“Il nostro ultimo”, esordio di Ludovico Di Martino: viaggio generazionale irriverente e grottesco

È difficile ignorare che in questi ultimi mesi il cinema italiano pare essersi mosso su due vettori piuttosto indicativi.

 

Il nostro ultimo

Se “Non essere cattivo” (Caligari) e “Lo chiamavano Jeeg Robot” (Mainetti) – entrambi film potenti perché arditi nelle intenzioni, ma pur sempre due modi di inquadrare la realtà molto originali e differenti tra loro – sono la testimonianza estrema del vettore-cinema ancora capace di raccontare e di mantenersi lontano dalla brutalità e dal compromesso conformista, l’altro vettore è ancora rappresentato dall’industria cinematografica che ha continuato a proporre prodotti prevedibili, artisticamente reazionari e preconfezionati.

Non è una novità per lo spettatore attento, forse la novità è la consapevolezza: lo spettatore attento sta cercando di evitare che il primo dei due vettori diventi cinema di “nicchia”. Il nostro ultimo, esordio di Ludovico Di Martino, regista e sceneggiatore, è la risultante tra i due vettori.

Non è cinema commerciale nonostante si spinga sul filone molto battuto del road-movie (e di fatto non lo è, vista l’autoproduzione del Collettivo Blue&Berry –Ludovico Di Martino e Gabriele Luppi – in coproduzione con Dispàrte -Alessandro Amato – e Stefano Santucci), ma non è ancora del tutto autonomo dagli influssi industriali.

La trama sfrutta il topico rapporto tra Caino e Abele senza esasperare i toni, mantenendosi lontana da volgarità e giocando su una catarsi annunciata: due fratelli realizzano post mortem l’ultimo desiderio della propria madre, caricano la bara sul portapacchi e partono verso il mare dell’infanzia.

Si corre sul filo del grottesco, il risultato è una filigrana dolce amara senza strozzature, ma poco robusta: se da un lato gli attori alimentano con una impostazione chiara e onesta i dialoghi, dall’altro lato il montaggio, seppur molto curato da Di Martino ed Emma Viali, rischia di svelare una costruzione episodica poco coesa. Nel complesso, però, l’amalgama riesce piacevolmente.

Il ritmo scorre, ma spesso si interrompe di colpo, la tensione si allenta improvvisamente: distensione e tensione, tensione e distensione conducono lo spettatore fino al finale onirico perfettamente coerente.

Il regista è molto vicino ai suoi personaggi con la macchina da presa, come se volesse portare lo spettatore a immedesimarsi e a entrare il più possibile, anche con una sottile punta di caparbia invadenza, nella storia. Capita di vedere l’inquadratura sussultare e tremare come se ci fosse un terzo personaggio, un osservatore silenzioso, a muoversi nello spazio tra i personaggi e ad essere coinvolto dall’inquietudine dei due protagonisti.

Il nostro ultimo

Il viaggio dei fratelli, Fabrizio (Fabrizio Colica) e Guglielmo (Guglielmo Poggi), ricorda vagamente – e solo per impostazione narrativa – un altro viaggio, quello che in Difetto di famiglia (Alberto Simone) ha per protagonisti altri fratelli, certo più maturi d’età e con un vissuto diverso, interpretati da Nino Manfredi e Lino Banfi ed un’altra bara (questa nel bagagliaio) con un’altra madre.

Sono certamente due viaggi diversi, ma hanno come fulcro il legame tra due fratelli che stentano a comprendersi e a riconoscersi, anche se in fin dei conti condividono le stesse fragilità e carenze affettive.

Fabrizio Colica mantiene con grande equilibrio il ruolo del fratello “maggiore” che cerca in tutti i modi di rendersi responsabile, anche a costo di appesantirsi e perdersi nell’ossessione di restare ferreo. Guglielmo Poggi, che canta “Se vuoi” di Giuliano Guarino, riesce a mantenersi spavaldo, ma non eccessivo o melodrammatico, è il classico fratello ribelle che non vuole arrendersi.

Il nostro ultimo racconta di una generazione ancora giovane ma già sfibrata, lo fa con una maturità acerba, con una immatura maturità, meglio, ma sincera ed è l’unico approccio possibile sulla questione al momento. La giovane età di chi scrive e gira il film non deve però essere presa a pregiudiziale per un commento superficiale sull’opera, indubbiamente coraggiosa ed impostata rigorosamente.

Paola Rinaldi è una madre dagli occhi struggenti, ottimo Pietro De Silva che misurato e puntuale interpreta un padre severo e dolce allo stesso tempo, ottimo anche Pierfrancesco Poggi che interpreta con raffinatezza lo zio apparentemente ipocondriaco e anaffettivo mentre Giobbe Covatta è perfettamente in parte nel ruolo del prete di una chiesetta diroccata.

Il nostro ultimo

Le donne in questo viaggio sono buffe creature purissime come Rosaria (Martina Querini) che guarda le stelle o come la Madonna delle pecore dalla voce incantevole che fa l’autostop (Margherita Laterza).

Il nostro ultimo rappresenta la risultante dei due vettori ed in ultima analisi si mostra come un cinema che si impegna per essere cinema, è un cinema che vuole creare momento di collaborazione, condivisione ed inclusività. Un cinema onesto e coraggioso.

Il nostro ultimo, proiettato in anteprima assoluta all’Arcipelago Film Festival 2015, è stato presentato fuori concorso al Festival del Cinema Europeo 2016 di Lecce, ed è stato premiato come Miglior Film al Ferrara Film Festival 2016. Al Milan International Film Festival 2016 Guglielmo Poggi è stato vincitore del Premio Cavallo di Leonardo come Miglior Attore. Selezionato al Cinecittà Film Festival 2016,  al Santa Marinella Film Festival 2016 e al Gallio Film Festival 2016, il film è stato presentato al Nuovo Cinema Sacher di Roma lo scorso 16 giugno.

 

Written by Irene Gianeselli

 

 

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