“L’ultima estate e altri scritti” di Cesarina Vighy: il coraggio e l’ironia di una donna che non si arrese mai
“Attenti, compagni di sventura che ormai siete i destinatari di questo piccolo vademecum che si va componendo quasi da solo. L’homo sapiens è l’animale più adattabile che sia mai comparso, senza scomparire, sulla faccia della terra. Via i dinosauri, via i mammuth ma l’essere umano è sempre qui. Perché si è piegato, senza pregiudizi ma non senza disgusto, a mangiar carne o erba, secondo le carestie.”

Nel 2009 vinse il Premio Campiello Opera Prima e si classificò nella cinquina del Premio Strega; nel 2017 la Fazi ripropone quello che venne da subito considerato un caso letterario in una nuova edizione arricchita da poesie, inediti e una prefazione di Pier Vincenzo Mengaldo.
“L’ultima estate e altri scritti” (Fazi Editore, settembre 2017) è la via di mezzo tra il romanzo e il diario autobiografico, è la testimonianza della permanenza su questa Terra di Cesarina Vighy (1936-2010), per i più Titti, donna che visse tra Venezia e Roma e che girò per l’Europa, stella del teatro universitario di Ca’ Foscari, prima di svolgere altri lavori e divenire bibliotecaria nella Capitale.
Ci sono gli anni dell’infanzia, la maturità, la storia dei genitori e di quel padre già sposato con un’altra donna che solo dopo anni poté staccarsi dalla prima moglie per dedicarsi in pieno alla ‘vera’ famiglia.
Ci sono gli anni Cinquanta con le contestazioni e il desiderio di ribellione, c’è l’amore per i libri, per i gatti, entrambi compagni inseparabili, e c’è anche la malattia, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, presenza oscura dei suoi ultimi anni. E ci sono quelle e-mails scambiate con la figlia, il nipote e gli amici, fonte di felicità di Titti.
Mai la Vighy utilizza la malattia per suscitare pena nel lettore; il suo è più uno sfogo, una dichiarazione di speranza e l’esempio dell’importanza della cultura e dei libri.
“L’ultima estate” e “Scendo. Buon proseguimento”, insieme alle poesie, agli Haiku e alle riflessioni sulla morte presenti in questa nuova edizione, vennero alla luce nonostante la forza fisica che scemava lentamente, nonostante la voce che non c’era più. Persino l’esercitare i suoi diritti di cittadina, come il poter votare, rivestì un ruolo fondamentale fino agli ultimi giorni.
I libri e la scrittura come ancora di un’esistenza piena e talvolta travagliata. Il suo intento non era quello di impietosire ma di insegnare in qualche modo che tutto ciò che accade ha un significato e che l’ironia non deve mai mancare. E in tale maniera non poteva non commuovere.

“Fatevi venire o, se lo avete già, coltivate il senso dell’umorismo. C’è tanto da ridere al mondo: degli altri, di voi stessi, delle cose che vi parevano così importanti e invece erano così stupide.”
Il suo linguaggio diventa tagliente, quasi sarcastico ma non manca mai la poesia, in ogni parola e nello specifico in quei versi ai quali lei era così legata.
A differenza di quanto certi lettori hanno affermato tali scritti sarebbero stati apprezzati anche senza la malattia dell’autrice. Solo chi si è fermato all’apparenza e non ha ascoltato le parole della Vighy potrebbe azzardarsi in tali asserzioni.
“Finalmente siamo in autunno pieno, da poesia per il libro delle elementari: pioggia, ultime foglie secche che non si sa cosa stiano a fare attaccate al loro albero, bambini mogi dal risveglio difficile dopo il primo entusiasmo per le cartelle e i libri nuovi. Scomparsi la meraviglia dorata dell’inizio, l‘uva multicolore, gli ultimi fichi, le prime castagne. Signora mia, non ci sono più le mezze stagioni!”
Written by Rebecca Mais