Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologo Carlo Tronchetti

“Chi ha scoperto il fuoco? Chi ha inventato la ruota? Sono tutte cose che non avvengono in un unico punto e poi si diffondono, ma sono scoperte e invenzioni che avvengono in punti diversi, indipendentemente.” – Carlo Tronchetti

Carlo Tronchetti

Quarta intervista della rubrica made in Oubliette “Neon Ghènesis Sandàlion che punta a metter luce sulle origini della Sardegna e sul disagio della fantarcheologia che ha notevolmente intralciato l’investigazione e la divulgazione archeologica. Lo scorso sabato abbiamo potuto leggere le argomentazioni dell’archeologa subacquea Anna Ardu; la rubrica è stata aperta dall’archeologo Rubens D’Oriano, ha seguito l’archeologo Alfonso Stiglitz.

Neon Ghènesis Sandàlion da tradursi con “La Sardegna della nuova nascita” è un progetto che si estenderà a numerosi archeologi che hanno studiato e studiano la Sardegna nuragica per donarci nuovi pezzettini dell’intricato puzzle della storia di quest’isola. Per coloro che non ne fossero a conoscenza, i Greci denominavano la Sardegna sia Sandàlion (per la forma di “sandalo” e qui si potrebbe aprire anche un’interessante riflessione sulle conoscenze di questo popolo) sia Ichnussa. E sì, non si nasconde che la denominazione della rubrica è anche un richiamo all’anime Neon Genesis Evangelion.

Carlo Tronchetti è laureato in Archeologia e Specializzato in Tecnica dello scavo archeologico presso l’Università di Pisa ha prestato servizio come Archeologo alla Soprintendenza Archeologica di Cagliari e Oristano dal 1976 al 2006, rivestendo l’incarico di Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari dal 1986 al 2006.

Si è occupato di scavi in Abruzzo, Lazio e Sardegna, dove ricordiamo principalmente Mont’e Prama, Sant’Antioco, Nora e Cagliari, dando conto dei risultati della sua attività in pubblicazioni specialistiche e divulgative.

Eccovi dunque le illuminanti argomentazioni di Carlo Tronchetti. Buona Lettura!

 

A.M.: Quanto la leggenda e l’astrazione hanno mosso gli esseri umani nel definire e creare la storia?

Carlo Tronchetti: Domandina facile facile per rompere il ghiaccio eh? È un problema molto discusso in ambito antropologico, un bel po’ distante dalle problematiche di cui mi occupo. Per quel poco che posso dire la storia è in parte sicuramente una creazione. I fatti esistono, e la loro registrazione nasce presso i grandi imperi, ma, essendo storia ufficiale, ha un’ottica di parte, come i TG governativi di oggi. La ricerca di cause antiche agli eventi attuali e l’ingrandimento mitico di fatti reali portano poi alla creazione di leggende, miti, religioni. Le famose domande di Woody AllenChi siamo? Dove andiamo? Ci faranno entrare vestiti così?” risalgono alla notte dei tempi. Lo storico Eric Hobsbawm aveva scritto pagine illuminanti sulla creazione della tradizione. La storia può essere raccontata e letta da ottiche diverse, pur partendo da fatti reali e verificabili. Più semplicemente è la storia mitica e leggendaria che viene costruita a posteriori per spiegare o giustificare le situazioni attuali. Bisogna leggere l’inizio delle Storie di Erodoto per capirlo bene. Vi invito a farlo.

 

A.M.: I nuraghi. Questi nostri sconosciuti. Quali altre culture presenti nel mondo mostrano le stesse caratteristiche delle nostre antiche costruzioni?

