di circa 1.50 metri e vera quadrata composta da quattro conci di arenaria disposti ad incastro ma la cui peculiarità sarebbe rappresentata da una serie di simboli incisi sulla parte sommitale che i soliti negazionisti interpretano con 1942/9.
Stando al proprietario del terreno il pozzo sarebbe stato costruito negli anni ’40 del secolo scorso per alimentare un abbeveratoio ed in seguito abbandonato quando l’acqua divenne salmastra. Appare superfluo parlare della natura dei simboli, essendo posizionati in modo che chiunque, in qualsiasi epoca, avrebbe potuto incidere qualcosa in quella tenera roccia arenaria; non è il reperto in sé a fare la scoperta, ma l’intero contesto in cui viene rinvenuto.
La sfinge di Is Arutas
Un affioramento calcareo come ce ne sono innumerevoli ed un po’ di fantasia. Anche in questo caso gli esempi di rocce modellate dagli agenti atmosferici sono molteplici, dai già citati volti fino ad esempi celebri come l’orso di Palau o la roccia dell’Elefante presso Castelsardo, su cui nessuno avanzò ipotesi tendenti ad un modellamento da parte della mano dell’uomo. Ragion per cui anche tale presunta sfinge resta ciò che appare, una roccia di forma particolare, non certo un elemento che poteva in passato far parte di un edificio, un tempio, o un’area sacra; niente di tutto ciò sembra affiorare in quella zona del Sinis.
Lo scarabeo equinoziale
Il fantastico viaggio tra i misteri del Sinis si conclude sulla spiaggia di Su Crastu Biancu dove qualche bagnante annoiato ebbe tempo e voglia per scolpire su una roccia l’immagine di un insetto il cui asse risulta puntato verso gli immancabili equinozi. Non risulta così strano, visto che l’assenza di un arenile impedisce qualsivoglia tipo di attività che contempli il non doversi bagnare.
A ciò va aggiunto, come per la presunta sfinge, che attorno allo scarabeo non sono presenti tracce di una qualsiasi antica struttura.
Written by Igor Carta
a me sembra assurdo che ci siano persone che credano a queste stupidaggini, fanno perdere tempo agli archeologi e riempiono il web di articoli falsi. grazie per la chiarezza.
il video fa ridere ma capisco che si possa solo ridere perchè non si deve piangere di queste stupidaggini.