“Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll: qui siamo tutti matti, io sono matto, tu sei matta
Alimenta la tua mente con consapevolezza e conoscenza. Con una semplice pillola puoi diventare più grande o più piccolo. Pillola rossa o pillola blu. Alice sicuramente lo sa. Cacciando conigli, potresti cadere nel buco e il tuo tempo potrebbe finire riflesso per sempre in uno specchio.
Miriam: “Babbo quanto tempo è per sempre?”
Babbo: “Il Bianconiglio disse ad Alice: adesso è per sempre!”

Vorrei potervi raccontare la metà delle cose che diceva Alice dopo la sua frase preferita, “Facciamo finta”, ma purtroppo devo riassumere per non risultare noioso.
Pillola rossa o pillola blu? Restare nel “Paese delle meraviglie” significa non sprofondare nell’allucinazione collettiva in cui vive la gente ma altresì vincere l’inganno, Alice simboleggia la fantasia incarnata nel sistema di potere collettivo: la sua immaginazione libera è capace di scardinare l’immaginazione della Matrice (Matrix).
“Alice nel Paese delle Meraviglie” è un fortunato romanzo del matematico e scrittore inglese Lewis Carroll e racconta di una ragazzina che accede a un mondo infero consumando del cibo magico.
In questo non-luogo (il paese delle meraviglie) ogni legge dell’esperienza è sospesa ed Alice prova smarrimento e paura.
Le parole non hanno il significato comune, i dialoghi si auto-avvolgono, il tempo non esiste.
“Qui sono sempre le cinque” (dice il Cappellaio Matto).
Anche l’identità di Alice, di conseguenza, è messa in dubbio:
“Ma se non sono la stessa, la domanda è: ‘Chi mai sarò?’” (Who in the world am I?)
Alice osserva il mondo da un nuovo punto di vista dove tutto è rovesciato. Un mondo allo specchio dove la logica è l’analogia e il rigore è il paradosso, dove l’alto è il basso, il piccolo è il grande. Il mondo allo specchio in cui Alice si ritrova accoglie, trasforma e restituisce, così come l’apprendista nel suo silenzioso percorso diventa il raccoglitore delle immagini, portandole ad una continua riflessione che diviene accogliente.
Alice è catapultata in un mondo parallelo basato sul rovesciamento di prospettiva dove aleggiano concetti intercambiabili: giusto e sbagliato, bene e male, bianco e nero come il colore del pavimento del tempio.
La vita reale si mescola con l’inconscio rappresentando la porta d’ingresso per l’albero della vita.
Quello che viene evidenziato nel racconto di Alice è il viaggio interiore che la protagonista affronta, in un’eterna lotta tra rimanere piccola o divenire grande.

Il Bianconiglio dal canto suo sprona Alice alla ricerca interiore, spingendola ad affrontare il labirinto fiorito e colmo di carte da gioco (le tentazioni), ove troverà inoltre esseri di tutti i generi. Si ritroverà in un luogo dove sono tutti matti:
“Ma io non voglio andare tra i matti” osservò Alice.
“Beh, non hai altra scelta” disse lo Stregatto: “Qui siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta”.
“Come lo sai che sono matta?”, disse Alice.
“Per forza” disse lo Stregatto, “altrimenti non saresti venuta qui”.
Alla fine, la protagonista, si ritroverà con la Regina di Cuori (la grande madre), che rappresenta la meta finale verso la quale Alice inconsapevolmente verrà spinta raggiungendo la consapevolezza individuale. Ed alla fine quindi si risveglia dal suo sogno ritornando alla rassicurante vita di tutti i giorni, ma ora, però, è diversa, ora finalmente è cresciuta.
Il modo delle meraviglie si conclude in maniera gratificante con un lieto fine che viene magistralmente celebrato nelle ultime pagine del libro. Alice nel finale dimostrerà di saper distinguere l’immaginario dal reale con la consapevolezza di aver vissuto una storia vera.
Ora “Sorridi”. E quando avrai un momento di smarrimento o indecisione, fermati, aspetta e senti il tuo cuore.
Written by Vito Ditaranto
… a mia figlia Miriam con infinito amore…
É proprio così o c’è modo di svincolarsi da questa opinione corrente e trarvi insegnamento?
Colgo l’occasione per proporvi di esaminare una mia versione interpretativa dei dialoghi contenuti nel racconto di Alice nel Paese delle Meraviglie.