Broch – Scozia – Isle of Lewis

Carlo Tronchetti: Se ci pensiamo un attimo con calma ci accorgiamo che quella circolare è forse la forma di costruzione più semplice ed elementare. In quella quadrangolare c’è il problema di legare assieme i quattro muri, altrimenti cadono da tutte le parti. Invece se si parte da un cerchio, via via restringendolo, la costruzione regge. Per questo le costruzioni a forma circolare sono state adottate in diverse parti del mondo, in diversi periodi, per sopperire ad una medesima esigenza: quella di costruire un ambiente chiuso e coperto. Si va dai nuraghi della Sardegna dell’Età del Bronzo (dal 1600 a.C. in poi), ai Broch scozzesi che si datano nell’Età del Ferro della Scozia, cioè dal 400 a.C. circa in poi; si trovano poi strutture circolari anche nell’America meridionale, in Asia ecc.

 

A.M.: Quale potrebbe essere la risposta più accreditata per questi ritrovamenti? Che queste culture siano dipendenti da una cosiddetta madre, che la prima rispetto alla seconda sia stata presa come superiore, oppure una risposta che sia piuttosto di convergenza così che culture diverse e distanti fra loro abbiamo avuto lo stesso bisogno ed abbiamo aderito alla stessa soluzione?

Carlo Tronchetti: In parte ho già risposto nella risposta precedente. La ricerca di una determinata funzionalità porta ad avere esiti simili in contesti geografici e cronologici diversi. Chi ha scoperto il fuoco? Chi ha inventato la ruota? Sono tutte cose che non avvengono in un unico punto e poi si diffondono, ma sono scoperte e invenzioni che avvengono in punti diversi, indipendentemente. Fra i nuraghi sardi e le altre costruzioni esistono differenze cronologiche e geografiche notevoli, in qualche caso notevolissime, come con le costruzioni dell’America meridionale. Il pensare che sia esistita una “cultura madre” che abbia dato origine a culture dipendenti vuol dire non contestualizzare le diverse manifestazioni nell’ambito culturale di riferimento. La forma può essere simile, la funzionalità di base (edificio chiuso che sta in piedi) è simile, la funzionalità di uso può essere diversa. Se una persona vuole bere, difficilmente adotterà una forma diversa da quella concava per versarci il liquido. Poi il liquido versato e le modalità di berlo possono essere, e sono, diverse.

 

A.M.: Addentrandoci nell’etimologia, e leggendo molte opinioni, si è concordi che la radice di nuraghe sia “nur” ma non si è concordi con il significato di questa radice. Due sono le ipotesi madre: una che provenga dai fenici e che vede “nur” con il significato di “luce/fuoco” (e precedentemente dai sumeri “ur/uruk), un’altra invece di sostrato mediterraneo vede la definizione “cumulo di pietre/cavità”. Per quale scuola di pensiero patteggi o hai una strada alternativa da mostrarci?

Carlo Tronchetti: La linguistica è una disciplina estremamente complessa, che io non ho mai affrontato, perché le lezioni di Glottologia che avevo seguito all’Università mi avevano convinto che necessitava di una base di studi e conoscenze vastissima (ed io ero indirizzato verso le problematiche storico-archeologiche); inoltre il Prof. Tristano Bolelli ci spiegò amenamente quali cantonate si potevano prendere se si affrontavano certi problemi senza la necessaria preparazione, citando ad esempio un tizio che traduceva l’etrusco attraverso il cinese moderno, prendendosela astiosamente contro la scienza ufficiale glottologica che non gli dava ascolto. Per questo non mi sento di intervenire in questioni del genere. Dal punto di vista storico posso dire che indubbiamente rapporti dei Fenici con la Sardegna sono ben documentati; non so quanti e quali altri prestiti linguistici fenici (non più tardi cartaginesi e comunque di tradizione punica nord africana anche di epoca romana) siano documentati in Sardegna. Così ad occhio io propenderei però per la seconda ipotesi, cioè quella di un sostrato mediterraneo, anche perché il significato mi sembra più congruo.

