“Anita. Storia di un viaggio” di Laura Pagliaini: la ricerca del commissario di polizia Mario Pagliaini

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“Camminavo con passo svelto attraverso i vicoli. Da quando eravamo tornati in città lui era così preso dal lavoro, che il tempo per stare un po’ insieme era davvero poco…”

Anita. Storia di un viaggio

Il vero protagonista del libro di Laura Pagliaini, come si evince dal titolo, è il viaggio.

Nella fattispecie, quello compiuto dai familiari di Mario Pagliaini, alla ricerca del loro congiunto.

La guerra è da poco terminata, e le rovine di un’Italia dilaniata dai bombardamenti fanno da battistrada al percorso che Attilio e sua moglie Anita intraprendono per riabbracciare il loro parente.

Tratto da una storia vera, il romanzo è racconto filtrato dal punto di vista di Anita, cognata di Mario, commissario di polizia scomparso nel 1945.

I coniugi partono da Genova alla volta di Gorizia per ritrovare il commissario, militare del regime fascista, seppure sia dichiaratamente antifascista.

Le macerie con cui devono confrontarsi lungo il cammino sono materiali, ma anche morali.

Perché il degrado, tangibile, ma anche psicologico, è raccontato da Anita tramite sentimenti ed emozioni.

Con chiarezza Anita esplicita il proprio disagio, nonché l’insofferenza, di fronte a un viaggio che pare dalle molte promesse, ma di cui quasi nessuna verrà mantenuta.

Ed è grazie alle rivelazioni della donna che il lettore viene calato nella triste realtà appartenuta al popolo italiano.

La coppia raggiunge l’Alto Adige con mezzi di fortuna: treno, bicicletta e un camion un po’ sgangherato, per incontrare un terzo fratello, lì residente. Sarà Giovanni, altro familiare di Mario, ad accompagnare il peregrinare dei due.

Il viaggio procede irto di ostacoli e difficoltà, sempre alla ricerca di Mario, del quale non si hanno notizie a causa degli strascichi che lo sconvolgimento bellico ha lasciato dietro di sé, anche sul finire della guerra.

Episodi i quali hanno continuato a martoriare selvaggiamente il paese. Fino a quando, grazie anche all’intervento degli alleati, l’Italia si è liberata dal giogo nazifascista.

I partigiani si aggiravano nella boscaglia in cerca di fuggitivi ed anche coloro che erano cittadini normali adesso avevano preso coraggio e cercavano di vendicarsi delle angherie subite durante la guerra…

Le informazioni riguardanti la sorte del commissario sono poche, misurate, ma con la forza dell’affetto i tre cercheranno di riportarlo presso la propria famiglia. Moglie e figli, infatti, attendono con ansia il suo ritorno.

Tutto lascia supporre che Mario sia finito nelle mani dei Titini, i fedelissimi militari di Tito, nella zona intorno a Gorizia. Ma poco o nulla è dato sapere.

Comunque, l’esigenza di ritrovarlo spinge i suoi familiari ad andare oltre, oltre agli ostacoli che devono fronteggiare. Le peripezie finalizzate alla ricerca del loro congiunto sono molteplici, così come gli incontri con persone che potrebbero aver incrociato i passi del commissario.

Laura Pagliaini

E, mentre incertezza e lunghe notti d’attesa accompagnano il loro cammino, i tre, arrivati in prossimità di Gorizia, chiedono, s’informano, e accompagnati da una lettera di Palmiro Togliatti, allora segretario del PCI, proseguono, fiduciosi di riabbracciare il commissario.

Ed è per mezzo del ricordo, attraverso un percorso a ritroso nella storia che, durante il viaggio, Anita riannoda il filo degli eventi passati, i quali hanno portato a sconquassare la quotidianità della propria famiglia, come di ogni altra famiglia.

Eventi che hanno portato alla sparizione di Mario, come fosse stato inghiottito dal nulla.

