Ischia Summer School of Humanities: l’intervista al critico letterario Raffaello Palumbo Mosca
“Io sono fermamente convinto che la filosofia, largamente intesa e quando non diventa estremamente specialistica, abbia molto da dire alla letteratura perché la filosofia ha sempre a che fare con una concezione, un’interpretazione del mondo e dei suoi fenomeni. Il testo è esattamente questo.” – Raffaello Palumbo Mosca
Nel secondo appuntamento di questa breve rubrica sul Nichilismo ci accompagnerà Raffaello Palumbo Mosca. Dottore di ricerca in Culture Classiche e Moderne presso l’Università degli Studi di Torino e Ph. D. in Lingue e Letterature Romanze presso la University of Chicago; è direttore della GSH (Genoa School of Humanities).
Ha insegnato letteratura italiana in USA (University of Chicago) e in UK (University of Kent). I suoi interessi si concentrano, in particolare, sul romanzo europeo moderno e contemporaneo e sul nesso tra letteratura e morale.
Raffaello ci racconta il suo percorso dalla filosofia alla letteratura, passando per Gadda e Proust; con lui esploriamo quella dimensione in cui alberga il dialogo tra filosofia e letteratura e il loro inscindibile legame.
Ci avventuriamo tra le pagine dei tanto bistrattati Alessandro Manzoni e Federico De Roberto per scoprirne gli aspetti nichilistici e proporne una lettura innovativa.
M.C.M.: Abbiamo fino ad ora parlato del nichilismo in filosofia, come lo definiresti e declineresti all’interno della letteratura?
Raffaello Palumbo Mosca: In realtà non credo ci sia una differente definizione di nichilismo per la letteratura, ma siamo noi ad applicare al testo una delle sue definizioni filosofiche possibili e cerchiamo di vedere in che modo essa si declini all’interno del testo. Questo anche perché i romanzi non sono evidentemente testi teorici, quindi è nostro compito ritrovare o svelare un concetto, una visione del mondo che l’autore esprime implicitamente attraverso la narrazione.
M.C.M.: Solitamente se si pensa al nichilismo in letteratura, il pensiero corre subito agli autori russi: Dostoevskij, Tolstoj… Come mai hai scelto di indirizzare la tua scelta verso autori italiani, quali Manzoni e De Roberto?
Raffaello Palumbo Mosca: Chiaramente nichilismo è la parola chiave di tutta una stagione russa che parte da Alexander Pushkin e arriva almeno fino a Michail Bulgakov; penso a Turgenev che utilizza esattamente in “Padri e Figli” la parola “nichilismo” e penso a Dostoevskij. Questi sono autori molto amati e molto studiati dai filosofi proprio perché affrontano i grandi temi esistenzialisti a loro cari. A me interessava però provare a fare qualcosa di diverso e forse più difficile: rintracciare una declinazione diversa di nichilismo. In Manzoni incontriamo quella che potremmo definire una “tentazione del nichilismo” (non portata a compimento), mentre in De Roberto la componente nichilistica è forte, soprattutto in “Imperio”. Mi interessava provare a fare un percorso che partisse dallo sgomento di fronte al mutismo del Dio di Manzoni, che è un autore anti-nichilista, a meno che non si faccia riferimento all’accezione nietzschiana di nichilismo cristiano; per arrivare, infine, al nichilismo dichiarato di De Roberto. Mi interessava, dunque, fare questo percorso con autori meno conosciuti o conosciuti per aspetti diversi; anche perché il mio campo di studio è la letteratura italiana, la letteratura comparata, sulla quale ho sicuramente molto di più da dire.
M.C.M.: Dunque, ci hai parlato di autori che spesso vengono letti in modo unidirezionale e qualificati secondo stereotipi. La fissa immagine di un Manzoni “cattolico e pacificato” si scontra con la lettura da te presentata. In che modo ri-leggere “I Promessi Sposi”, accantonando gli schematismi prestabiliti?
Raffaello Palumbo Mosca: Credo che una lettura critica sia una buona lettura nel momento in cui ci presenta il testo in modo coerente e ci fornisce un modo diverso e stimolante di ri-leggere il testo. Non esiste una lettura critica assolutamente vera e definitiva, ma ne esistono tante che aiutano a esplicare la complessità di un testo. Nel caso di Manzoni possiamo dire che sia un autore tanto conosciuto quanto sconosciuto, poiché legato alla visione scolastica che ne abbiamo. Al contrario, a me interessava riproporre la ricchezza umana e letteraria del percorso manzoniano. Evidentemente la critica letteraria non è una scienza esatta e il critico letterario è sempre, in qualche modo, al servizio del testo. Proporre una lettura diversa significa, a mio parere, provare ad aggiungere ricchezza a un testo che è già ricco di suo.
M.C.M.: Spostandoci, invece, sulla figura di De Roberto abbiamo parlato del suo nichilismo nella concezione del potere: esso è corrotto nella sua essenza e, ad un livello antropologico, non trova speranze di realizzazione. Sei concorde con questa posizione o preferisci autori che forniscano una teoria più vicina alle tue idee?