 

A.M.: Considerando che il problema maggiore che porta alle diverse vie di interpretazione è la mancanza di dati certi ed il cannibalismo di edifici, come possiamo prospettare la ricostruzione della storia se non con il ritrovamento di nuovi dati? Dunque, quanto è importante ricevere finanziamenti per continuare la ricerca?

Scavi Mont’e Prama

Carlo Tronchetti: Un po’ di dati certi li abbiamo, non fasciamoci troppo la testa. Sicuramente un nuraghe scavato adesso, da persone che sappiano realmente scavare in modo stratigrafico, restituisce molte più informazioni di tutti i nuraghi scavati fino agli anni ’60 (o anche ’70) del secolo scorso. Ma già un bel po’ di quello che è stato fatto negli ultimi 40 anni in Sardegna è utilissimo per rileggere e reinterpretare i vecchi dati. Bisogna portare avanti la ricerca, e per questo occorrerebbe un piano strategico per la tutela dei siti, scavati e da scavare. Poi bisognerebbe portare avanti le indagini. E qui nascono i problemi, e grossi. Gli scavi costano, costano, costano, e sono necessariamente lenti, perché non sono rivolti a portare alla luce monumenti liberandoli dalla terra che li copre, ma sono rivolti a comprendere i problemi delle vicende che hanno portato un monumento dall’essere eretto e frequentato ad essere i ruderi coperti di terra che abbiamo adesso. Cercare di capire, quindi, il quando, il come, il perché di ogni singolo evento. E poi bisogna, e questa è forse la cosa più difficile a far comprendere ai poteri pubblici, che uno scavo non si esaurisce quando si termina materialmente di scavare. Dopo c’è tutto il lungo periodo della sistematizzazione dei dati, del loro studio analitico e della ricomposizione finale sintetica della storia narrata dal monumento e dalla terra che lo ricopriva. Non per niente Andrea Carandini aveva intitolato il suo manuale di scavo “Storie dalla terra”. Ma per ricostruire le storie ci vuole studio, pazienza e tempo. Sono lavori nascosti, che non si vedono, non danno pubblicità, e per questo non percepiti da chi dovrebbe, e cioè chi finanzia. Poi il sito scavato va manutenuto costantemente, altrimenti si degrada, ed anche questo costa. Per sintetizzare, il problema è di due ordini: quello culturale (far capire le cose che ho detto sopra a chi ha il governo politico amministrativo e decisionale), e quello finanziario (ci vuole un sacco di soldi). Se i soldi arrivassero avremmo la possibilità di far lavorare i numerosi disoccupati archeologi giovani e un po’ meno giovani, anche sulla cinquantina, che abbiamo in Sardegna, e non solo loro, perché un cantiere di scavo impegna molte professionalità. Inoltre acquisiremmo nuovo conoscenze che permetterebbero di confermare, smentire, approfondire quello che già sappiamo. Quindi di presentare la storia dell’isola nel suo contesto mediterraneo dandole il reale valore.

 

A.M.: Nella stele di Nora ritroviamo in “fenicio” il nome della nostra isola. È il più antico ritrovamento in cui si parla di Sardegna oppure ci sono altre iscrizioni più antiche? E soprattutto sappiamo se i paleosardi (o sardi nuragici o come preferisci) si identificavano con questa denominazione?

Carlo Tronchetti: Per quel che ne so dovrebbe essere il ritrovamento più antico. Non abbiamo idea di come i Sardi chiamassero l’isola e nemmeno se stessi. Purtroppo non abbiamo testi scritti sardi nella loro lingua, perché la scrittura non era nota. Quindi abbiamo solo nomi tramandati da altre genti. I Fenici, nella stele scrivono SRDN, i Greci la chiamavano Ichnussa e Sandaliotis. Ognuno le dava il nome che voleva.

 

A.M.: La scrittura nuragica. Che il popolo sardo vivesse il presente e non sentisse la necessità di scrivere la sua storia come invece han fatto altri popoli?

