“Berretto a bubbole” di Costanza Lindi: quando raccontare storie diventa una cosa da pazzi
“Quello che vorrei capire/ è perché le cose stanno così/ finché stanno così,/ e perché cambiano/ per stare così/ finché stanno così.” – Tragitto
“Berretto a bubbole” è la quarta raccolta poetica della giovane scrittrice umbra Costanza Lindi, pubblicata da Midgard Editrice nel novembre 2015. L’opera verte sul messaggio di pirandelliana memoria che la letteratura, e quindi la stessa magia che scaturisce dalla parola poetica, possa essere una “follia giocosa”. Quella che viene vista come una proposta letteraria “funambolica”, seppur coi suoi enigmi e il suo evocare miti letterari – Shakespeare, Vittorio Alfieri, Marinetti e il suo futurismo, solo per citarne alcuni –, sempre anela al fine supremo della libertà. Un tipo di poesia “buffonesca”, molto ironica, dove vi è un io poetico che sminuisce se stesso, si sdoppia e si mimetizza, riducendosi ad un “ridicolo marchio”, dove si ricorre alla figura del “folle” della situazione. Questi rappresenta la bocca della verità, capace di proferire realtà assolute, sebbene raramente venga preso in considerazione, per non dire mai.
In questi versi si evince un ritorno ai classici, e all’espediente utilizzato spesso da Shakespeare di far parlare il “buffone di corte”, il “giullare”, per riuscire ad analizzare il vero, senza troppo impressionare o creare scompiglio.
Il titolo è un riferimento alla commedia di Pirandello, e a quel “berretto a sonagli” proprio indossato dal folle di corte, quel “bubbolo” sinonimo di sonaglio, che qui viene posto al femminile, quasi l’autrice elencasse una sorta di corbelleria dietro l’altra, in quello che è un apparente e lungo “nonsense”. Parlare di cose “insulse” è invece solo una “maschera” per giungere a quella libertà di parola che vede tempi ancora non maturi. L’autrice infatti pensa che quel giorno verrà soltanto quando riusciremo a prendere con leggerezza tutto ciò che ci accade, fossero anche cose spiacevoli.
Il testo vede una serie di situazioni surreali, determinate anche dalla scelta delle parole, ed è diviso in sezioni. “Arlecchinata” dà il titolo alla prima, dove il poeta appare come una sorta di “banditore” alla ricerca di un pubblico a cui raccontare delle storie. “Pseudobardi” è la seconda, dove l’autrice si pone delle domande esistenziali, per esempio come nella lirica “Profili”:
“Delle volte mi fingo cieca/ per scoprire profumi./ Io sono colore,/ il vento è struttura./ Nessuna stranezza./ Nessuna direzione./ Tutto ha il suo mistero,/ spaventoso dalla nascita,/ per poi essere consueto./ Che colore ha la consuetudine di un cieco?”
“Lilliput” è la terza sezione, quella dedicata alle liriche brevi, a cui seguono “Uccidiamo il chiaro di luna”, motto futurista per eccellenza, forgiato da Marinetti, dove fra citazioni di personaggi storici e letterari troviamo la bellissima lirica “Metalettura”:
“Almeno per una volta/ vorrei essere/ quello che scrivo.”
“Canti di storie” parla di “equivoci calzanti” presi dal mondo della mitologia, come per esempio: “Narciso ama il suo amico,/ perché non sa nuotare”.
La sezione “Casa” – Berretti sotto al letto. Sonagli dirimpetto – cita miti letterari, quali ad esempio il Capitano Achab e Cyrano de Bergerac. Fino a giungere all’ultima, “Gingilli”, con la quale la poetessa si accomiata dal suo pubblico, con improbabili “esercizi” che le danno la possibilità di giocare con le parole. Come se avessimo assistito allo spettacolo di un circo, qui c’è il numero del gran finale.
Senza dubbio “Berretto a bubbole” è una raccolta originale e fuori dal comune, così come d’altra parte avevamo già intuito nel leggere le due prefazioni: una scherzosa e in rima, di Gianluca Foresi che qui si definisce “Giullar Cortese”, l’altra più ponderata di Carla de Falco.
Dalla lettura di quest’opera mi rimane una grande nostalgia per quel “folle” del “Re Lear” di Shakespeare – che spesso ritroviamo nei suoi scritti sotto altre spoglie. Perché quando la vita perde colore e sembra non valga più la pena di essere vissuta, quando non c’è più passione né illusioni, forse la cosa migliore è rifugiarsi nei pensieri dei “reietti” dalla società. Si può così fingere di non sentire niente, e di essere altrove.
Written by Cristina Biolcati
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