Raffaello Palumbo Mosca: In questo ammetto di essere molto sciasciano e quindi ho una visione molto pessimistica dell’esercizio del potere. Quella del potere è una questione istintiva che si traduce anche nei rapporti personali, ad esempio nel rapporto con l’animale domestico: pur amando i cani sono un gattofilo perché ho l’impressione che con i gatti questo gioco di servo – padrone non ci sia, o ci sia e sono io il servo del mio gatto (sorride). Direi che c’è, quasi originariamente, una sorta di diffidenza della scrittura verso il potere; lo scrittore è spesso contro il potere, anche solo perché per costruire un testo bisogna riflettere su un qualcosa che è già dato, e quindi già solo riflettendo su un “dato” si propone una sua lettura, si fornisce un’interpretazione. D’altro canto non ci si deve neanche dimenticare di quei tanti scrittori che si sono alleati con il potere, una sorta di dimostrazione e contrario che la scrittura dovrebbe essere sempre “qualcosa d’altro”.
M.C.M.: Spostando l’attenzione sulla tua carriera, ricordiamo che sei laureato in Filosofia ma hai poi scelto di diventare un critico letterario. Come mai questa scelta inusuale? In che modo, secondo te, si può proporre e avviene un dialogo effettivo tra letteratura e filosofia?
Raffaello Palumbo Mosca: Sì, io sono laureato in Filosofia ma con una tesi in Lettere su Gadda e Proust perché avevo già l’idea che filosofia e critica letteraria fossero due discipline che si parlano. Poiché non mi interessava fare una critica filologica del testo, ho preferito dedicarmi all’ermeneutica. Nonostante, infatti, la laurea in Filosofia, ho poi fatto Dottorati in Letteratura. Se da un lato il percorso di studi in filosofia mi dava, a mio parere, strumenti in più per l’analisi ermeneutica di un testo; d’altro lato, dovevo poi concentrarmi sui testi, non solo sul metodo di interpretazione degli stessi. Io sono fermamente convinto che la filosofia, largamente intesa e quando non diventa estremamente specialistica, abbia molto da dire alla letteratura perché la filosofia ha sempre a che fare con una concezione, un’interpretazione del mondo e dei suoi fenomeni. Il testo è esattamente questo. Un romanzo vero è già una filosofia, sebbene non sistematizzata; un romanzo è un’interpretazione del mondo. Dunque, non voglio confondere filosofia e critica letteraria, ma evidenziare quanto i loro confini siano porosi.
M.C.M.: Concludo chiedendoti perché hai scelto di partecipare a questa Summer School e quali impressioni riporti a casa con te?
Raffaello Palumbo Mosca: Ho scelto di parteciparvi sicuramente perché credo che filosofia e critica letteraria siano due discipline che si parlino, e quindi mi interessava ascoltare cosa i filosofi avrebbero detto e cosa avevano da dire. Aggiungo poi un motivo “politico”. Sono sempre più convinto, avendo passato ormai la metà della mia vita nell’ambiente accademico, sia come studente che come docente, ed essendo in questo momento non all’interno dell’università, che la cultura si faccia molto più spesso in ambienti di questo tipo (come l’Ischia International Festival of Philosophy), piuttosto che dietro i banchi universitari. C’è in questo una critica esplicita alla burocrazia e alla mancanza di un rapporto personale non tra docente e discendente, ma tra “pensanti lo stesso problema”. Il grande vantaggio di queste esperienze è poter realmente parlare, al di là di un discorso di potere; al di là di un discorso gerarchico si è tutti interessati a qualcosa e si cerca di giungere a un risultato, che è l’accrescimento di conoscenza, possibile più in questi contesti che altrove. Un’esperienza che mi ha lasciato molto da un punto di vista della conoscenza, ma che mi ha dato l’opportunità di creare altrettanti rapporti umani, che credo sia una componente fondamentale del nostro amore per il sapere. Si conosce sempre insieme a qualcun altro, ma bisogna incontrare questo “altro”!
Siamo così giunti al termine di questa seconda, particolare intervista. Ancora una volta abbiamo viaggiato fuori dagli schemi, alla scoperta di quel possibile dialogo tra la filosofia e lo splendore degli altri linguaggi.
Questa volta il critico letterario Raffaello Palumbo Mosca ci consegna un’importante verità: il sapere può fiorire e sedimentarsi solo nel “tra” dei rapporti umani. Ripartiamo proprio da qui, dalla riscoperta delle differenze che albergano nei legami umani, proprio come differenti sono le arti con cui ci esprimiamo.
Con questa rubrica cogliamo lo stimolo a scavare più in profondità, scoprendo le potenzialità dei linguaggi interdisciplinari che, mai come ora, permettono la sopravvivenza della filosofia e delle arti ad essa sempre connesse.
Written by Maria Cristina Mennuti
Photo by Maria Cristina Mennuti
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Reportage Ischia Summer School of Humanities
Sito Summer School of Humanities
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