Carlo Tronchetti: Io sono sicuro che il popolo sardo, o meglio le diverse comunità sarde che vivevano nell’isola, avesse un patrimonio di mitologia, leggende e storia, tramandato per via orale. Non abbiamo testimonianza di scrittura. Perché? Perché la scrittura nasce presso grandi imperi o regni centralizzati, con una struttura amministrativa e burocratica, con caratteri inizialmente amministrativi, poi politici e religiosi (iscrizioni onorarie di re, imperatori ecc. e dediche, preghiere alle divinità). Del resto la prima trascrizione scritta dell’Iliade e dell’Odissea avviene solo fra il 520 ed il 510 a.C.. In Sardegna non abbiamo traccia di un potere centralizzato e di un’organizzazione statale così articolata e complessa da richiedere una amministrazione burocratica supportata dalla scrittura; da quel che sappiamo si trattava di comunità di piccole o medie dimensioni che convivevano più o meno pacificamente tra di loro. Quindi la scrittura non è nata perché non se ne sentiva la necessità.

 

A.M.: Chi sono gli Shardana?

Carlo Tronchetti: Se sapessi rispondere con certezza a questa domanda, avrei già indovinato i numeri del SuperEnalotto. Non lo so. Studiosi di diversa estrazione stanno discutendo di questo problema da decenni, nel contesto dello studio dei Popoli del Mare (definizione peraltro moderna e non antica). So che esistono posizioni che tendono a riportare tutti quei popoli nell’area egea, altre che sono più possibiliste verso il Mediterraneo occidentale. Non mi sono mai occupato professionalmente del problema, che si riferisce ad un ambito cronologico più antico di quelli che conosco un po’ meglio. Non è inverosimile, a mio avviso, che qualche piccolo gruppo sia partito dalla Sardegna nell’Età del Bronzo, facendo scorrerie dove capitava, e sia finito anche in Egitto. Ma la distanza è lunga, ed anche gli scorridori del mare hanno bisogno di un punto di appoggio sicuro e non troppo lontano. Capisco che la risposta è deludente, ma non potrei dire altro.

 

A.M.: Il problema della divulgazione e la fantarcheologia. Come fermare questo fenomeno e come entrare nelle case dei sardi per sfatare queste “pseudo teorie”?

