Meditazioni Metafisiche #4: il problema della realtà oggettiva
Abbiamo sempre equiparato ed equipariamo la realtà interna ed esterna a noi, ossia la realtà materiale, a qualcosa di obiettivo ed assoluto, valido per tutti: non abbiamo mai coltivato dubbi sulla realtà.
Per noi è reale tutto ciò che cade sotto il dominio degli organi sensoriali, nel senso di tutto ciò che può essere visto, udito, toccato, odorato, gustato: tutto il resto non è reale. L’etimologia di realtà è latina, res, ovvero cosa tangibile, materiale.
È un retaggio conoscitivo derivato da Descartes e dalla sua visione materialistica posta a base del modello culturale occidentale. Abbiamo imparato che c’è una scienza che si occupa di definire la realtà in quanto tale, ed è la fisica.
La fisica classica, quella di Newton per intenderci, ci dice che la realtà è continua, come l’acqua che scorre da un rubinetto aperto: dopo il giorno succede la notte, poi ancora il giorno, la notte e così via, senza soluzione di continuità. Sappiamo che la realtà è lineare: sono qui, mi sposto in avanti, indietro, a destra, a sinistra; non scompaio da un punto e riappaio in un altro. Sappiamo inoltre che la realtà è prevedibile: se lasci cadere un qualunque oggetto dalle mani dieci volte su dieci cadrà per terra, non si fermerà mai a mezz’aria.
Ma chiediamoci: è questa la realtà?
La fisica dei quanti (e anche quella relativistica a suo modo) offre un’altra idea della realtà. Essa dice che la realtà è discontinua, niente affatto lineare, anzi procede a salti e non è neppure prevedibile; è un luogo, anzi un non-luogo dove tutto è possibile, il tutto e il contrario di tutto.
Dice il fisico indiano Amit Goswami: “Quando pensate alla realtà in termini di cose rendete la realtà più concreta di quanto sia, ecco perché ci blocchiamo; ci blocchiamo nell’uniformità della realtà. Se la realtà è concreta io sono insignificante, non la posso cambiare. Ma se la realtà è una mia possibilità, una possibilità della coscienza, allora mi chiedo come posso cambiarla, anzi meglio, come posso migliorarla?“.
Tuttavia la fisica quantistica pone problemi interpretativi sul concetto di “realtà”, che non possono essere risolti da essa stessa e tanto meno dai paradigmi che propone (multiverso, stringhe, onde, particelle, ecc.), i quali sono inficiati da paradossi e contraddizioni. Un’analisi più approfondita ci rende edotti che l’osservatore è il punto focale di tutta la faccenda.
Il cervello rappresenta il sistema nervoso centrale, l’organo che, attraverso i cinque sensi, ci mette in contatto col mondo esterno. Esso vive come un recluso all’interno di una scatola, la scatola cranica. Per sapere cosa c’è fuori si serve di sensori. Se esaminiamo più a fondo la questione, troviamo che in realtà non sono i cinque sensi a sentire il mondo, ma il cervello con le sue varie aree, come la corteccia visiva, uditiva etc..
È il cervello che interpreta ciò che i sensi gli rimandano, ossia un organo radicato nel soggetto. Se poi entriamo in ambito squisitamente psicologico la soggettività dei nostri sensi è ancora più evidente: perché un quadro, una melodia, il sapore di un cibo, l’odore di un fiore, ad alcuni può piacere e ad altri no?
Ora, se il cervello utilizza i propri canali sensoriali soltanto per agire con l’ambiente circostante, va tutto bene, dato che l’impiego di tali sensori è utile per la sopravvivenza dell’unità biologica, del nostro corpo. Ma se con questi strumenti si volesse indagare più a fondo la realtà nella quale siamo immersi, per vederla con quell’obiettività non intorbidata dalla soggettività, i cinque sensi non bastano più, anzi una profonda riflessione filosofica ci rende evidente che proprio i sensi (insieme al cervello) – che ci fanno esperire il cosiddetto mondo sensibile – sono i principali responsabili di quel mondo d’ombre nel fondo della caverna di Platone.
La questione ora passa in mano alla filosofia.
Mentre la fisica quantistica pone il problema solo al livello microscopico, la filosofia lo fa soprattutto con il mondo macroscopico. La filosofia ci dice in effetti che il soggetto osservatore non solo condiziona il mondo microscopico, ma altresì anche quello macroscopico, cioè quello che si rapporta alle sue dimensioni. Partendo da questo assunto, molti fenomeni definiti “paradossali” in fisica quantistica, quali l’entanglement, l’esperimento mentale del gatto di Schrödinger, ecc., si potrebbero razionalizzare e spiegare con più cognizioni di causa pur all’interno del mistero. Il mistero però si sposterebbe su un terreno più vasto, su quello filosofico e non quantistico.
“Esse est percipi” diceva Berkeley; e Kant in effetti ha degradato il mondo della materia a semplice apparenza, a proiezione esterna delle funzioni cerebrali del soggetto conoscente. Schopenhauer addirittura ha definito la materia l’oggettivazione della volontà per il tramite della coscienza cerebrale. Quello che noi siamo abituati a definire “reale” è proprio la rappresentazione soggettiva; tanto che un’attenta riflessione ci fa riconoscere che la materia non può in alcun modo venire disgiunta da essa, pena il venir meno della realtà stessa, cioè del mondo fisico.
Anche Platone per la verità l’ha da sempre riconosciuta questa che è una verità millenaria, risalente alle antiche dottrine orientali.
Dunque se la realtà del mondo fisico è apparenza in che cosa consiste la vera realtà, e dove va cercata?
È questo il punto cruciale, il nodo cosmico che ci catapulta verso l’interno, ossia nel nostro universo interiore, fino ad arrivare alla mistica e ai misteri che ci fanno trascendere il mondo dei sensi, il mondo che “sempre diviene e mai è” di Eraclito e Platone.
Written by Andrea Grieco
Info
Il quadro ripreso nel manifesto visivo Μεταφυσικοί Διαλογισμοί è un prestito dall’opera Over the town di Marc Chagall (Vitebsk, 7 luglio 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 28 marzo 1985). In foto Amit Goswami.
Rubrica Meditazioni Metafisiche
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