Si tratta di una mia idea che mi è venuta d’un tratto rileggendo in particolare il capitolo VII di Alice nel Paese delle Meraviglie, che ha per titolo Un tè di matti.
L’idea che mi son fatto su questo tema, mi ha portato ben più in là delle opinioni correnti, riferendomi in particolar modo al dialogo avvenuto durante «Un tè di matti».
Dopo averlo letto e riletto la mia mente mi ha portato ai metaloghi di Gregory Batenson, in particolare il dialogo tra lui e la figlia, che egli riporta sul suo libro Verso un’ecologia delle mente di Gregoy Batenson – [pag. 56 – Ediz. Adelphi]. Di qui un meraviglioso aggancio all’ecologia della mente che in Alice sembra disturbata da una sindrome, secondo l’opinione corrente dei psicologi, lei compresa.
Ma cosa è un metalogo?, rientrando nel mio intervento.
Il metalogo è una conversazione immaginaria tra un padre e una figlia su un argomento problematico. Inizia sempre con una domanda della piccola figlia, domanda che permette a papà Bateson di introdurre le sue teorie. I metaloghi non terminano mai con certezze, ma lasciano la possibilità di porsi molte altre domande. E’ un modo di presentare le idee molto diverso da quello al quale siamo abituati (ipotesi, dimostrazione delle ipotesi e conclusioni), per questa ragione il lettore può rimanere, almeno ad un primo approccio, perplesso. Ma se da un lato Bateson sostiene l’importanza dell’accrescimento della conoscenza fondamentale, dall’altro lato attraverso i metaloghi egli ci fornisce un esempio concreto di cosa significhi avvicinarsi a un problema con una atteggiamento conoscitivo e di come dei dati oggettivi possano essere utilizzati con un intento euristico, piuttosto che con una forzatura atta a incasellare i dati dentro una teoria di riferimento.
Occorre dire che Batenson, biologo di formazione, non fu soltanto biologo ma antropologo, epistemologo, naturalista, etologo, cibernetico, collaborò conpsichiatri e psicoterapeuti…. Fu, in altre parole, scienziato e filosofo della natura: Bateson – scrive Marcello Cini – è “nel senso pieno del termine, un filosofo naturale”.
Ma ecco il dialogo tra padre e figlia e basta questo per trovare accostamenti con quello di Alice con il Cappellaio e il Ghiro sonnecchiante che di tanto in tanto fa da eco.
Figlia- Papà., quante cose sia?
Padre. Eh? uhm… so circa un chilo di cose.
F. non dire sciocchezze. Un chilo di quali cose? Ti sto chiedendo davvero quante cose sai.
P. Be’, il mio cervello pesa circa un chilo e penso di usarne circa un quarto… Quindi diciamo due etti e mezzo.
F. Ma tu sai più cose del papà di Johnny? Sai più cose di me?
P: Uhm… una volta conoscevo un ragazzino in Inghilterra che chiese a suo padre: «I Padri sanno sempre più code dei figli?« e il padre rispose: «Sì». poi il ragazzino chiese: «papà chi ha inventato la macchina a vapore?» e il padre: «James Watt» E allora il figlio gli ribattè: «ma perché non l’ha inventato il padre di James Watt?».
F. Lo so. Io so più cose di quel ragazzo, perché so perché il padre di James Watt non l’ha inventata: é perché qualcun altro doveva inventare qualcos’altro prima di chiunque potesse fare la macchina a vapore. Voglio dire… non so… ma ci voleva che qualcuno potesse scoprire la benzina prima che qualcuno potesse costruire u motore.
P. Sì… questa è la differenza. Cioè voglio dire che il sapere è come tutto intrecciato insieme, o intessuto, come una stoffa, e ciascun pezzo di sapere è significativo o utile solo in virtù degli altri pezzi…
F. pensi che si dovrebbe misurare in metri?
P. No. direi di no.
F. Ma le stoffe si comprano a metro.
P. Sì, ma non volevo dire che è una stoffa. È solo come una stoffa… e certamente non sarebbe piatto come stoffa… ma avrebbe tre dimensioni… forse quattro dimensioni.
F. Che cosa vuol dire papà?
P. Non so, veramente tesoro. Stavo solo cercando di riflettere.
E il metalogo continua e sembra che si rifletta in una sorta di un altro “metalogo” (si potrà chiamare così?) di tutto il romanzo di Alice fra gli incompresi abitanti del Paese delle meraviglie.