Nuraghe San Pietro – Ussaramanna

Carlo Tronchetti: Bel vespaio questo. I problemi sono moltissimi. Il principale è che il lavoro di noi archeologi si dovrebbe sempre concludere con la diffusione dei risultati sia a livello scientifico che divulgativo. Ma mentre a livello scientifico gli spazi si trovano, a livello divulgativo domina il mercato, ovviamente. Altrettanto ovviamente è oggettivamente più divertente leggere le fantasticherie gabellate per cose vere, meglio se ammantate di complottismo gestito dai poteri forti mondiali che vogliono nascondere l’eccezionale importanza della Sardegna nell’antichità, rispetto ad una storia reale, ma emozionalmente meno coinvolgente. È più divertente sognare che ragionare, almeno per molti. È un aspetto, quello della fantarcheologia, che non è limitato alla Sardegna, ed è assai antico. Ricordo che quando ero studente a Pisa (parlo degli anni tra ’60 e ’70 del secolo scorso) in biblioteca c’era una sezione con la sigla CV, ufficialmente Cose Varie (in realtà, come mi disse la Dottoressa che l’aveva creata, CV significava esattamente quello che tutti pensavano sfogliandone i libri), dove erano conservati volumi e scritti vari di archeologia non ufficiale. Ne ricordo uno che era stato dettato all’autore da Zeus in persona, un altro che sosteneva con dovizia di prove che la guerra di Troia era avvenuta in realtà a Vicenza (di dove, ovviamente, l’autore era originario), un altro che sosteneva che la civiltà europea era nata nell’artico, nell’ultima Tule, ricercando tutti i toponimi che la ricordavano, fra cui anche Villanovatulo (che di artico, secondo me, ha ben poco). Insomma tutti questi lavori, compresi quelli dei fantarcheologi sardi, sono accomunati da una assoluta decontestuallizzazione di quello di cui parlano (fenomeni diversi per epoca e funzione messi assieme indiscriminatamente), mancanza di nozioni fondamentali sul modo di fare ricerca storica, ipotesi indimostrabili che diventano dati di fatto su cui costruire altre ipotesi che a loro volta diventano ecc. ecc.. Quando leggo che i Sardi avevano navi di metallo e conoscevano la navigazione a vapore o che i Sardi, popolo di Dan, sono arrivati sino in Irlanda dove la canzone DANny boy è ancora oggi tra le più popolari, non posso fare a meno di chiedermi se chi scrive queste cose lo fa per cercare di procurarsi denaro dalla vendita dei libri o ci creda veramente. Il brutto è che poi ci sono molte persone che danno fede a loro e aggrediscono l’archeologia ufficiale. Io personalmente sono stato accusato di aver voluto nascondere la scoperta delle statue di Mont’e Prama, che era la più importante del secolo scorso. Non ho mai capito perché un archeologo dovrebbe nascondere la sua più importante scoperta (e infatti non l’ho fatto: le statue erano esposte al Museo di Cagliari, hanno girato Italia ed Europa in Mostre, ed ho scritto un bel po’ di cose scientifiche e divulgative anche prima del boom pubblicitario degli ultimi anni); ovviamente (per alcuni) ero stato pagato dai “poteri forti internazionali”. Io vorrei chiedere a chi lo pensa di darmi l’indirizzo di questi “poteri forti” per mandare la fattura, visto che sino ad ora non ho visto nemmeno una lira. A parte gli scherzi il fenomeno in Sardegna è diffuso molto, e secondo me qui ci si può ricollegare alla prima domanda. La creazione di una storia mitica, dove la Sardegna dominava il mondo, che è stata affossata da un complotto mondiale, diviene una rivalsa psicologica sulle assai poco buone condizioni attuali. Individuare i colpevoli di questo degrado nei “poteri forti mondiali” e nei loro servi dell’archeologia ufficiale distrae la gente dal cercare concretamente soluzioni per modificare lo stato delle cose. È un po’ come avviene per il calcio: se uno è tifoso (io non lo sono) crede nella sua squadra e vive per essa, se va male la colpa è degli altri, se va bene è felicissimo anche se personalmente fa una vita di m***a.  Penso che il fenomeno della fantarcheologia sia inestirpabile. Chi è convinto che tu racconti balle per oscuri motivi non si convincerà mai che le prove evidenti dicono il contrario di quello che lui pensa. Mi ricordo che una volta, discutendo con Sergio Frau sulla questione dello tsunami portandogli le testimonianze dei miei scavi dove non c’era traccia di quello che lui asseriva, Frau mi disse che non credeva a quello che dicevano gli archeologi perché nessuno poteva sapere se era vero. A questo punto il dialogo diviene impossibile. La fantarcheologia è come la religione. Uno crede, indipendentemente dalla razionalità, in quello che gli viene detto e non lo discute. Tutte le idee contrarie sono errate o peggio. I creazionisti fondamentalisti statunitensi sostengono che le datazioni ottenute dagli scienziati antecedenti al 4016 a.C. (se ricordo bene è la data della creazione del mondo ricavata dalla Bibbia secondo i loro studi) sono opera del demonio. Con persone che la pensano in questo modo è impossibile discutere. Compito degli archeologi e degli storici veri è quello di diffondere il più possibile i dati di fatto acquisiti, anche in forma piacevole a leggere. La scuola, poi, dovrebbe fare la sua parte, cercando di insegnare il metodo critico, utilissimo non solo in questo campo, ma in generale per affrontare il mondo.