Tramite il personaggio di Anita, lungo il corso della narrazione, l’autrice evidenzia e delinea elementi e riferimenti ben precisi del periodo di guerra in questione, e lo fa scandagliando la realtà in maniera quasi chirurgica.

Si cita Gorizia, e della sua battaglia, nel 1943, durante la quale la città ha rivendicato la propria autonomia, resistendo con tenacia alla prepotenza dei nazifascisti.

Si racconta della città di Genova, che prima di altre si è liberata dal giogo dell’oppressore.

Poi, le foibe: tristissima pagina di storia da stigmatizzare in toto, a qualsiasi ideologia politica il lettore possa fare riferimento. Se di ideologia è lecito parlare, raccontando di un episodio vergognoso e per nulla edificante. Di un sopruso di uomini contro altri uomini, che attraverso le parole dell’autrice si palesa in tutta la sua crudezza. A dimostrazione di quanto, in ogni guerra si perda il senso della misura.

Una prima ondata di violenza, in Istria e in Dalmazia, esplode dopo l’8 settembre 1943, quando i partigiani slavi mettono in atto un lunga fila di vendette nei confronti non solo di fascisti, ma anche di italiani sospettati di non essere comunisti. Saranno circa 1000 le persone torturate e massacrate, e poi gettati nelle foibe, fenditure tipiche del terreno carsico.

In seguito, anche se la guerra pare volgere al termine, la violenza invece pare non avere fine.

La vendetta sarà ancora la triste parola d’ordine, sia verso i fascisti, sia anche nei confronti di cattolici e di gente comune, colpevole solo di trovarsi nel luogo sbagliato, mentre Trieste, Gorizia e l’Istria vengono occupate dalla Jugoslavia. A questo punto i titini, i fedelissimi soldati di Tito, salito al potere in quei giorni, testimoniano un’ideologia politica con una dura pulizia etnica, convinti di eliminare i nemici del popolo.

Per i circa 350.000 esuli, rimasti senza patria, è un dramma senza fine, dramma ignorato sia dal paese Italia sia dal Partito comunista dell’epoca.

Le foibe sono una ferita tuttora aperta, nonostante il parlamento italiano abbia stabilito una giornata dedicata alle vittime. Tutte persone innocenti, perseguitate dalla follia d’onnipotenza, che non giustifica affatto la violenza, anzi, dovrebbe esserne totale condanna.

Infine, nella conclusione del romanzo, nel momento in cui i tre raggiungono la zona di confine tra Italia e Jugoslavia la situazione è ancora complessa e caotica. E in tale contesto sarà difficile, se non impossibile, ottenere sufficienti informazioni per ricongiungersi a Mario; anche se la condizione emotiva dei suoi familiari li spinge a continuare a indagare. Al fine di ottenere almeno qualche risposta ai loro numerosi perché.

Foibe

Eravamo in territorio friulano ormai, avevamo superato Tolmezzo e presto sarebbero arrivati a Udine, da lì Giovanni aveva preso accordi con un conoscente del affinché approfittassero del passaggio di un autocarro…

Libro incentrato molto sulla sfera affettiva, “Anita. Storia di un viaggio” racconta e partecipa il lettore ai sentimenti dei familiari di coloro che sono scomparsi durante la guerra.

Il libro si fa anche mezzo per far memoria dei momenti attraversati per ritrovare i superstiti, in questo caso il commissario, e alle speranze in cui la gente comune ha riposto tutta la sua fiducia. Fiducia spesso delusa.

Il registro letterario in cui le vicende sono sviluppate è scorrevole, diretto. Tale da poter definire il testo come una cronaca di viaggio, un viaggio tutto indirizzato a ricucire un legame spezzato dalla guerra, che spesso separa uomini e cose.

Interessante e ben ampliata è la cornice storica che fa da sfondo agli eventi narrati, come pure la scelta delle descrizioni. Anche se a essere presi in considerazione, purtroppo, sono i tragici fatti riconducibili alla seconda guerra mondiale.

 

Written by Carolina Colombi

 

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