 

A.M.: Quali sono le logiche di mercato che portano a ridicolizzare la Sardegna come Atlantide, e perché non si guarda soprattutto a ciò che abbiamo e cioè l’unica isola che presenta un numero così elevato di costruzioni chiamati nuraghi?

Carlo Tronchetti – Foto di Dietrich Steinmetz

Carlo Tronchetti: Tutto è pubblicità! Bisogna colpire l’attenzione. Possibilmente con qualcosa di clamoroso, evidenziabile in uno slogan o un’immagine o in due o al massimo tre parole (altrimenti non lo leggono). Sardegna=Atlantide risponde a questi requisiti. Atlantide è depositata nella memoria collettiva, ognuno ne ha sentito parlare come di un continente misterioso scomparso e mai più ritrovato. È chiaramente un bel richiamo, ma è ovviamente falso, dal momento che Atlantide non è mai esistita. Sarebbe come andare a cercare Mompracem. La Sardegna avrebbe abbastanza motivi per attirare visitatori senza raccontare balle. Il problema è quello dell’organizzazione del flusso turistico, sia dall’esterno (non dimentichiamo che siamo un’isola e l’isola va raggiunta, e questo ha un costo), sia internamente. E soprattutto mettiamoci in testa una cosa. Abbiamo migliaia di nuraghi, è vero. Ma quando un turista normale si vede Barumini, il Santu Antine, e magari il Losa visto che è a fianco della Carlo Felice, credete davvero che si faccia 50 o 60 km (per andare e altrettanti per tornare) su strade secondarie per vedersi un altro nuraghe, assai più piccolo, non famoso e pubblicizzato, e meno imponente e significativo? No. Quindi le comunità dovrebbero consorziarsi o comunque unirsi per creare dei percorsi turistici organizzati, in cui il nuraghe o il sito archeologico è parte dell’offerta. E, soprattutto, offrire ricettività di buon livello a costi bassi. Secondo me (ma non sono esperto del settore turistico) questo è l’unico modo per rivitalizzare l’economia isolana da questo punto di vista.

 

A.M.: Salutaci con una citazione…

Carlo Tronchetti: Né Dio né padrone” Auguste Blanqui (1805-1881)

 

A.M.: Carlo ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato e ti saluto con Krzysztof Kieslowski:

“Che cos’è Dio?” domanda un bambino.
La madre lo stringe tra le braccia e gli chiede: “Cosa provi?”.
“Ti voglio bene” risponde il bambino.
“Ecco, Dio è questo”.

 

Written by Alessia Mocci

 

 

Info

Rubrica Neon Ghènesis Sandàlion

 

4 pensieri su “Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologo Carlo Tronchetti

  1. Non mi sembra che i Brochs Scozzesi abbiano delle camere con falsa volta, se non sbaglio erano coperti con un tetto di frasche, mentre le torri Nuragiche avevano sempre da una a tre camere con falsa cupola, l’interno dei Brochs è diverso da quello dei Nuraghi.

  2. Sempre a cercare di screditare i Sardi e gli appassionati e studiosi di archeologia Sarda chiamandoli ironicamente Fantarcheologhi,da canto mio i più dannosi per la nostra cultura siete proprio voi che nascondete e modificate la nostra storia a vostro piacimento.perciò prima ci liberate della vostra supponente presenza meglio è.La Sardegna ai Sardi e anche gli archeologi che soprintendono gli studi dovrebbero essere Sardi. E poi ci dica Sig.tronchetti, chi è nato prima l’uovo o la gallina, e non cerchi tracce di fenici anche per risolvere questo quesito.

  3. Il motivo per cui c’è una reazione così forte e radicalizzata da parte di alcuni archeologi è anche a causa di autentici coglioni come te, Roberto Scalas, “La Sardegna ai Sardi”?

    Come fai ad affermare certe stronzate?

    Anzì se ci fossero più archeologi non Sardi e possibilmente dall’estero sarebbero solo un bene

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *